Sono varie le ipotesi, serie o presunte tali,
approssimative e talora inverosimili, aventi come
oggetto il tentativo di definire in via ultimativa la
verità storica circa la discussa fondazione di Gallipoli.
Si ignora tuttavia chi abbia operato finora una sintesi
opportunamente documentata, obiettiva, uno scavo
scientifico tra le fonti, un'indagine esauriente,
circostanziata e precisa, tesa a disvelare spiragli di
antichità remote, smarrite nella nebbia del tempo, le
prime origini e le tormentose vicende della vetusta
città jonica, che si snodano lungo le tracce di una
storia bimillenaria.
La verità è che Gallipoli, testa di ponte e caposaldo
proprio nell'accesso al "sinus tarentinus", fu punto
nodale delle rotte per l'oriente greco e asiatico, ma il
sito era davvero strategico in quanto insisteva in una
regione che era Messapia ancor prima che Magna
Grecia, il risultato cioè di una serie infinita
d'interconnessioni, in uno scenario mutevole di
frequenti migrazioni di popoli. Va anzitutto acclarato
che fu città binomia, come pare e se è attendibile
quanto attesta Plinio: è possibile che si sia appellata
Anxa (voce indoeuropea) ancor prima di aver assunto,
mutati i destini, il successivo toponimo ellenico di
Kallípolis.
Non si dimentichi inoltre che le intense relazioni
con le popolazioni salentine dovettero costituire una
realtà non irrilevante: i rapporti sia con Taranto e
Alezio sia con la costa jonica e il Salento continentale,
infine con gli Achei, i Sicelioti e i Romani, ultimi
arrivati a dominare il Mediterraneo.
Neppure sono da
trascurare i giochi di alleanze, fortune e crisi
economiche, non esclusi i tanti misteri tuttora insoluti
per difetto di valide testimonianze, a ragione
dell'impossibilità reale di una adeguata ricostruzione
archeologica della città di Gallipoli prima di Cristo.
Solo quando si potrà illuminare il tutto, una volta
dissipata e diradata la fitta tenebra, il mito si potrà
finalmente chiamare storia. Specie il lungo periodo
antecedente al 1484, l'anno del saccheggio veneziano.
Perché ciò che non poterono né Longobardi né
Saraceni, mai visti su questi lidi, fecero gli "stradiotti",
mercenari del doge, nell'occupazione della primavera-estate
di quell'anno fatidico.
I Veneziani, in qualche misura, non seppero
rispettare sino in fondo l'eroismo e l'onore, la gloria
e la dignità di un popolo sopraffatto dal numero più
che dal valore, come precisò il Galateo, se pure gli
archivi pubblici furono distrutti e trafugati.
Scomparvero documenti essenziali a ricucire il passato
della città. È come se la sua storia si fosse d'improvviso
arrestata e prendesse poi il via da quella data, prima
della quale si apre un vuoto profondo, ove si brancola
tra varie ipotesi nel buio impenetrabile
dell'indeterminatezza. È pertanto compito dello storico
rimarginare quella ferita, recuperare secoli di
disinformazione, evitando però di ricorrere a banalità
e improvvisazioni.
A tutt'oggi incolmabile, dunque, pare essere la
lacuna, tanto grave quanto impossibile ed irreale, allo
stato, può risultare una sistematica campagna di scavi
archeologici, unico mezzo, la ricognizione topografica,
per ricucire lo strappo e per dirimere, tra le incertezze
e l'ignoranza della storiografia passata e recente, ogni
controversia culturale e ideologica, onde acclarare
ulteriori frammenti di verità, insieme ai pochi ed esigui
in nostro possesso.
Le vicende storiche successive al sacco veneziano
sono abbastanza note per poter essere narrate per
l'ennesima volta. Occorre viceversa abbozzare ed
elaborare, con onestà intellettuale, un'ipotesi plausibile
e approfondita sul passato della nostra città, relativa
in particolare all'era precristiana, senza tuttavia
pretendere di offrire verità assolute ma unicamente
contributi critici, privi di alcuna presunzione di sorta.
Un periodo così lungo presenta indubbiamente
episodi assai complessi e burrascosi, come pure
nebulose sono le pagine storiche di gran parte delle
nostre città in età volgare e medievale, a proposito
delle quali non di rado si è fatto ricorso a ineffabili
operazioni interpretative.
Ma di quale città le origini sono meno oscure e
leggendarie? Soprattutto se non v'è adeguato supporto
di fonti fededegne e verificabili, quanto meno tramite
la storiografia e specificamente l'archeologia, parimenti
indispensabile per una lettura esauriente di un passato,
specie nel nostro territorio.
Nel ricostruire la lontana storia di Gallipoli, può
sembrare ormai superfluo e scientificamente scorretto
insistere ancora, fino alla paranoia, sulle medesime
notizie e informazioni di seconda mano, parafrasando
i manoscritti dello Specolizzi o del Micetti, gli scritti
dell'Arcudi e del Galateo, ribaditi poi da altri come
il Ravenna e l'Arditi.
L'analisi storica che all'uopo ne potrebbe sortire
dovrebbe, nella sua essenzialità, mirare unicamente
a sciogliere il velo sulle origini di Gallipoli, l'isola promontorio,
la città-isola, a illuminare i non pochi
dubbi, a dare una risposta attendibile, la più logica
possibile agli interrogativi che il disordine di tante
discettazioni, sovente peregrine, assurde e stravaganti,
ha solo accentuato e aggravato nello scorrere dei
secoli.
A dire il vero, chi con zelo s'interessa di cultura
locale e fa storia deve offrire non altro che un valido
contributo, il più possibilmente chiaro, oculato e
obiettivo, in buona sostanza utile per ulteriori ricerche,
attendendo con umile pazienza un riscontro allo scavo
storico operato, ma senza alcuna pretesa o presunzione
campanilistica.
Chi congeda alle stampe uno scritto, affidato ai
pazienti lettori e destinato in primis ai cultori di storia
patria, desidera anzitutto raccomandarlo a quanti
intendono optare per un tranquillo soggiorno in questa
città o nel suo territorio, lungo la costa o
nell'hinterland, non già per godere solo del mare e
del sole, del paesaggio e del clima, ma pure per
apprendere ( perché no? ) storia, arte, tradizioni del
Salento antico, il passato e le radici della nostra città,
tra la nobiltà della sua gente.
Anche il turismo è cultura né può limitarsi
all'evasione, alla vacanza totale: vanno aperti e scoperti
itinerari misti e alternativi, percorsi culturali e artistici
comprensivi di realtà e presenze, testimonianze di
antiche civiltà che ciascuno tuttavia si adoperi e
s'impegni, oggi più che mai, a rivalutare
opportunamente per il bene comune, sull'esempio di
quanti hanno speso energie e sacrifici e, voglia Iddio,
intenderanno spenderne ancora con immutata passione
per illustrare, a tanti inguaribili sonnacchiosi nostrani
e al forestiero talora disattento e distratto, questa nostra
terra natia, così ricca di bellezze ereditate dagli avi
nel corso di lunghi e travagliati secoli di storia.
Gino Schirosi