Consalvo di Cordova, Generale dell'esercito spagnolo, detto anche il
Gran Capitano a ragione delle sue memorabili imprese militari condotte
che portarono, sotto la sua guida, in pochi mesi nell'anno 1501, alla
conquista di molte province del regno di Napoli, compresa Terra
d'Otranto, ebbe , purtuttavia , con i nostri Antenati relazioni di
stima e di ammirazione.
Infatti, Consalvo di Cordova, conquistata Terra d'Otranto, che secondo
l'alleanza di Granata fra Ludovico XII re di Francia e Ferdinando il
Cattolico re di Spagna toccava agli spagnoli, venne a Gallipoli e
avanzò la proposta di una resa onorata e a favorevoli condizioni.
Ma il Castellano ed il Sindaco respinsero con dignità la proposta,
dichiarando la piena e assolutà fedeltà al loro legittimo sovrano
Federico d' Aragona e benché a corto di munizioni e sforniti di viveri,
dichiararono di essere pronti alla resistenza.
Il Generale Consalvo pure apprezzando il comportamento dei
gallipolitani assediò, comunque, la città con le sue milizie,
saccheggiando le campagne e uccidendo molto bestiame dei gallipolitani,
i quali subirono, con rassegnazione e per parecchi mesi, ogni sorta di
danno, anche perché in attesa delle promesse dei soccorsi di viveri e
di munizioni che il Duca faceva loro con lettere che inviava dal
castello di Taranto, dove si era chiuso.
Ma quando il Castellano Sancio Roccio, essendo capitolato il Duca
Ferdinando, ritenne inutile ogni ulteriore resistenza, anch'Egli
capitolò, consegnando il castello alle milizie spagnole, anche i
gallipolitani, per dure necessità, si arreserò a Consalvo, il quale
intese quasi premiarli per questo loro gesto e per la loro tenace
fedeltà agli Aragonesi, predisponendo e firmando una capitolazione
composta di 15 articoli tutti favorevoli alla nostra città.
Capitolazione scritta in italiano e in spagnolo che Consalvo suggellò
in un suo diploma, come Luogotenente Generale, dalla residenza degli
accampamenti presso Taranto, negli ultimi giorni di dicembre del 1501.
Gli articoli di cui alla capitolazione si possono leggere al cap. 4 del libro
"MEMORIE-ISTORICHE-DELLA-CITTA'-DI-GALLIPOLI" di
Bartolomeo Ravenna.
Qui ne trascriviamo solo alcuni:
1° che i cittadini godessero indulto generale per tutti i delitti commessi nella presente guerra;
2° che tutte le grazie contenute nè privilegi, patenti, capitali,
lettere e scritture di Gallipoli restassero confirmate, al pari degli
usi e statuti;
3° che fossero rifatti ai Gallipolitani tutti i danni ricevuti in quella guerra;
7° che non possano essere molestati li cittadini Gallipolitani dai creditori forestieri per lo spazio di 3 anni;
12° che li Baroni sieno costretti et obbligati restituire alli
cittadini Gallipolitani tutti li loro beni cosi mobili come stabili,
che si trovassero nelli loro luoghi;
14° che li beni degli Ebrei cittadini sieno restituiti dai detentori, che indebitamente l'hanno occupati;
15° ET per ultimo che sieno confirmati nelli loro uffici cosi li
Dohaneri, come Giudici, Notari, et tutte l'altre persone privilegiate.
Ma in seguito Consalvo ebbe modo di verificare direttamente, di persona
la fedeltà e l'attacamento al senso del dovere di cui erano capaci i
gallipolitani.
Infatti, subito dopo la spartizione del regno di Napoli fra il re di
Francia e quello di Spagna, i francesi non contenti della stabilita
ripartizione , invasero TRIBALDA sul confine della spartizione che gli
spagnoli ritenevano fosse assegnata a loro. Questo strascico mise in
urto le due parti e ben presto divenne causa di una nuova guerra fra
loro.
Fu, appunto, in questa circostanza che il Gran Capitano Consalvo
sperimentò, e questa volta in suo favore, la tenace fedeltà dei
gallipolini, schierati dalla sua parte, i quali assediati dai francesi
seppero resistere ed ancora meglio resistettero quando a essi si unì il
Duca di Ferrandina, Giovanni Castriota, con tutti i comprovinciali che
erano rimasti fedeli al re di Spagna.
La guerra che provocò a Gallipoli, con la devastazione di buona parte
del suo territorio, danni ingenti per quei tempi, valutabili in circa
40.000 ducati, finì ai primi di gennaio del 1504 con la totale
sconfitta e cacciata dei francesi.
Consalvo dichiarò allora, con entusiasmo, in una lettera scritta da
Bari, la sua ammirazione per il coraggio e la fedeltà dei gallipolini
di cui furono capaci nella circostanza di guerra e volle,
successivamente, premiarli con un diploma di 11 capitoli di privilegi,
rilasciato come Vice Re del regno di Napoli; e finita la guerra, quando
Ferdinando il Cattolico si recò a Napoli e l'Università (Comune) nostra
intese mandare suoi Rappresentanti per omaggiare il Re, fu Consalvo a
presentarli e a lodarli davanti al Re, il quale concesse, anch'Egli, ai
gallipolitani, in data 23 febbraio 1507, un diploma di 7 capitoli di
privilegi.
Il Gran Capitano Consalvo di Cordova fu dunque un grande ammiratore e
testimone delle qualità morali, dell'attacamento al senso del dovere e
delle capacità di azione dei nostri Antenati che permisero allo stesso
Generale di legarsi con la nostra città da un rapporto improntato a
reciproca stima.
Ed è per questo che il Canonico Decano D'Elia propose al Sindaco del
tempo che a Consalvo di Cordova fosse intitolata una via del Borgo, per
modo che rimanesse traccia di queste ottime relazioni così da essere
rammentate e conosciute anche dalle future generazioni.
VIA G. G. RUSSO
Gian Giacomo Russo nacque sul finire del secolo XVI da Oliverio e dalla N. D. Signora Mazzucci.
Entrambi le famiglie erano antichissime e patrizie, imparentate con
altre famiglie, pure anch'esse antichissime e patrizie che diedero alla
città vari sindaci.
In particolare la famiglia Russo, detta anche Rosso o de Rossi, già
estinta da 3 secoli, diete pure a Gallipoli due regi Governatori:
Partenio nel 1668 ed il Maestro di Campo Filippo Russo nel 1690.
Giangiacomo nella sua fanciullezza ebbe vari precettori e preso l'abito
clericale, apprese dal suo Vescovo spagnolo Alfonso Errera le lettere
umane, la geografia e i principi della filosofia platonica.
Approfonditosi, successivamente, negli studi teolologici e giuridici conseguì la laurea dottorale in teologia.
Di poi divenuto sacerdote, per i suoi riconosciuti meriti di dottrina e
di moralità gli furono conferiti, via via, dai suoi Vescovi posti di
dignità nel Capitolo sino ad arrivare a svolgere le funzioni di Vicario
Generale con il Vescovo Consalvo De Rueda.
E cosa ancora più importante per lui; fu la nomina di Protonotario
Apostolico, conferitagli dalla Curia Romana.
Ma il Russo fu, anche, un ricercatore paziente e un diligente raccoglitore di documenti e scritture antiche.
Scrisse 4 opere storiche riguardanti la nostra città:
1) Galleria sacra,
2) La nave di Idomeneo ( purtroppo di queste due opere,scritte in
volgare italiano,non v'è alcuna traccia,in quanto si sono smarrite e
non se ne conosce il contenuto),
3) Teatro (ossia vita e serie di Vescovi di Gallipoli) anche questa
scritta in volgare italiano.In quest'opera tratta della vita e delle
opere di soli 19 Vescovi, compreso Monsignor Consalvo De Rueda, allora
vivente, e dà del Vescovo Alfonso Errera, suo coetaneo e successore del
Vescovo Pelegro Cibo, questo giudizio sintetico: " Nel suo procedere
era tanto schietto, quanto era l'animo, ch'Egli avea ". Infatti Costui,
appartenente ad una famiglia povera, benché onorata, rimase sempre
integro e ligio ai suoi doveri e cercò con ogni mezzo e fra mille
difficoltà di rimuovere le cause che avevano portato alla rilassatezza
dei costumi, tanto fra gli Ecclesiastici quanto fra i secolari.E per
questi ed altri suoi meriti riuscì a rendersi amico di molti Principi,
sino a diventare il Cappellano di Giovanni d'Austria, figlio di Carlo V.
4) Topografia di Gallipoli , scritta in latino e composta di 3 libri.
Di quest'opera, prima Bartolomeo Ravenna e poi il Canonico Decano
D'Elia affermavano di aver letto solo il primo libro e nonostante le
loro appassionate ricerche, spinti anche dal desiderio culturale di
conoscere gli altri due, non riuscirono mai a rinvenire alcuna traccia,
forse perché smarriti o non pubblicati per modestia dello stesso
autore, insieme ad altri suoi manoscritti.
A differenza di tutti gli scrittori o cronisti della provincia di Terra
d'Otranto vissuti nel secolo XVII, il Russo scriveva le sue opere dopo
aver raccolto e verificato la documentazione ed ogni notizia relativa
all'argomento da trattare.
Infatti molti sedicenti scrittori o cronisti contemporanei del Russo
scrivevano generalmente, avendo una scarsa o quasi nulla informazione
sui fatti da narrare e a volte inventando, afferma il D'Elia, persone,
fatti e, persino, luoghi, tempi e circostanze.
Non vi era, dunque, alla base di questi scritti una documentazione, frutto di una appassionata ricerca.
Così accadeva, pure, che un fatto narrato, per il quale non si
disponeva di una completa documentazione ma che poteva essere
considerata verosimile, veniva spesso ampliato, contorto a seconda
dell'umore o l'interesse dello pseudo scrittore.
E ciò che peggio uno strafalcione scritto da qualcuno che si
qualificava storico o cronista, per quanto fosse inverosimile, veniva
accettato per verità e veniva poi ripetuto dagli scrittori successivi.
Il Russo si mantenne fuori da questo gruppo che il D'Elia definì " Associazione di falsari ".
Egli, infatti, abbiamo già detto, fu un paziente e diligente
ricercatore e raccoglitore di documenti e scritture antiche e nello
scrivere fu molto scrupoloso, attenendosi sempre alla documentazione
rinvenuta.
Questo suo stile lo si rileva dall'opera " Teatro dei Vescovi di
Gallipoli " dove scrive solo di 19 Vescovi e non degli altri che in
tanti secoli ebbe Gallipoli e per i quali non aveva alcun documento.
Infatti nella prefazione Egli così scrive: " Avrei voluto io in questo
trattato scrivere non pur di tutti i Vescovi che successivamente in
questa città sono stati, ma descender anco al particolare delle cose da
loro fatte.
Però per molta diligenza ch'io abbia usato non è stato possibile
sin'ora averne più piena cognizione di quello che qui si può leggere".
Così D'Elia propose, al Sindaco del tempo il nome dell' Ill. Concitt.
Gian Giacomo Russo, perché gli venisse titolata una via del borgo, non
già per onorare il suo Casato o per la laurea dottorale conseguita o
per i numerosi posti di dignità ecclesiastica di cui fu investito, ma
unicamente perché Egli fu scrittore di storia patria autentico, zelante
e scrupoloso, non avendo mai pubblicato alcunché che non sia stato
interamente documentato.
Luigi Parisi