Siamo degli animali simili alle scimmie, e in particolare molto simili alle scimmie cosiddette antropomorfe, gorilla e soprattutto scimpanzé.
Ma c'è qualcosa di molto sottile che ci distingue da esse, qualcosa che, forse un po' presuntuosamente, consideriamo fondamentale. Un cervello con la sua parte più "nobile", la corteccia cerebrale, molto più sviluppata delle loro e con intere nuove regioni.
Corteccia che ci rende capaci di alcune qualità, che ancora presuntuosamente consideriamo esclusive, autocoscienza, ragione, sentimento, volontà e pensiero.
Pensiero, che ci permette di produrre "grandi" espressioni di arte, poesia, musica, filosofia. Pensiero che ci permette di essere coscienti di noi stessi e dell'universo, che ci autorizza a pensare di essere al vertice dell'evoluzione, diversi appunto da tutti gli altri animali, unici e "grandi".
Ma se è vero tutto questo, e non ho difficoltà ad ammetterlo, abbiamo davanti a noi un cruciale banco di prova, dovremo dimostrare di possedere una capacità davvero "diversa" dagli altri animali, la capacità di svincolarci veramente dalle leggi di natura, modificando e controllando i nostri istinti naturali e non tirarli fuori quando ci fa comodo.
E qual'é, secondo me, questa capacità, che ci può differenziare da tutti gli altri animali?
Non nego all'uomo il diritto di uccidere alcune specie per il cibo. Negare che siamo predatori è negare la verità della Natura, e il suo equilibrio. Ma dobbiamo dimostrare la capacità di rispettarli, di riconoscere loro, con il nostro sentimento, altrettanta capacità di esprimersi e di comunicare, di sofferenza e sentimento, e perché no, riconoscere loro un'"anima". Dobbiamo considerare anch'essi come oggetto di "diritto", il diritto al loro ambiente, ad una vita felice secondo le condizioni che sono loro proprie, un vita, breve o lunga che sia, degna di essere vissuta.
Dobbiamo in una parola riconoscere il loro valore "in sé", pari e uguale al nostro.
Questo sarebbe veramente "umano", veramente "unico", "nobile" e "grande".
A chi fosse interessato a questo argomento consiglio un libro, purtroppo non più in commercio, ma davvero illuminante e commovente.
Di Alika Lindbergh, "Scimmie come noi. Vita con le scimmie urlatrici", Longanesi, 1977
E a questo proposito voglio raccontarvi una storia vera.
Avrete visto sicuramente il film 'La mia Africa'. Il protagonista maschile muore cadendo con il suo aereo in Africa e nella scena finale la protagonista femminile, con una voce fuori campo, racconta che i neri di una tribù locale affermano che ad ogni anniversario della morte i leoni del branco locale si radunano a guardia della tomba.
Pochi sanno che tale scena è ispirata ad una storia vera. Il famoso zoologo Bernhard Grzimek, autore tra l'altro di una importante enciclopedia sugli animali, negli anni quaranta si recò in Africa, precisamente in Kenia e in Tanzania, nel Serengeti e nel cratere di Ngorongoro. Qui prese a cuore la salvaguardia della fauna selvatica e fu un pioniere delle attuali tecniche di gestione faunistica dei grandi parchi africani. In Africa ebbe un figlio, Michael, che si laureò anch'egli molto giovane in zoologia e si appassionò alla causa della fauna. Si sposò ed ebbe due bambini che vissero anch'essi in Africa. Purtroppo, nel 1959, durante un'operazione di cattura di animali selvatici, due uccelli, forse avvoltoi si scontrarono con l'elica del suo aereo, e lui, a soli 25 anni, morì nel pauroso incendio.
La sua tomba si trova proprio sul ciglio del cratere del Ngorongoro e porta sulla lapide una scritta che ricorda il suo amore profondo per l'Africa e per gli animali, amore che lo portò a sacrificare anche la vita. La Regina d'Inghilterra lo nominò baronetto e molte scuole africane portano il suo nome. Suo padre vinse l'Oscar nel 1960 con il documentario "Il Serengeti non deve morire", e scrisse due libri bellissimi, appunto "Serengeti non può morire" e "Non c'è posto per le belve", libri tutti e due dedicati al figlio. Sia suo padre che sua madre, che morirono più tardi, vollero essere sepolti, non di fianco, ma sotto la sua tomba. Sua moglie e i suoi figli tuttora si battono per la tutela della Natura in Africa.
E i neri Masai che vivono nel cratere, che lo videro crescere da bambino e che conobbero il suo amore, per loro, per gli animali, per l'Africa e per la Natura, raccontano appunto che i leoni rimangono per giorni interi a guardia della sua tomba ad ogni anniversario della morte, non permettendo a nessuno di avvicinarsi.
Ecco, la sua vita, se pur breve, è stata una vita da "uomo" e quindi, come tale, degna di essere vissuta.
Luciano SCARPINA