Le forze armate degli USA
e dei loro alleati, in previsione
di un attacco all'IRAQ, si
stanno mobilitando e svolgono
già esercitazioni militari.
Ci sono poi i governi che
cominciano a porsi il
problema di un loro possibile
coinvolgimento.
Le diplomazie di tutto il
mondo, in un intreccio di
relazioni, più sotterraneo che
palese, dialogano con ogni
sorta di argomento per
decidere il da farsi.
E infine i partiti,
movimenti, gruppi discutono
e prendono posizione.
La discussione è davvero
globale e non v'è alcuno che
non si ponga il terribile
dilemma della guerra.
Anche a livello individuale,
come singole persone, siamo
chiamati a schierarci.
Altre volte la singola
coscienza è chiamata in causa,
sui temi più svariati, che
oscillano da temi di carattere
generale a quelli della vita
quotidiana.
Ma niente lacera di più la
coscienza individuale come il
caso della guerra.
Possiamo anche decidere
la nostra posizione in maniera
affrettata su un qualunque
problema della vita
quotidiana. Ma sulla guerra, no!
Perché un conto è decidere
se è meglio la pensione di
anzianità o di vecchiaia, se è
giusto o meno dare contributi
alla scuola privata.
Ma la scelta della guerra ci
pone di fronte al terribile tabù
della morte, e la nostra
responsabilità non è solo
politica, ma anche morale.
In altri periodi della storia
la responsabilità etica restava
piuttosto offuscata; e questo
poteva essere giustificato.
Senza andare troppo
lontano nel tempo, prendiamo
come riferimento le due guerre mondiali.
L a r e s p o n s a b i l i t à
individuale in rapporto al
grado di consapevolezza
socio-culturale ci appare
giustificato.
Nella prima metà del XX
secolo esistono ancora
problemi di analfabetismo, chi
sa leggere non legge, la gente
è alle prese con gravi problemi
di vita quotidiana; senza
contare, poi, che non esisteva
quel formidabile strumento di
informazione che è la
televisione.
Oggi le cose sono
profondamente cambiate, a tal
punto da parlare di eccesso di
informazione.
Eppure stenta ad affermarsi
una vera cultura della pace.
Eppure la gente appare
disorientata.
Nel '91 Bush padre illuse
il mondo, con le prime bombe
intelligenti, che liquidato
Saddam il mondo avrebbe
ritrovato la pace.
L'intervento nei Balcani
servì a coprire la coscienza
sporca di noi Europei che
abbiamo attraversato per
s e c o l i q u e l l e t e r r e ,
inglobandole in strutture
imperiali che ignoravano le
specificità storiche e culturali
delle popolazioni.
E appena ieri in
Afghanistan si è consumata
l'ennesima farsa.
La risposta al perché
dell'intervento americano, la
troviamo in un'altra domanda:
perché intervennero i Sovietici
nel '79?
Se analizziamo questi fatti
riusciamo a comprendere la
specificità della guerra di oggi.
Sì, perché anche la guerra
è un problema specifico, nel
senso che il modello
interpretativo di ieri non serve
a capire l'oggi, e viceversa.
Dopo il secondo conflitto
mondiale si capì che la guerra
non era più proponibile.
Non c'era uno
schieramento in campo sicuro
di vincere. Ad una forza si
contrapponeva una forza.
Da questa consapevolezza
nasce il tentativo, riuscito, del
disarmo e della distensione.
Oggi la guerra si sta
giocando in una maniera
diversa.
Da un lato gli Stati Uniti e
mezzo mondo che li
appoggiano, con una forza
militare spropositata, dall'altro
un misero IRAQ di cui si
ignora anche la reale
consistenza degli armamenti.
Quindi, la forza abnorme
del mondo occidentale contro
l'irrisorio apparato militare di
una porzione di mondo arabo.
E' per questo che la guerra,
oggi, è tornata ad essere
possibile. Da un lato il forte,
dall'altro il debole.
La guerra torna ad essere
"conveniente" perché c'è la
certezza di vincere.
Ma fino a quando questo
durerà?
Non per molto, io credo.
Già si vedono nuovi segnali.
La disperazione del meno
forte può portare a conclusioni
imprevedibili. Come leggere
infatti l'11 settembre?
Possiamo condividere tutto
lo sdegno per l'orribile
misfatto, ma una lettura più
fredda di quella tragedia va fatta.
Il debole non ci sta a
soccombere e non avendo la
potenza militare tende a
contrastare la forza in altro
modo: il terrorismo.
Il
terrorismo non come fatto
isolato ma come scelta
militare, militare e politica.
Alla scelta programmata,
annunciata e quindi pubblica
della guerra, la risposta segreta
e quindi imprevedibile, ma
comunque devastante,
dell'attacco terroristico.
Ad una strategia della
forza, la forza della strategia.
Un terrorismo, insomma, che
mira a far comprendere al
mondo intero che in un
prossimo futuro le cose
possono cambiare.
Per cui non ci troveremo
più ad un forte che si oppone
a un debole, ma una forza che
trova davanti a sé un'altra forza.
Insomma, un 11 settembre
è altrettanto devastante quanto
un attacco di tutta l'aviazione
americana.
Lì crollano le case, qui oltre
ai grattacieli crollano le azioni
in borsa.
Se un singolo attacco
terroristico ha portato tanto
scompiglio nel mondo
occidentale, cosa potrebbe
succedere se le cose si
ripetessero?
Ma soprattutto, ed è questa
la domanda che
realisticamente dobbiamo
porci, possiamo fare qualcosa
per evitare che avvenga tutto
questo? La risposta è SI!
La soluzione va trovata nel
ragionamento svolto fin qui.
Se prendiamo atto che
l' apparato militare
dell'occidente è equivalente,
rispetto alle conseguenze, alla
strategia terroristica ,
dobbiamo prendere atto che
ad una forza si contrappone
una forza, e la guerra non è
più possibile.
Quando negli anni '80
USA e URSS presero atto che
erano forza contro forza, iniziò
la politica di distensione.
Si accantonò tutto
l'armamentario
propagandistico, con le
fraseologie più truculente, e
Reagan e Gorbaciov si
strinsero la mano, e il mondo
intero tirò un sospiro di
sollievo.
Mi si obietterà che le
differenze con la realtà di oggi
sono più che evidenti.
Che se
Bush può somigliare a
Reagan, Saddam o Bin Laden
nemmeno lontanamente
possono essere paragonati a
Gorbaciov.
E con questo? Ma quando
mai la Storia si è ripresentata
allo stesso modo, con gli stessi
schemi?
Dice lo storico inglese
Geoffrey Barraclough: "La
storia contemporanea ha inizio
quando i problemi che sono
attuali nel mondo odierno
assumono per la prima volta
una chiara fisionomia".
E se i decenni a venire
saranno caratterizzati da una
presa di coscienza a favore
della pace, non è giusto e
anche bello se evitiamo questa
guerra?
E' qui che la coscienza
individuale emerge in primo
piano e diventa forza, e per
essere tale deve abbandonare
le astrattezze ideologiche che
la indeboliscono.
Vogliamo la pace perché la guerra uccide
e annienta la nostra dignità, non perché
siamo antiamericani, o contro Israele
(del resto sarebbe molto imbarazzante esprimersi a favore di Saddam).
Dobbiamo perciò favorire ogni processo
che porti ad alimentare la scelta di pace della società civile,
perché divenga in grado di opporsi alla forza degli eserciti
e alla forza del terrorismo; anzi dei terrorismi.
Remo Natali