L'agonia del Castello di Gallipoli

Perché il Castello di Gallipoli non deve vivere come avviene, invece, per gli altri castelli pugliesi, quali quello di Copertino o il Carlo V di Lecce?
Sino ad ora, oppresso dall'incuria inflittagli dalle Autorità preposte e dalla trasformazione in caserma della Guardia di Finanza, è stato relegato a svolgere il pesante ruolo d'ingombrante immobile nel contesto incantevole della Città Vecchia.
Eppure è uno dei più antichi castelli dell'Italia meridionale ricco di momenti storici esaltanti e decisivi per molte vicende della nostra terra.
Un secolo addietro, nel 1890, fu oggetto di un discutibile intervento urbanistico, che come dice il Vernole "formò un sipario dietro il quale la facciata solenne del Castello è nascosta al godimento dei nostri occhi";
fu costruito sul canale-fossato che separava il Castello dalla Città, il Mercato Coperto per ovviare alla necessità di spazi utili alla popolazione troppo numerosa, costretta a vivere sullo scoglio cittadino.
Già verso la prima metà del secolo XVIII la numerazione dei fuochi trovò in città 1712 fuochi, circa settemila persone e, alla fine del 1700, l'aumento s'insentificò tanto che fu progettata ed autorizzata la costruzione del Borgo Nuovo.
Il Castello, attualmente ignorato sia dai forestieri sia dai residenti, è un corpo estraneo pur essendo, unitamente alle neglette e dirute mura civiche, un gioiello architettonico.
Un tempo strano il nostro!
A Gallipoli si pavimentano con costoso mosaico i marciapiedi del Corso Roma e non si mostra interesse al recupero funzionale ed alla valorizzazione di una struttura essenziale per un efficiente sviluppo turistico e per una presenza più efficace nel panorama artistico-culturale di Terra d'Otranto, specie ora che è stato liberato dall'utilizzo come caserma della Guardia di Finanza.
Per contribuire ad aprire un dibattito, mi pare opportuno ricordare che già nel 1912, sul numero 6 della Rivista Storica Salentina, il can. Francesco D'Elia scriveva un interessante articolo: "L'agonia del reale Castello di Gallipoli" in cui affermava: "..a che è ridotto quel Castello che aveva ospitato vari sovrani, a che è ridotta la sua imponente ed elegante mole oggi vandalicamente depurtata dal Mercato addossatole distruggendo il fossato col suo ponte.
Un mio amico amante dell'arte antica, deplorando questi deturpamenti diceva eppur verrà giorno e forse non lontano che questo castello sarà restituito nelle severe ed eleganti sue pristine forme, demolendo tutte le superfetazioni, non escluso il Mercato, come si è fatto del Castello Sforzesco in Milano, del Castello Nuovo in Napoli e di quelli di altre Città".
Non mi pare fuoriluogo ricordare alcuni memorabili significativi eventi che sono avvenuti nel maniero gallipolino, anche per sollecitare la curiosità e l'interesse dei giovani.
Nel 1268, dopo la sconfitta di Tagliacozzo e l'uccisione di Corradino di Svevia, vi si asserragliarono gli ultimi 34 baroni ghibellini del regno e, dopo otto lunghi mesi d'assedio da parte delle truppe di Carlo I d'Angiò, il castello fu espugnato, divenendo teatro dell'impiccagione dei 33 baroni superstiti.
Il 10 dicembre 1463, durante la sua visita alla Città ed al Castello, il re Ferdinando I d'Aragona volle concedere con diploma il privilegio di "Città in demanio e non in feudo" assegnando ruoli differenti al Governatore della Città ed al Castellano ed una serie di franchigie ed agevolazioni per i cittadini che diverrano occasione di prestigio, pietre miliari per le vicende storiche e per il governo dell'Università.
Nel 1484, a seguito dell'occupazione veneziana, la rivalità esistente tra la Città ed il Castello, prodotta dalla differenziazione dei ruoli, emerse con forza, tanto che gli storici non sono concordi nell'affermare se la Rocca avesse svolto solo un ruolo secondario di difesa durante l'assedio e la battaglia oppure se vi fosse stata addirittura connivenza tra Veneziani e Spagnoli a tutto danno del popolo gallipolino.
La resa del castello, dice il Vernole, "ebbe cosa sacra e gelosa la pelle del castellano, anzi la propria pancia, perché l'unico patto che dettò fu quello della conservazione dello stipendio e lasciò il Castello al nemico del suo Re".
Nel 1588 capitano del castello era don Pedro Ribera, padre del famoso Giuseppe Ribera detto "lo Spagnoletto".
Non sono pochi gli storici che asseriscono che il pittore sia nato nel castello di Gallipoli e non a Jativa Valencia, anche se le fonti ufficiali affermano che nacque in Spagna, perché essendo in quei tempi il maniero possedimento extraterritoriale spagnolo la nascita veniva registrata nella città originaria del padre.
Comunque questi cenni storici sono qui presentati in maniera provocatoria, più per essere occasione di dibattito, di approfondimento e ricerca, specie ora in costanza di tentativi di progettazione di un adattamento funzionale della struttura del Mercato.
Infatti si viene ipotizzando un ripristino di quel manufatto e sono stati elaborati alcuni progetti che mi sembrano completamente estranei alla nostra Storia, alla Città, al Castello ed anche alla necessità di offrire servizi adeguati ed utili per una moderna e civile risorsa turistica.
Queste esercitazioni architettoniche rappresentano piuttosto confusione e disagio, creano ressa, concentrano in uno spazio ridotto troppi punti d'incontro, ostacolano le motivazioni di visite qualificate di alto contenuto culturale. E' necessario, invece, ripristinare la memoria storica e prendere coscienza dell'importante ruolo vissuto nei secoli.
Per poter realizzare ciò, bisognerà procedere all'eliminazione del Mercato, alla valorizzazione e ripristino del fossato o vallo del Castello, ideato dai Veneziani nel 1484 ed eseguito negli anni successivi dagli Aragonesi, evidenziando l'antico quadrilatero staccato dalle mura civiche e collegato con la Città attraverso un ponte, come nel passato.
In tal modo si potranno recuperare le strutture esistenti nella parte inferiore del fossato, si collegherà in un tutt'uno funzionale il mercato ittico ed il porto commerciale con la cinta muraria mentre, all'interno del Castello, davranno ritornare a vivere le storiche sale, testimonianza di epoche gloriose, per un eventuale utilizzo a museo o biblioteca o, come dice il Vernole, "a sedi che sian degne di un monumento storico cosi insigne".

Luigi Giungato