Fogli ingialliti

Lu Minoru

Residui di pasta di formaggio che le lavoranti delle masserie avvoltolavano nel palmo della mano, come bocconcini, per poi nasconderli nella sacca del grembiule.
Lu minoru (minore, piccolo, ecc.) era la cena per i figlioletti rimasti a casa, che pigolanti come uccellini aspettavano la mamma per gustare quella specie di mozzarellina e il pane di grano, che la povera donna riusciva a risparmiare dalla sua porzione nella mensa aziendale.
Il massaro vedeva e lasciava andare, vista la miseria imperante. Ma la sera della vigilia di Natale di quell'anno, prima della chiusura dell'azienda, comparve il marchese in persona per fare gli auguri a tutti i dipendenti.
Il massaro, colto di sorpresa, fece svuotare a tutte le lavoranti le sacche del grembiule alla ricerca del minoru, dicendo ad alta voce che la storia del minoru doveva finire.
Il marchese volle notizie sul minoru, e quando seppe diede ordine di distribuire a tutte una pezza di formaggio fresco per la notte di Natale. Cosa che il massaro fece, contento in cuor suo di essersi reso ancora una volta utile ai bisogni dei più poveri. Poi il marchese volle salutare tutti, e si accorse che una lavorante non aveva avuto la pezza di formaggio? Perché è nubile, Eccellenza, rispose il massaro, e non ha figli da mantenere.
Come ti chiami, ragazza? Maria
Non ti preoccupare, hai diritto al formaggio ed anche ad un litro di latte.
Ma, Eccellenza, non ha figli, replicò il massaro. E' la regola.
Questa notte, Maria, sarà la madre di Gesù Bambino!

La ruota

In un basso dell'ex palazzo Montuori, poi, e ancora oggi, de Bernart, sulla riviera della Purità a Gallipoli, viveva una famiglia rispettosa delle tradizioni natalizie e pasquali che, quando poteva, soleva passare con l'unico figlio imbarcato su di un cacciatorpediniere della Marina Militare. Quell'anno il figlio non era venuto a Natale e tantomeno a Pasqua. Il padre allora, anziano 'uttaru' (bottaio) aveva preso una ruota di una vecchia carrozza, l'aveva fissata su di un cavalletto rendendola girevole, e dividendola in due semicerchi con un pannello di legno. In uno dei semicerchi aveva sistemato il presepe, nell'altro una statua di terracotta del Cristo morto. Aveva poi costruito con le 'tuje' (toghe) di vecchie botti una specie di baldacchino chiuso con dei veli e collocato davanti alla ruota, al fine di tenersi pronto per le due ricorrenze all'arrivo del figlio. In buona sostanza il marchingegno, ruotando, consentiva di mettere in evidenza il Presepe o il Sepolcro. Bisognava soltanto, a seconda della festività, preparare le 'pittule con la minoscia' o la 'cuddura ccu l'ove'.  E questo era compito di mamma Letizia. Così m'hanno raccontato le zie che in quel Palazzo sono vissute.


La cica

Camminava lentamente, accompagnato dal figlio dodicenne, a causa di una matura cateratta, appoggiato ad un bastone che terminava con una punta con cui infilzava le cicche di sigarette, per poi riporle, sfilandole con cura dalla punta del bastone, in una piccola sacca di stoffa. A casa poi le srotolava separando il tabacco bruciato dall'altro ancora umido, che arrotolava in una cartina. E la sigaretta era pronta! Lo conoscevano tutti a Gallipoli, e anch'io l'avevo notato da lontano. Ma quel giorno me lo vidi di fronte sul ponte, intento nell'operazione di recupero dei mozziconi di sigarette con una  nonchalance degna di un signore  fin de siecle.  Ma l'operazione fu bruscamente interrotta da un grido: 'Noo, cica Ta? malota ete' ( no Tata, non è una cicca ma uno scarafaggio)?!

Aldo DE BERNART