"Registro de Privileggii"

Prima di passare ad una breve rassegna dei criteri adottati nell'edizione del "Registro dei Privilegi di Gallipoli", un doveroso e sentito grazie si desidera rivolgere all'Anxa per l'invito a dare notizia del lavoro sulle pagine del giornale, e all'Amministrazione Comunale per l'attenzione rivolta all'impegno di una studiosa, che con la pubblicazione del lavoro prima richiamato si avvia, molto ambiziosamente forse, all'attività di ricerca.
Consapevole degli inevitabili limiti presenti in ogni lavoro, e ancor più prevedibili nelle prime esperienze condotte in un campo così impegnativo ed insidioso come quello dello studio delle fonti, e di fonti giunte in copia, un riconoscente pensiero va a quanti, nell'ambito degli studi locali, hanno aperto la strada con una serie di conoscenze preziosissime, ed in grado di completare e arricchire anche in prospettiva i temi e gli argomenti affrontati.
Al volume, perciò, relativo all'edizione del Registro de Privileggii dell'Università di Gallipoli è stato dato il sovratitolo di Libro Rosso, in quanto materiale documentario trascritto e raccolto, alla maniera dei Libri Rossi, in maniera unitaria tra XVI e XVII secolo e, perciò, assolutamente appartenente, sia sotto la veste formale che sostanziale, alla categoria dei "Libri Rossi". L'inserimento di altro materiale sparso esistente della stessa Università sarebbe stata una ricostruzione a posteriori. Da un punto di vista metodologico, questo potrà rientrare nell'eventuale progetto di un codex in cui raccogliere tutta la documentazione gallipolina. Quanto presente nel Registro si riferisce, dunque, ai diritti della città di Gallipoli, alle questioni relative alle spinte autonomistiche della stessa e comuni a tutte le comunità urbane del Mezzogiorno, ai rapporti spesso tesi con la Corona, ai rapporti animatamente dialettici fra popolari, patrizi e nobili. Per questa serie di ragioni si è scelto il criterio di restituire il Registro nella sua unità di corpus, di raccolta cioè giuridico-politico-amministrativa, identità di una realtà urbana, che nella autonomia amministrativa, altra cosa dalla autonomia politica, rimaneva legata, con le delibere del consiglio presentate sotto forma di suppliche alla Corona e con il regio placet non sempre rilasciato, all'ordinamento unitario del Regno, attraverso il sovrano, fonte del diritto, nonostante le spinte autonomistiche condivise, ma per differenti ragioni, da nobili, patrizi e popolari.
Se non fosse stato per gli incoraggiamenti, e -un po' anche- per l'intraprendenza propria della giovane studiosa, le ragioni prima richiamate avrebbero dovuto scoraggiare dall'impresa. Esitazioni in parte superate, tuttavia, una volta individuato il limite da dare al lavoro, quello cioè di fornire, con la restituzione del Registro nella sua unità, uno strumento di lavoro, suscettibile, per il suo genere e per la sua natura, di ulteriori arricchimenti, quali la scoperta di nuovo materiale documentario, auspicabilmente in orginale, in grado di offrire definitive garanzie, sia pure parziali, all'attendibilità di quello così pervenuto in copie tarde, e pur sempre valido sulla base di analisi diplomatistiche e di riscontri storici. 

L'esistenza di due testimoni, poi, quello custodito presso la Biblioteca Comunale di Gallipoli e quello conservato presso l'Archivio di Stato di Lecce, imponeva una scelta. Dopo la necessaria ricognizione presso l'Archivio di Stato di Napoli per l'eventuale esistenza di un'ulteriore copia, si è optato a favore del testimone leccese sulla base di alcune considerazioni:
1) la presenza del privilegio federiciano del 1200 relativo alla competenza territoriale della curia di Gallipoli in civile e in penale ad esclusione dei procedimenti di lesa maestà, giunto a sua volta in copia come dimostra la scrittura del testimone pervenuto, presente in copia cinquecentesca conservata presso la Biblioteca Comunale di Gallipoli;
2) la presenza dell'inserto angioino relativo agli anni 1268-1270, di indubbio rilievo non solo per la memoria delle notizie contenute, ma per il recupero di per sé di una documentazione che, anche se inserita in epoca ottocentesca, risponde a quella riportata dai Registri Angioini;
3) la presenza delle collazioni operate fra Cinque e Seicento dai notai per alcuni dei quali, come lo Sgura e il Demetrio, si è potuta così ricordare l'attività tramite i protocolli custoditi presso l'Archivio di Stato di Lecce, o tramite il richiamo del nome (è il caso dei notai Fersini, Almandrino e Calò, quest'ultimo compare, però, anche come sindaco) in atti di altri notai.
Strumento di lavoro dunque le cui lacune, sempre inevitabili nelle edizioni di fonti pervenute in copia per la possibilità che nel posto più impensato, e che per questo può essere anche il più vicino, esista altro materiale e originali dello stesso.
Avendo verificato ciò, avendo riscontrato la presenza di diverse copie, in alcuni casi, dello stesso documento, si è ritenuto non intervenire, essendo stato richiamato il lavoro di Elio Pindinelli (L'archivio delle scritture antiche dell'Università di Gallipoli, Gallipoli 2003).

Amalia Ingrosso