La recente inaugurazione del Museo diocesano di Gallipoli, accolto nei
locali dell'antico Seminario della città, offre l'occasione non solo
per sottolineare l'attenzione sull'immenso patrimonio dei beni
culturali ecclesiastici consegnati dalla storia e per promuovere una
riflessione sul rapporto tra fede e cultura, ma anche per rievocare
vicende ed eventi storici della vita della Chiesa locale. In questa
sede piace soprattutto soffermarsi, ricordandone i momenti istitutivi,
sulla settecentesca sede che lo ospita, su una struttura della storia
sociale del Mezzogiorno, quale appunto quella seminarile, che ha senza
dubbio ricevuto nuova luce dalle ricerche in atto sulla società
religiosa dal Tridentino (che, nel 1563, sul modello londinese di
scuola quale vivaio/seminarium, ne decretò la "salutevole e necessaria"
istituzione) in poi.
È così emersa l'importanza del seminario vescovile, quale struttura
formativa di "conversione" religiosa e disciplinare del clero, ed
apparsa più convincente la sua funzione nell'ambito del mutamento
sociale, trattandosi, più in generale, di un tema portante del
meridionalismo classico settecentesco: molto spesso in cima alle
preoccupazioni di vescovi attenti alla formazione ed alla riforma dei
costumi del chiericato e del popolo e ad una più evangelica
religiosità, ed altresì al centro delle attenzioni di una società
rurale e depressa, di cui sono noti, in termini di elevamento della
posizione sociale, i vantaggi della "scelta" religiosa, in realtà il
seminario sarebbe stato nel Sud (almeno fino al decennio francese)
anche la sola e più forte struttura formativa di base per la classe
dirigente. Qui, rispetto al Centro-Nord, furono molti i vescovi che,
superando talvolta ristrettezze mentali ed economiche, s'apprestarono
ad erigerlo anche prima del 1725, anno in cui Benedetto XIII, vista la
frequente inosservanza delle norme tridentine, dovette emanare una
costituzione apostolica (Creditae Nobis), che ribadiva l'obbligo del
seminario diocesano e istituiva la Sacra Congregazione dei Seminari.
Non vanta questa precocità, anche su scala locale, il seminario di
Gallipoli, comunque registrato, alla fine del sec. XVIII, tra gli otto
funzionanti della Terra d'Otranto (su un totale di tredici diocesi), e
cioè fra quelli di Brindisi, Lecce, Nardò, Oria, Ostuni, Otranto e
Taranto. Il primo passo concreto per la sua realizzazione fu compiuto
dal vescovo Serafino Brancone (1747-1758), celestino salernitano, il
quale bada[ndo] a far fiorire le virtù, e le scienze nel Clero, e nelle
persone secolari della sua Diocesi, prese tutta la cura coi lasci dei
Cittadini che vi erano, per le scuole pie, e con altri proventi, e
soprattutto col proprio denaro di fondare, ed erigere il Seminario (B.
Ravenna).
Ciò fu reso possibile principalmente utilizzando l'eredità, seppur
tenue, lasciata da D. Biagio Sansonetti, Tesoriere della Cattedrale di
Gallipoli, il quale, nel 1746, aveva disposto per testamento che con i
suoi beni si sarebbe dovuto istituire in città un nuovo convento di
sacerdoti regolari delle scuole pie. L'opposizione, tuttavia, che tali
disposizioni incontrarono, anche da parte del re (data soprattutto la
presenza in Gallipoli di sette conventi) e le suppliche contestualmente
inviate a Napoli, nel corso del 1747, da sindaci e uomini illustri
gallipolini (come quella di Tommaso Briganti, amico e consultore del
Sansonetti) affinché tutti li beni di lui lasciati [...] si
convertissero, ed applicassero al fine più retto, più utile, e più
riuscibile qual è quello della erezione d'un Seminario che manca in
questa Città [...] rappresentarono il passo successivo.
Così Marchese Brancone, fratello del vescovo e destinatario di tali
suppliche, il 17 febbraio 1748 scriveva da Napoli al Governatore di
Gallipoli, comunicando gli esiti del dispaccio reale relativo a tale
causa: ha Sua Maestà denegato il suo Real assenso per la nuova
fondazione di tal collegio dei Padri delle scuole pie; ed ha risultato,
che in sua vece si erigga il Seminario, che dalla cura, e zelo
pastorale di cotesto vescovo si è proposto di fare per lustro di tal
Chiesa e Spiritual profitto di cotesto Pubblico, e che per questo
effetto i suddetti beni del Sansonetti lasciati s'intestino al novo
Seminario; con condizione che le scuole, che in esso tenersi debbano,
siano non solo addette all'utile de' clerici, che in quello
stanziaranno, ma ben anche concorrer vi possano tutti i laici di
qualunque condizione vi siano, i quali vogliano apprendere le scienze
[...].
La costruzione del Seminario, scrive il Ravenna, sarebbe iniziata, con
molta solennità, nel 1751: piccolo, ma comodissimo per trenta alunni,
ben distribuito, e con ottime officine, situato vicino alla piazza
nell'Isola istessa della Cattedrale e dell'Episcopio, coi quali ha
delle interne comunicazioni, fu fornito dal Brancone di cattedre per
ogni disciplina, da quelle umanistiche a quelle di filosofia e di
teologia e, unico caso nella provincia, di storia ecclesiastica. Ma la
morte, nel 1758, del fratello Marchese ed il dolore che ne seguì
indussero, tuttavia, il vescovo a dimettersi, impedendogli di procedere
alla sua apertura.
Spettò al successore, Ignazio Savastano (1759-1769), prete napolitano,
e Canonico di San Gennaro, la realizzazione di quel progetto, nel corso
del primo anno del suo episcopato, come testimonia l'iscrizione, datata
1760, posta nella sala inferiore dell'edificio. Nel superstite editto
di apertura del Seminario per l'anno scolastico 1765-66, che seguiva
alla crisi registratasi nel più ampio contesto di depressione economica
(causa certamente del basso numero di iscritti, specie per il 1761),
ordinava a tutti i chierici specialmente di attendervi con maggior
diligenza del passato e di dar speranza di maggior profitto così nelle
lettere umane, come nelle altre scienze superiori, come pure
rimproverava l'esorbitante debito per cagione del caro prezzo de'
commestibili e stabiliva la paga degli alimenti per i Cittadini e
Diocesani (trentasei ducati annui) e per i Forestieri (quaranta).
Somma preoccupazione di quel vescovo fu certamente lo stabilire
l'organico del personale (rettore, maestro di grammatica, etc.), ma
soprattutto il migliorare la qualità e l'organicità degli studi (vi si
insegnava Teologia, Filosofia, Geometria, Aritmetica, Retorica,
Umanità, Grammatica, lingua greca e canto Gregoriano). Ritengo a questo
punto interessante illustrare e riflettere sul contenuto di un
documento normativo, quale quello delle Regole di un Seminario, che
sono, da un lato, espressione formalistica e rigida di canoni generali
e universali, e, dall'altro, frutto di una esperienza pastorale
diretta.
Redatto su ordine del re, il regolamento stabilito dal Savastano, del
29 agosto 1763, rivolto principalmente a Maestri e "lettori", riguarda
per lo più l'insegnamento della grammatica "bassa" e delle lettere
umane e si caratterizza per un rigida attenzione per l'esercizio di
certe virtù (la modestia, il viver composto senza dare in parole
oscene, e di scandalo) ed un severo controllo da parte dei superiori.
Al centro è l'idoneità dei formatori, la loro preparazione, la vis
comunicativa, la metodologia e l'onestà; la durata delle lezioni (sei
ore al giorno) e dell'intero corso; i periodi e i giorni di vacanza; la
recita delle preghiere; i contenuti delle lezioni; i libri adottati
([il maestro] farà spiegare l'Epistole scelte di Cicerone, le Vite di
Cornelio Nepote [?], se necessario in corretto italiano, e con
proprietà di voce, obbligando poi i ragazzi a ripetere le traduzioni
colle medesime parole, e con medesimi modi adoperati dal maestro [...]
Spiegherà ai medesimi [...] la Georgica di Virgilio con farle ancora
mendare in mente i versi del medesimo [...] Insegni ai medesimi la
Dottrina Cristiana in ogni giorno per mezz'ora del Cardinal Bellarmini,
ed in ogni settimana faccia leggere Mons. Della Casa, cioè il Galateo,
spiegando gli avvertimenti del medesimo). Qualunque contravvenzione
sarebbe stata punita con l'espulsione del maestro dalla scuola.
In questa breve indagine sulle vicende istitutive e sui primi anni di
vita del Seminario di Gallipoli ho dunque preferito far parlare
soprattutto i documenti, selezionati tra quelli più significativi e
rappresentativi rintracciati nell'Archivio Storico Diocesano della
città. Se ne ricavano dati certamente da non sottovalutare sia negli
studi sull'attuazione ed efficacia dei decreti tridentini, sia
nell'incidenza di questa struttura formativa nella storia religiosa e
socio-culturale del Mezzogiorno. Da una analisi del regolamento del
Seminario, in particolare, mi è parso intravedere quella storia
"nascosta" e "quotidiana", "senza avvenimenti e senza date", tanto
difficile da individuare, quanto utile per capire.
Milena Sabato