Per i tipi della Capone Editore di Cavallino, è stato pubblicato il libro dell'On. Giacinto Urso, "Storia e Storie [Riflessioni su politica e società (1999-2006)]" (giugno 2006).
Si tratta di un poderoso volume (400 pagine), in formato 8° grande, dall'elegante veste tipografica, nel quale sono raccolti 145 articoli che il politico della Democrazia Cristiana, nato a Nociglia ma vivente da 60 anni a Lecce, oggi ottantenne, ha scritto nella rubrica domenicale "Periscopio" del «Quotidiano di Lecce».
Nella sua Introduzione, Adelmo Gaetani, vicedirettore di «Quotidiano», scrive che il lavoro di riflessione fatto da Giacinto Urso «è stato un lavoro a tutto campo, capace di percorrere i principali snodi dell'ultimo mezzo secolo di storia, attingendo ai ricordi e alla conoscenza diretta di tanti protagonisti della vita pubblica internazionale, nazionale e, naturalmente, salentina. Ma è stato anche un lavoro attento all'attualità, all'evoluzione della politica, della società e dei suoi costumi» (pp. 5-6). Filosoficamente kantiano è il giudizio che Gaetani dà del metodo utilizzato dall'autore per valutare la realtà fenomenica. Concordo pienamente con quanto egli scrive: «Quello di Giacinto Urso è un metodo che mai anticipa il giudizio al ragionamento, che mai anticipa o affretta le conclusioni. Anzi, per lui il giudizio richiede i suoi tempi di maturazione e il necessario approfondimento, oltre che la puntuale conoscenza dei temi trattati. Solo così le scelte diventano fondate, capaci di convincere, perciò utili e, infine, difendibili» (pp. 6-7). Ineccepibile.
Dal canto suo Donato Valli, autore della Presentazione, esplicita il profondo legame amicale che lo lega da oltre cinquant'anni all'uomo politico salentino, svelandoci alcuni tratti inediti della sua personalità, «la domesticità dell'uomo, quello degli atti quotidiani, quello che si confronta con la ordinarietà della vita: la famiglia, la casa, la società; l'uomo che incontra tutti, che parla con tutti e che diventa un modello di fedeltà verso se stesso e i propri ideali» (p. 9), trasformandosi «nell'artigiano della politica nel senso più alto e nobile del termine... Il suo impegno, la sua preparazione, il suo slancio sono tali che gli avrebbero consentito di costruire ipotesi dottrinali di teorie in linea con i tempi incalzanti della prassi politica; ma egli ha sempre preferito consapevolmente di restare l'operatore della concretezza, l'organizzatore del consenso sociale, il modello dell'impegno disinteressato» (p. 10); «le caratteristiche morali dell'uomo Giacinto Urso - aggiunge Valli - che hanno disegnato il suo temperamento ben al di là del fervore attivistico del suo impegno quotidiano di cittadino e di politico. Innanzi tutto un fervore dell'azione che nasce da una visione pessimistica della realtà, da una insoddisfazione interiore che propone sempre nuove scoperte e lo spinge ad essere instancabile esploratore dell'anima umana e delle contraddizioni della società. Insomma, Giacinto Urso non è l'uomo delle certezze dogmatiche, ma delle verità possibili.» (p. 11). Tutto assolutamente vero.
I temi affrontati dall'On. Giacinto Urso nelle sue riflessioni domenicali su «Quotidiano», oggi raccolte in volume, spaziano su un territorio storico-politico-letterario dagli orizzonti vastissimi: politica estera e politica nazionale; temi della libertà e della democrazia di un popolo e lotta al terrorismo, lotta ai revisionismi comunque camuffati, il ricordo di Alcide De Gasperi, e quello del suo amico e maestro Aldo Moro; i problemi legati alla territorialità, in particolare Lecce e il Salento, ai retaggi del passato, alle speranze future, ad un "Salento unito per contare di più"; la condizione economica del Mezzogiorno d'Italia, il suo ritardo come sviluppo complessivo e ai percorsi da attraversare per uscire da un ristagno che dura ormai dall'inizio dell'unità nazionale; i temi della DC, il suo partito, e quelli degli altri partiti, nessuno escluso; la Chiesa e le chiese, il papa, l'arcivescovo, i sacerdoti, un mondo di cultualità a cui Giacinto Urso è rimasto fedele sempre; gli attraversamenti istituzionali, la prima e la seconda Repubblica, la difesa della Carta fondamentale del nostro stato ("La Costituzione non si riscrive..."; i problemi della pace e quelli dell'instabilità continua in molte regioni del pianeta con bellissimi riferimenti all'apostolo della pace salentino, l'arcivescovo marciatore d. Tonino Bello di Tricase; il problema dell'immigrazione, nuovo fenomeno dalle dimensioni bibliche, e quello delle Forze armate, il ricordo de "I martiri di Nassiriya e l'amor di patria". Mi fermo qui, solo per una questione di spazi e di convenienze, precisando che sono ancora tanti e tanti atri e differenti i territori storico-politico-letterari che l'autore ha attraversato. Ma su due sue riflessioni, che mi hanno toccato da vicino e che a suo tempo ebbi modo di esternare positivamente all'On. Giacinto Urso, intendo soffermarmi.
In "Sessant'anni di democrazia, il 25 luglio non è solo una data" (p. 223), pubblicato su «Quotidiano» la domenica 20 luglio 2003, l'autore fa una riflessione autobiografica allo stesso tempo commovente e carica di significati morali indiscutibili. Ricorda che quella data significò per il popolo italiano la caduta del fascismo e l'arresto di Mussolini. Scrive: «nel mio paese non vi erano stati mai grandi slanci verso il fascismo che, localmente, di truce aveva ben poco. Però, l'improvviso accadimento turbò l'ambiente, acuendo lo smarrimento generale, legato alle svariate incertezze del momento e, in particolare, alla consapevolezza che, oramai, la guerra era perduta e, quindi, il destino comune si avviava a divenire ancora più fosco e travagliato... ogni persona riceveva al giorno, e non sempre, duecento grammi di pane, pochissima pasta, un pugno di legumi, un filo d'olio, raramente la carne. Mancava il vestiario. Gli scarsi mezzi di locomozione erano fermi per carenza di carburante e di pneumatici... Ma quello che più angustiava era la profonda tristezza, circolante nelle famiglie e nelle case. Gli anziani afflitti... I giovani validi erano al fronte e davano scarse notizie, che divenivano repentine solo nelle comunicazioni di morte... In questo calvario, le donne, ritualmente vestite di nero, intonavano spesso toccanti nenie funebri. I piccoli attoniti non riuscivano a capire quanto accadeva e trovavano rifugio tra i grembliuloni delle nonne e delle madri». Giacinto Urso fa questa descrizione di dolore della sua Nociglia di sessant'anni fa, «perché - scrive - la memoria è essenziale. Innanzitutto per conoscere meglio se stessi per far capire da dove si viene, per raccontare agli assenti il travagliato vissuto delle generazioni anni Quaranta». Scrivendo poi in terza persona dice che «in quella giornata del 25 luglio, non tutto del raccontato venne alla mente. Anzi lo smarrimento bloccò i pensieri e ammutoliti, a notte, non si ebbe sonno, accusando brividi e paure./ Si avvertì, però tutto intero, il senso della tragedia, unito a qualche barlume di speranza che, immancabilmente, il nuovo doveva provocare./ Sembro così di percepire una timida sensazione di libertà, parola sconosciuta, che bussava alla nostra acerba coscienza democratica per chiedere attenzione e condivisione» (pp. 223-225).
Ho ripreso questo lungo passo del libro perché in esso trovo tutta la forza morale e civile dell'autore Giacinto Urso che, in una situazione di forte sbandamento sociale, si sente smarrito, ammutolisce, non dorme, sente i brividi e ha paura. È questa una pagina di una bellezza letteraria eccezionale, e non poteva passare sotto voce.
L'altra riflessione che mi ha provocato emozione è quella pubblicata sul giornale il 7 settembre 2003 col titolo "Dopo l'8 settembre la Patria nacque proprio dal Salento", nel libro alle pp. 232-234. Bella, tanto che verrebbe voglia di riportarla per intero, ma qui mi limito solo a citare le conclusioni dell'autore: «in quell'otto settembre di sessant'anni or sono, si superò il rischio incombente della "morte della Patria". Lo decise la passione patriottica e resistente della gente del Sud, della Puglia e del Salento che seppe anticipare quel grande fenomeno nazionale di Liberazione, che fu la lotta partigiana organizzata dal Centro-Nord. È tempo che la storia lo riconosca e che le nuove generazioni, meditando, lo sappiano per rendere memoria e gratitudine». Grazie, On.. Urso, per queste sue parole di autentico patriottismo e di amore per la verità.
Nel libro editato dalla Capone Editore non tutte le note "periscopiche" di Giacinto Urso sono state riportate. Personalmente ne conosco alcune ignorate che sono di una validità fondamentale; mi riferisco a quella del 25 aprile 2001, col titolo "Il 25 aprile, patrimonio..."; quella del 28 aprile 2002, col titolo "La Resistenza in Puglia"; quella del 26 aprile 2004, col titolo "S'impone un ritorno ai grandi ideali"; quella del 24 aprile 2005, col titolo "Il 25 Aprile, una scelta di libertà e democrazia".
Mi piace chiudere questa nota con un riferimento alla dedica che l'autore antepone al libro: «A Rosaria, consorte mia, e a Vito, nostro figlio, che luce non vide», una triste storia che ha toccato anche me.
Maurizio NOCERA