Spesso si discute sulla progressiva marginalizzazione che l'Europa, e
l'Italia in modo particolare, sta subendo in campo economico: la
globalizzazione, e la grande crescita di quel gigante demografico ed
ora economico che è la Cina, stanno sempre più spostando l'asse
economico del mondo verso il Pacifico ed il Sud Est asiatico.
Altrettanto spesso si parla del rischio di un analogo impoverimento
tecnologico dei nostri Paesi: è notizia di pochi giorni fà che negli
Stati Uniti d'America crescono le proteste, favorite dal clima
pre-elettorale, per l'outsourcing di migliaia di posti di lavoro in
India, non per produrre scarpe, ma per sviluppare software e gestire i
call center telefonici di importanti aziende statunitensi; a quanto
pare è normale ormai per gli americani chiamare il servizio clienti per
esempio di una azienda di servizi, e sentirsi rispondere da un giovane
con accento indiano.
Ora, a parte le probabili esagerazioni ed esasperazioni, è innegabile
che la globalizzazione sia anche questo, favorita dall'evoluzione
tecnologie delle telecomunicazioni e dallo loro convenienza economica;
sui grandi volumi di traffico, una te
lefonata
tra gli USA o l'Europa e il Terzo (?) Mondo costa quanto una telefonata
nazionale.
Ma come si può reagire? La ricetta sembra semplice: puntare
sull'innovazione, di processo e di prodotto, e sull'educazione, sulle
capacità dei nostri giovani di competere a livello globale.
Ma tra il dire e il fare come al solito c'è di mezzo il mare: le
risorse economiche da investire sono quelle che sono, specialmente al
Mezzogiorno, e spesso le si impiega in modi che finiscono per sortire
l'effetto opposto a quello che ci si era prefissi.
Diventare competitivi significa spesso scegliere una strada diversa,
che porti all'indipendenza e alla libertà e permetta di aggiungere
veramente del valore a quello che si fà.
Di tutto ciò sono nemici i monopoli, in special modo quelli, imposti da
lontano, che impediscono il nascere e svilupparsi di competenze
veramente innovative in sede locale.
L'esempio che vogliamo trattare in questo articolo è il software; il
software è, genericamente parlando, l'insieme dei programmi che fanno
funzionare i computer, ma non solo: oggigiorno anche i telefonini, le
apparecchiature e le infrastrutture elettroniche funzionano grazie al
software.
Il software è qualcosa di immateriale: in teoria chiunque, con le
necessarie conoscenze e competenze, un computer e un bel pò di tempo a
disposizione potrebbe "scrivere" tutto il software necessario per far
funzionare un computer. Diverso è il discorso con l'hardware, cioè la
parte "materiale" dei computer: per produrlo, oltre alle conoscenze,
sono necessarie le fabbriche, i macchinari, le materie prime. L'unica
materia prima del software è l'intelligenza umana.
E questo è proprio quanto è successo negli anni scorsi e sempre più sta
succedendo in questi anni: giovani svegli, appassionati e capaci,
distribuiti in tutto il mondo e in comunicazione tra loro grazie ad
Internet, hanno scritto e continuano a scrivere ottimo software che, in
teoria, ma soprattutto in pratica, può sostituire il software prodotto
dalle grandi aziende.
Come è possibile tutto ciò? E' possibile perché quello che viene
scritto è software libero.
Che cosa è il software libero? Partiamo dalla definizione
(www.gnu.org/philosophy/free-sw.html) data da Richard Stallman
(www.stallman.org), colui che negli anni settanta, per non essere
costretto dal proprio datore di lavoro a negare agli amici e colleghi
la libertà di conoscere, usare e condividere il software da lui
scritto, si è licenziato e ha fondato il progetto GNU
(www.gnu.org/home.it.html) e la Free Software Foundation (www.fsf.org):
l'espressione "software libero" si riferisce alla libertà dell'utente
di eseguire, copiare, distribuire, studiare, cambiare e migliorare il
software.
Più precisamente, si riferisce alle seguenti 4 libertà:
- libertà di eseguire il programma, per qualsiasi scopo (libertà 0)
- libertà di studiare come funziona il programma e adattarlo alle
proprie necessità (libertà 1). L'accesso al codice sorgente ne è un
prerequisito.
- libertà di ridistribuire copie in modo da aiutare il prossimo (libertà 2)
- libertà di migliorare il programma e distribuirne pubblicamente i
miglioramenti, in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio
(libertà 3). L'accesso al codice sorgente ne è un prerequisito.
Il codice sorgente è la forma del software leggibile dagli esseri
umani; questo viene "compilato", cioè trasformato in una forma
leggibile ed eseguibile dai computer: questa è la forma nelle quali
viene distribuito il software non libero, che quindi non può essere
studiato e migliorato.
L'approccio del software libero è possibile perché il software è
immateriale e può essere duplicato senza praticamente costi; è un
approccio semplice ma rivoluzionario, ed ha dato luogo a tutto il
software libero che possiamo usare oggi: GNU/Linux (www.tldp.org), il
sistema operativo con il maggiore tasso di crescita di diffusione,
l'unico che sta riuscendo a rompere il monopolio di Microsoft, Apache
(www.apache.org), il web server di gran lunga più utilizzato su
Internet, OpenOffice (www.openoffice.org), la suite di software di
produttività individuale capace di sostituire Microsoft Office, Gimp
(www.gimp.org), il programma di manipolazione di immagini e fotoritocco
che non ha niente da invidiare ai software commerciali più costosi, e
migliaia di altri programmi (www.freshmeat.net, www.sourceforge.net).
Ma il software libero può migliorare la competitività di un Paese, o
quanto meno delle Regioni meno favorite dal punto di vista della
potenza economica e delle opportunità commerciali?
Cosa offre il software libero in questo senso?
Innanzitutto (libertà 0) permette di avere accesso a tutto il software
che potrebbe servire per avviare o supportare un'attività commerciale,
un ente di ricerca, una scuola, un'organizzazione no-profit, un ente
locale o un ente culturale. E l'accesso sarebbe a costo zero, per
quanto riguarda il costo del software, mentre l'investimento richiesto
riguarderebbe il supporto per tale software. Che cosa vuol dire? che
non è richiesto pagare licenze all'azienda produttrice del software,
perché questo è libero, e quindi (libertà 2) è liberamente
ridistribuibile, ma che chiaramente ci vuole qualcuno con le competenze
necessarie per farlo funzionare. Questo è vero anche per il software
non libero, specialmente in Italia, dove le aziende produttrici di
software sono pochissime, e tantissime quelle che supportano software
non libero sviluppato all'estero.
Nel caso del software libero, però, chiunque può diventarne esperto
(libertà 1) senza dover pagare royalties al produttore, e quindi
entrare nel mercato della consulenza mettendo sul piatto della bilancia
le proprie capacità, con le quali i concorrenti dovranno confrontarsi:
diventa difficile vivere di rendite di posizione in quanto tutti
partono dallo stesso livello.
Se poi vi sono la necessità e la competenza, lo stesso software può
essere migliorato (libertà 3) senza dover pagare royalties. Quello che
è richiesto nella maggior parte di licenze free-software (per esempio
la più diffusa GPL General Publica License -
http://www.softwarelibero.it/gnudoc/gpl.it.txt) è di mettere a
disposizione i miglioramenti apportati a chiunque lo desideri, offrendo
agli altri le stesse libertà di cui si è usufruito.
Per le aziende che hanno bisogno di software per funzionare, il
vantaggio è che dovranno pagare solo per il supporto, e non per le
licenze al produttore, e soprattutto che potranno rivolgersi alla ditta
di supporto che preferiscono, senza essere svincolati ai "capricci" del
produttore, che (è successo innumerevoli volte) per i più svariati
motivi può cambiare politica, e cessare il supporto o ritirare il
prodotto dal mercato.
I vantaggi del sofware libero, in termini di sviluppo economico e sociale, sono quindi molteplici:
immaginiamo che cosa il software libero può voler dire per dei
professionisti, che, con un grosso capitale di conoscenze e competenze,
ma con un ridotto capitale economico, vogliano entrare nel mercato
della consulenza;
immaginiamo inoltre che cosa il software libero può significare per la
Scuola, da cui quei futuri professionisti devono essere formati: i
professori possono, scegliendo il software libero quale ausilio al
proprio insegnamento, mostrare ai ragazzi tutto, ma proprio tutto,
quanto vi è nel software e nell'informatica: se è vero, come è vero,
che la Scuola deve formare competenze e capacità generali e non
semplicemente come funziona un particolare prodotto di uno specifico
fornitore/monopolista, che cosa c'è di meglio del software libero?
(www.softwarelibero.it)
I ragazzi potranno scegliere il software migliore, senza vincoli
economici, studiarlo fin nei più piccoli dettagli grazie alla
disponibilità del codice sorgente, migliorarlo se ne hanno le capacità
e la necessità, collaborando magari con altre scuole.
Non è più un apprendimento di "dogmi" ricevuti dall'alto, dal
fornitore/monopolista di turno, ma un capire che cosa si ha sotto mano
e costruire cose nuove, alzandosi "sulle spalle dei giganti": secondo
la migliore tradizione scientifica, si costruisce vera conoscenza
capendo quanto ci è stato passato da chi ci ha preceduto, e ha passato
il vaglio critico degli esperti del settore, e migliorandolo senza
dover inventare tutto da capo; la riusabilità del software libero,
garantita dalla libertà 3, permette di fare ciò.
Lo stesso per le Pubbliche Amministrazioni, che non useranno i soldi
dei contribuenti per pagare licenze a produttori di oltre oceano, ma li
spenderanno per ottenere il supporto dei fornitori locali, attivando un
circolo virtuoso di investimenti e valorizzazione delle risorse
economiche e culturali locali.
Non ultimo, un altro vantaggio del sofware libero è la sicurezza
intrinseca che software stesso: il fatto che esso sia da chiunque
leggibile e verificabile comporta che le falle di sicurezza possano
essere corrette velocemente, e soprattutto che si possa verificare che,
nascosti nei programmi, non vi siano funzionalità che "spiano" il
lavoro degli utenti e comunichino segreti a terzi malintenzionati, o
alterino i risultati delle elaborazioni.
Pensiamo a quanto ciò possa essere importante se si vuole usare il
software per il cosiddetto "voto elettronico".
Per concludere, il software libero è una grande opportunità, che è lì
disponibile per essere sfuttata: sta a noi, intesi come entità
economiche, culturali o amministrative, conoscerlo ed utilizzarlo al
meglio.
Roberto Giungato