L'antica Fontana di Gallipoli

"Il rilievo resta una branca della critica architettonica, che distingue i conoscitori da coloro che restano alla superficie" (da: Paolo Sanpaolesi, Discorso sulla metodologia generale del restauro dei monumenti, Firenze 1973, ristampa 1990, p. 63, n.d.r.).

Per un necessario dibattito culturale abbiamo chiesto alla nostra concittadina arch. Simonetta PREVITERO un suo qualificato intervento sul restauro del famoso monumento della nostra Città. L'architetto aveva eseguito l'anno scorso ,su incarico dell'Amministrazione comunale ,il rilievo architettonico del monumento. Abbiamo notato , però, che l'esperto locale non è stato inserito nell'azione di restauro.Comunque noi vogliamo offrire agli uomini di cultura il suo prezioso contributo tecnico.

Il Rilievo per il Restauro della fontana di Gallipoli

Per i Gallipolini è la fontana per antonomasia, quella che, con i bassorilievi senza più espressione, ricorda l'impassibilità di alcuni pescatori, rocce di mare. Il prospetto nord della fontana, come è noto e documenatato, fu realizzato nel 1765, con lo scopo di decorare la struttura di sostegno dei blocchi lapidei che costituivano il prospetto sud.
Il prospetto sud, invece, privo di qualsiasi documentazione, incede muto negli anni, ponendo agli studiosi la fatidica domanda: opera dell'antichità o opera moderna?
Parte della critica lo considera un'opera rinascimentale o il risultato di una sorta di periodica manutenzione, iniziata in età pagana e consistente nel progressivo ripristino degli elementi lapidei deteriorati, mentre il Ravenna la riteneva un'opera greca. Il Pindinelli, più recentemente, ha espresso un'ipotesi che potrebbe essere avvalorata da alcune mie osservazioni, supponendo che elementi di un monumento più antico siano stati utilizzati in una nuova espressione e concettualità, attribuendo a figurazioni antiche riferimenti a miti di cui si era perduto nel tempo ogni memoria storica e tradizionale.
La nostra Fontana, come è evidente, fu realizzata con finalità artistica, oltre che pratica. Il prospetto sud è composto da lastre scolpite di calcarenite, che raffigurano tre scene mitologiche, inquadrate da due cariatidi e due telamoni, collocati su piedistalli alternati alla raffigurazione di putti che sorreggono vasche, il tutto sormontato da trabeazione con fregio.
Con estrema sintesi simbolica, nella rappresentazione dei tre miti un personaggio è sempre in posizione eretta, l'altro o gli altri, sono sdraiati, in una sorta di identico contrappunto, che ricorda le narrazioni epiche in rima.
I soggetti rappresentati sono sottesi da una intelaiatura geometrica con valenza architettonica.
Fontane di questo tipo sorsero a Roma a partire dal sec. XVI, preannunciando la componente scenografica dell'urbanistica barocca. Ricordiamo, ad esempio, la fontana dell'Acqua Paola di Giovanni Fontana e Flaminio Ponzio, la fontana eretta a Monte Citorio da Francesco da Volterra, la fontana del Principe di Palestrina di Pietro da Cortona, e pensiamo alla quinta architettonica alle spalle del Marforio4 nel cortile dei Musei Capitolini.
Le poche fonti relative al monumento simbolo di Gallipoli indicano quella che oggi vediamo come opera pensata nel XVI secolo. Nel 1513, infatti, quando il Galateo scriveva la sua epistola al Summonte, non c'era ancora traccia della fontana monumentale ma, alla distanza di circa un chilometro dalla città, esisteva una fonte non naturale, realizzata artificialmente con tecnica mirabile.
La nostra Fontana, come raccontava il Micetti, (?) fu fatta rusticamente in tempo che governava questa provincia Ferrante Goffredo in 1548 e poi condotta dove hoggi si trova nel 1560, nel Sindacato di Gio. Pietro Abbatitio, magnificamente adornata di molte statue di finissimo lavorio, che rappresentano diverse favole, tutte ignude; onde dalla pietosa modestia dei religiosi cittadini furono difformate, e guaste, mentre davano qualche scandalo per buttar acqua da tutte le parti pudende (?).
Dunque, secondo quanto riferito dal Micetti, nel 1560, a Gallipoli, si decise di realizzare una fontana monumentale, adorna di "statue di finissimo lavorio", in sostituzione di una "rustica" fontana realizzata dodici anni prima nei pressi della chiesa di S. Nicola ed evidentemente concepita con prevalente finalità pratica. Il Micetti non identifica i personaggi rappresentati, non cita i versi di Ausonio che ne ricordano la storia (probabilmente inseriti successivamente), né l'autore dell'opera, che non poteva essere un qualsiasi maestro scalpellino.
Racconta solo che la nudità dei personaggi scandalizzò a tal punto i pudici cittadini, che si decise di scalpellare le parti "pudende".

Nel marzo del 2003, con molto entusiasmo, ho svolto, su commissione del Comune di Gallipoli, il rilievo architettonico della fontana, al quale l'Amministrazione comunale non ha ritenuto di dover dare alcuna pubblicità.

Il rilievo è la rappresentazione del monumento, è il suo racconto e, come ogni racconto, è comunicazione di un'interpretazione personale, che si sforza di essere il più possibile obiettiva ed aderente a ciò che deve trasmettere. Come nella narrazione di un fatto si possono evidenziare alcuni particolari e tralasciare altri, così nel rilievo si selezionano i segni grafici. Per questo P. Sanpaolesi considerava il rilievo una branca della critica architettonica.
Ma a cosa serve il rilievo, nel restauro? Come scriveva C.F. Giuliani, il rilievo di un monumento, specie se condotto con un'assidua frequentazione, è garanzia d'originalità di risultati e d'acquisizioni, strumento essenziale per la comprensione del monumento al di là d'una troppo frequente e comoda "aderenza alle opinioni scritte o parlate diffuse al riguardo". Giuliani si riferiva, naturalmente, al rilievo diretto, che «costringe» chi lo esegue ad un periodico contatto col monumento, nel corso del quale, necessariamente, maturano delle riflessioni di carattere storico e tecnico. In questo breve contributo mi limiterò ad esporre alcune riflessioni scaturite direttamente ed esclusivamente dal rilievo del monumento, tralasciandone altre.

Le prime osservazioni, ovviamente, riguardano le dimensioni del monumento, nel caso specifico le dimensioni e la forma dei grossi blocchi che compongono il prospetto sud (fig. 1).
La fig 2 riporta lo schema di giunzione tra i blocchi lapidei. Il disegno evidenzia che:
1)i lati di uno stesso blocco possono essere anche molto irregolari e le dimensioni dei conci sono tali da non consentire la perfetta continuità tra i giunti, sia in senso orizzontale, sia verticale;
2)l'altezza e la larghezza dei blocchi verticali su cui sono scolpiti Bacco (da altri identificato con Anione, blocco 2), Venere (blocco 4) e Cauno (blocco 6) sono pareggiate rispettivamente con quelle di cariatidi/telamoni e dei blocchi orizzontali mediante l'aggiunta di altri conci lapidei;
3) il blocco orizzontale sulla destra (Biblide, blocco 5) è leggermente più lungo degli altri due;
4) tutte le figure sembrano essere state ricavate da blocchi parallelepipedi, che hanno conservato dimensioni leggermente superiori a quelle della figura scolpita e sono stati decorati con motivi fitomorfici. Fanno eccezione la cariatide ed il telamone centrali (le cui braccia sporgono rispetto alla parte retrostante del concio), ed il blocco con Salmace ed Ermafrodito (la cui testa non è inscritta nel rettangolo del blocco di cui fa parte, ma sporge fino a toccare la base della cariatide).
5)La scultura di Salmace ed Ermafrodito (blocco 3) non ha i lati ortogonali. Esaminato da vicino, il blocco risulta scalpellato ed accorciato lungo i lati minori.
Il danneggiamento dei blocchi nel corso di un frettoloso montaggio potrebbe spiegare solo in minima parte l'irregolarità delle dimensioni e del profilo dei blocchi, nonché la riduzione delle dimensioni di alcuni di essi.
Nella seconda parte della figura 2 ho provato a disegnare il fronte sud considerando, per i blocchi che costituiscono la cariatide ed il telamone centrale, una larghezza pari a quella misurata da una estremità all'altra dei gomiti delle figure, ed ho rappresentato il blocco con Salmace ed Ermafrodito della lunghezza che avrebbe avuto se avesse conservato i lati ortogonali e le figure inscritte all'interno del rettangolo.
Sovrapponendo la trabeazione al prospetto così dimensionato, si osserva che la trabeazione con il fregio decorato a racemi intrecciati tra i quali si dipana la narrazione delle fatiche di Ercole, sarebbe troppo corto rispetto al prospetto.
È allora lecito chiedersi: il prospetto sud è stato accorciato per essere adattato alla lunghezza della trabeazione o la trabeazione è stata realizzata dopo il montaggio dei blocchi nel prospetto? 

Osservando poi il profilo dei blocchi notiamo che:
a)la sezione del dorso del toro del primo blocco orizzontale e la rappresentazione del paesaggio del secondo blocco sporgono rispetto alla parte piana arretrata del blocco su cui è scolpito il piedistallo del telamone (foto 1);
b)la parte inferiore della rappresentazione di Venere, pur essendo mutila della parte terminale dei piedi, è sporgente rispetto al corpo di Salmace;
c)il blocco orizzontale sulla destra (Biblide, blocco 5) è stato scalpellato in corrispondenza dei piedi e della nuvola-cuscino su cui Biblide li poggia, onde eliminare la sporgenza dovuta allo spessore della nuvola.
Per evitare le citate discontinuità, i blocchi 1, 3 e 4 avrebbero dovuto essere scalpellati, come è accaduto per il blocco 5, oppure messi in opera su piani più arretrati di quelli sui quali sono stati montati.
Una continuità perfetta si riscontra, invece, tra i blocchi scolpiti costituenti la trabeazione e tra quelli del basamento, costituito da vasche rette da putti alternate a piedistalli.
Continuando a guardare il profilo a destra del blocco 1 e il profilo a sinistra del blocco 3 si osserva inoltre una sorta di continuità nelle modanature terminali: al dorso del toro, che determina un ispessimento nella parte alta del blocco a destra, ed un successivo assottigliamento, corrisponde, nel blocco a sinistra, una identica modanatura. Ciò non si sarebbe verificato se, ad esempio, il blocco 1 fosse stato collocato al posto del blocco 5.
Queste osservazioni inducono a supporre che:
a)i blocchi numerati in figura siano stati scolpiti per essere messi in opera in una posizione leggermente diversa da quella attuale,
b)se cariatidi e telamoni furono scolpiti per reggere l'attuale trabeazione, tale struttura non inquadrava i blocchi attuali (rappresentazione dei miti), che facevano parte di un'opera diversa.

Pertanto il prospetto sud potrebbe essere il risultato dell'allestimento in una composizione unitaria (operato nel 1560) di blocchi decorati di diversa provenienza e di parti realizzate appositamente per conferire all'opera la funzione di fontana. Fra questi ultimi sicuramente il basamento costituito da vasche alternate a piedistalli.
L'assemblaggio richiese la scalpellatura delle superfici laterali di alcuni blocchi di reimpiego, per renderne rettilinei i lati e/o accorciarli, e l'aggiunta di altri blocchi per pareggiare altezze diverse.
Inizialmente si pensò di far sgorgare l'acqua anche dai fori aperti nella figure scolpite, ma questo urtò la suscettibilità dei religiosi della città, che censurarono l'idea, «appiattirono» i corpi delle figure e «chiusero» gli scandalosi «rubinetti».
Se mai acqua fosse sgorgata dai fori disordinatamente aperti nelle figure sdraiate, sarà stato per un brevissimo periodo, mentre le incrostazioni calcaree dimostrano che per molto più tempo l'acqua è sgorgata dai fori nelle vasche e nei piedistalli del basamento. Inoltre il fatto che i fori siano distribuiti senza una regola geometrica sulla superficie scolpita, contrasta con l'armonia che presiede a tutta la composizione, facendomi pensare che essi siano stati aperti da persona diversa dall'autore dell'opera di scultura.
Pezzi provenienti da opere diverse o montati diversamente in una stessa opera (ad eccezione della trabeazione, che sicuramente ha diversa provenienza) hanno raggiunto nella nostra fontana una nuova unità figurativa, costituendo un' opera d'arte che merita di essere studiata e conservata.

Le indagini sui materiali di finitura superficiali, se condotte su campioni opportunamente prelevati, potrebbero indicarci i gruppi di blocchi che, nel tempo, hanno subito gli stessi trattamenti superficiali e dunque, presumibilmente, hanno una storia che li accomuna sin dall'origine. Chiaramente, a questo scopo, sarà inutile, ad esempio, prelevare campioni dalle superfici che la "pietosa modestia" impose di scalpellare e che sono stati ricoperti, negli anni, di vari strati di scialbo.
Sarà necessario individuare zone il più possibile «indisturbate», appartenenti a blocchi diversi e procedere ad una analisi comparata che consenta di stabilire delle relazioni tra le informazioni rilevate dai vari campioni.
Mi è stato chiesto se esiste un'indagine di laboratorio, cioè di tipo fisico o chimico, che possa datare la pietra e quindi la lavorazione dei blocchi. Purtroppo no. È in fase di sperimentazione l'uso della Luminescenza Stimolata Otticamente, grazie alla quale si può stabilire da quanto tempo una superficie marmorea non è più esposta alla luce, e quindi, ad esempio, da quanto tempo la base di una statua conserva una determinata collocazione. Per ora non è possibile applicare questa tecnica alla calcarenite. Se anche un giorno fosse possibile utilizzarla, potremmo solo sapere se è vero che, come hanno riferito il Micetti ed il Ravenna, questi blocchi sono stati messi in opera con l'attuale palinsesto nel 1560.

Una perplessità che nasce dal rilievo e che meriterebbe un'indagine di carattere storico-tecnico, condotta con mezzi adeguati, è la differenza di larghezza tra prospetto est e prospetto ovest.
Ma veniamo a ciò che, ictu oculi, possiamo vagliare. L'esame del prospetto est (fig. 3) indica la presenza di lesioni verticali e di biffe di controllo, nonché di una barra di ferro, della quale non è possibile valutare la lunghezza, in quanto non ispezionabile, passante poco al di sopra della cornice del prospetto sud. Le fessurazioni, visibili anche sul prospetto ovest, sono sintomo di un distacco tra le parti che compongono la fontana (nucleo centrale e paramenti), con la formazione di elementi strutturali più deboli ed una maldistribuzione dei carichi, costituiti soprattutto dal settecentesco fastigio della fontana. La forma delle lesioni nella mezzeria del prospetto nord (fig. 4), la lesione nell'architrave del prospetto sud e quelle nella mezzeria e nella già malamente rabberciata estremità ovest del fregio parlano chiaramente. Allo slegamento tra le parti della struttura potrebbe aver contribuito l'incauto e, per quel che ne so, immotivato inserimento della citata barra di ferro, ora arrugginita.
Non potendo approfondire l'argomento sulla base del solo rilievo, non mi dilungherò in ulteriori considerazioni di carattere tecnico (lesione in basso a sinistra e rotazione dell'elemento decorativo a destra nel prospetto nord, ecc.), limitandomi ad osservare come gli incauti interventi possano diventare più pericolosi dell'incuria e ricordando che l'intervento strutturale più efficace è sempre il "minimo intervento".

Il rilievo evidenzia anche la manifestazione di diverse forme di degrado del materiale lapideo, la cui causa è normalmente attribuita all'aerosol marino. A parte il fatto che alcune figure sono prive degli arti, osserviamo che la parte delle sculture più deteriorata è quella rivolta a sud, esposta all'erosione dello scirocco, che doveva anche essere quella più lavorata. L'azione dello scalpello determina infatti un indebolimento del materiale, cui conferisce una serie di microscopiche discontinuità superficiali (che si aggiungono a quelle già eventualmente possedute dal materiale), nelle quali si concentrano tensioni di trazione procurate dagli agenti atmosferici.
I blocchi del terzo registro (i blocchi 7, 2 ,9 ,4 ,11 ,6 ,13 ed i blocchi attigui sui quali si intravedono appena i bassorilievi floreali) appaiono più deteriorati di quelli del secondo registro che, evidentemente, essendo più facilmente raggiungibili, sono stati oggetto di una sorta di periodica manutenzione consistente nella protezione mediante scialbature delle quali rimane traccia.
Il degrado superficiale del prospetto sud della fontana deriva in buona parte dal fatto che i blocchi che la compongono hanno subito una serie di traumi, cioè di sollecitazioni meccaniche dovute a eventi che non conosciamo, tra cui, forse, smontaggio, trasporto e rimontaggio, oltre alla scalpellatura ricordata dal Micetti, che hanno prodotto microfratture divenute punto d'innesco di un processo di ulteriore degrado, accelerato dall'esposizione del materiale all'aerosol marino, alla pioggia, al vento ed alle escursioni termiche.

Chiudo con l'augurio che pian piano si possa documentare e ricostruire la storia della nostra Fontana, ed a tal proposito cito un pensiero di M. Yourcenar, che ben si adatta all'argomento: "ricostruire significa collaborare con il tempo nel suo aspetto di "passato", coglierne lo spirito (?) scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti".


Simonetta Previtero

Dottore di ricerca in storia dell'Architettura e dell'Urbanistica
Specialista in Restauro dei Monumenti