La continua evoluzione delle possibilità d'uso del patrimonio
immobiliare degli Enti pubblici territoriali (Stato, Regioni, Province
e Comuni), comporta conseguenti cambiamenti delle sue modalità di
gestione e rende quindi indispensabile un cambiamento di mentalità e
prassi, sia da parte dei possessori/concedenti (che lo gestiscono in
nome e per conto della collettività) sia da parte dei cittadini comuni
(proprietari effettivi), che devono aumentare il loro livello
d'interesse e vigilanza.
Tale patrimonio si suddivide in due categorie principali:
I beni patrimoniali che l'Ente pubblico possiede come un qualsiasi
privato, servono solo indirettamente all'adempimento di un compito
pubblico; mediante la percezione di un reddito, se affittati a terzi o
come riserva per future destinazioni pubbliche e quindi valore di
scambio, da mettere in vendita o permutare.
Riguardo a tali beni l'Ente pubblico agisce secondo criteri e principi
privatistici, cercando di valorizzarli e tutelarli nelle varie
procedure, comprese quelle pianificatorie, in modo che non vengano
declassati, perdendo cosi' il loro valore economico.
I beni amministrativi sono quelli che assolvono direttamente ad una
finalità pubblica e si suddividono a loro volta in beni del demanio
naturale (mare, laghi, fiumi, rive, terreni non coltivabili, rupi,
ghiacciai, sottosuolo e spazio aereo sovrastante non sfruttabile dal
proprietario) e beni del demanio artificiale come strade, marciapiedi,
piazze, scuole, biblioteche, musei, porti mercantili, aziende dei
servizi pubblici ecc.
Prioritario compito dell'autorità competente in questa categoria di
beni è quello di garantirne l'uso comune gratuito; in caso di
autorizzazioni o concessioni a terzi (uso speciale), la sottrazione
alla disponibilità collettiva deve avvenire nell'interesse pubblico e
rispettando la destinazione generale del bene, concetti questi
indeterminati che devono essere interpretati restrittivamente e senza
lasciare spazio a discrezionalità di sorta.
In sostanza si deve continuamente procedere ad un'attenta valutazione
degli interessi in gioco; da una parte quelli del privato che chiede
l'uso speciale e dall'altra quelli della collettività che si vedrebbe
sottratto l'uso comune e gratuito a cui ha diritto.
Un esame di questo tipo sarà sempre incompleto ed errato se non
supportato da una pianificazione coerente e vincolante, che abbia
identificato specificatamente quali beni possono essere dati in uso
speciale e quali invece devono restare a disposizione di tutti; in caso
contrario si sarà sempre in balia della valutazione dei singoli
funzionari o dei politici di turno, che una volta decideranno in un
modo e l'altra volta in un altro, stringendo o allargando il concetto
di interesse pubblico a loro piacimento, tanto le parole non fanno
certo difetto, specie in questa nostra amata terra, patria del sofisma
e della dialettica.
Calandoci nella realtà gallipolina ed illustrando alcuni esempi
concreti, cerchiamo se possibile di vedere se l'uso speciale è stato
concesso in modo corretto.
1) Occupazione di marciapiedi, strade e piazze con tendoni, gazebi, roulottes, giostre, commerci ambulanti ecc:
Si tratta di occupazioni eccessive e pur considerando che tali attività
creano lavoro per tanta gente ed introiti per il Comune, l'autorità
concedente non ha tenuto minimamente conto del fatto che il cittadino
si vede sottratto uno spazio vitale per passeggiare, discutere,
incontrare gli amici, che aumentano i pericoli per bambini ed anziani,
costretti a sconfinare sul campo stradale, che vengono preclusi spazi
godibili esteticamente (vedi bastioni delle mura nella città vecchia),
con sfregi estetici intollerabili ed immagine turistica compromessa,
che si contribuisce ad aumentare in modo esponenziale l'inquinamento
acustico, luminoso, atmosferico.
Tali usi speciali potrebbero essere giustificati dal profilo
dell'interesse pubblico, solo se ridotti in modo adeguato, in maniera
tale da non penalizzare cosi' pesantemente ed in modo, a mio avviso
illegittimo, l'uso comune.
2) Occupazione di spiagge per balneazione ed altri spazi marini liberi
per darsene, pontili.
Anche per questa problematica il discorso è analogo al precedente; le
concessioni devono rispettare il senso della misura e della
proporzionalità, tenendo particolarmente presente gli interessi dei
cittadini, specie quelli appartenenti alle categorie piu' povere e
disagiate che non possono permettersi la spiaggia data in concessione,
con pagamento d'ingresso, ombrellone ecc.
Per cui vanno alternate le concessioni con le spiagge libere, facendo
in modo che queste ultime non siano di qualità ed agibilità inferiore
alle prime, in modo da permettere alla popolazione non pagante di
sdraiarsi sulla sabbia e non sugli scogli, come i fachiri.
Al rischio, che per alcuni diventa argomento di pressione, che le
spiagge libere si trasformino poi in depositi di spazzatura, si
potrebbe ovviare con idee e fantasia, dando ad esempio la
responsabilità di tali zone a qualche associazione di volontariato, in
cambio di introiti ricavati da un servizio bar o di altro genere.
Anche la tendenza in atto di sottrarre tutti gli spazi a mare, ai lati
della direttrice del Corso Roma, per la creazioni di porti turistici,
darsene ed affini, appare molto pericolosa; significa togliere a larghi
strati di popolazione (che ad es. non vuole o non puo' fare uso della
macchina) la possibilità di fare il bagno gratuitamente e vicino casa,
creando all'interno della città aree riservate ai privilegiati e
precluse alla gente comune, in nome di un concetto distorto d'interesse
pubblico e di sviluppo turistico, che se continuerà di questo passo
finirà per distruggere il fascino e l'incanto di Gallipoli,
allontanando definitivamente il turista di qualità e lasciandoci quello
mordi e fuggi, come esempi piu' illustri di altre località ci hanno
purtroppo dimostrato.
Gli impianti per la nautica di diporto vanno fatti all'esterno della
città, in luoghi non sensibili esteticamente e paesaggisticamente, in
modo da evitare immissioni ulteriori di traffico e rispettare l'uso
comune.
Il demanio deve garantire una molteplicità di usi e funzioni a volte
concorrenziali tra di loro: pensiamo per il demanio marittimo alla
balneazione, all'uso della riva per lidi e campeggi, all'attività
sportiva, all'attracco dei natanti, alla costruzione di porti per le
esigenze della pesca, della navigazione mercantile e da diporto.
Il demanio artificiale non è da meno: tagli strade per diversi tipi di
canalizzazioni, passaggi per fibre ottiche, posa di antenne per
telefonia mobile, pannelli pubblicitari, insegne, segnaletica varia,
utilizzazione di area pubblica per commerci, spettacoli, esposizioni.
Tali utilizzazioni se da un lato sottraggono una parte considerevole di
demanio all'uso comune, sono, se usate con misura, indispensabili al
funzionamento dell'economia in generale e dei vari settori che la
compongono ed agiscono sul territorio.
Siccome le pressioni sul demanio si fanno sempre piu' forti, a causa di
diversi fattori fra i quali vi è la rarefazione dei terreni disponibili
ed il conseguente loro alto costo, occorre continuamente mediare tra le
diverse esigenze contrapposte, ricordando che il territorio e quindi
anche quello appartenente alla comunità pubblica, non è un bene
riproducibile.
La semplice gestione difensiva del demanio, basata essenzialmente sulla
risposta a richieste esterne, deve essere quindi sostituita da una sua
valorizzazione, in modo da poter determinare in anticipo, le possibili
utilizzazioni ottimali di tale patrimonio, in un'ottica non solo
economica ma anche di perseguimento di finalità pubbliche, in modo da
elevare la qualità di vita della popolazione.
Infine occorre sempre ricordare che l'Ente pubblico ha il compito
primario di tutelare e garantire l'uso generale del demanio che non é
alienabile, appartiene a tutti noi e dev'essere quindi trasmesso alle
generazioni future, possibilmente nell'integrità delle sue funzioni.
Questo significa, sopra ogni cosa, perseguire l'interesse pubblico.
Fredy Salomone