Il brigantaggio post-unitario in Terra d'Otranto

Sembrerà strano che una ragazza moderna si interessi di fatti accaduti un secolo e mezzo fa. Ma lo sembrerà un po' meno con un padre come il mio che, tra le varie discussioni serali, faceva cadere il discorso su vicende della vita e della storia locale. E mio padre, grande affabulatore, mi incantava con i suoi racconti, anche quelli sui briganti, che mi presentava nella veste mitica "dei vendicatori della povera gente".
Non bastasse mio padre, al liceo ho avuto un Professore di latino e greco che apriva spesso delle "finestre" per collegare la storia alla realtà locale e grazie a lui ho capito che, proprio nelle aule di un paludato liceo classico, cultura non è solo ciò che si studia sui libri, ma è anche tutto ciò che pensa, che sogna, che fa la gente.
E quindi, proprio per approfondire un tema che mi ha affascinato in momenti diversi della mia vita, ho deciso di trattare del brigantaggio meridionale e in Terra d'Otranto (la mia tesi di Laurea in Diritto Penale, presso l'Università di Bologna).
Già durante la spedizione dei Mille scoppiarono in Sicilia rivolte di contadini contro i proprietari terrieri:  ritenevano che la libertà significasse la confisca immediata del latifondo e la distribuzione delle terre, sperando inoltre di poter ottenere la loro indipendenza e libertà tanto soppressa da secoli.
Ma Garibaldi ordinò la repressione di quelle rivolte (come a Bronte), perché temeva che una rivoluzione generale potesse restituire ai Borboni l'appoggio della potente borghesia locale ed impedisse l'Unità dell'Italia. Per questo le masse contadine del Sud si resero conto ben presto che con l'unificazione (17 Marzo 1861) cambiavano solo gli uomini al potere e non di certo le loro condizioni sociali ed economiche.
Dal 1861 al 1863 si formarono le prime grosse bande di briganti e iniziò una vera e propria lotta armata: migliaia di uomini affluirono nelle bande con la speranza di cambiare il loro destino, migliorandolo. Ma il miglioramento portò come conseguenza il cagionarsi di numerosissimi reati: i contadini abbandonarono i loro abiti quotidiani per indossare gli abiti del "Brigante", saccheggiando paesi, compiendo rapine a mano armata, estorsioni, violenze di ogni tipo, e tutto questo per aspirare ad un cambiamento delle condizioni di vita, misere ormai da troppo tempo.
Il brigantaggio divenne anche per le donne un'occasione per rivendicare i loro diritti negati e riappropriarsi dei propri affetti e sentimenti. Erano giovanissime, analfabete, contadine, coraggiose e determinate che, stanche di essere soffocate dalla famiglia e di vivere nella miseria più nera, decisero di indossare gli abiti dei briganti con cui condividere rischi, disagi, peripezie: con essi sparavano, accoltellavano e uccidevano.
La prima brigantessa che si ricordi è Francesca La Gamba di Palmi (RC), attiva nella prima metà dell'800. Si vendicò di un ufficiale francese che le uccise i figli: pazza di dolore, si unì ad una banda di briganti, depose gli abiti femminili e indossò quelli dei briganti; con una coltellata strappò all'ufficiale il cuore e lo divorò ancora palpitante.
Nel 1862, a Torino, la capitale del Regno unitario, ci si occupò della drammatica situazione del Mezzogiorno e si affidò ad una Commissione Parlamentare l'incarico di capire quali fossero state le cause della nascita del fenomeno del brigantaggio.
Il Governo scelse la strada indicata dalla Commissione e con il varo della Legge Pica sottopose gran parte dell'Italia meridionale allo stato d'assedio. Gli effetti furono devastanti: chiunque fosse anche solo sospettato di essere un brigante, poteva essere passato per le armi senza essere sottoposto ad un processo; chi aiutasse o non denunciasse un brigante era passibile dell'ergastolo.
La rivolta divampò anche in Terra d'Otranto. Una delle principali bande fu capitanata dal brigante Quintino Venneri, detto Macchiorru, nato ad Alliste il 20-10-1836. Soffermarmi su questo brigante è stato un "atto dovuto", perché Quintino Venneri era un mio compaesano. Si macchiò di numerosi reati: rapine, saccheggi, estorsioni, sequestri di persona, assalti alle caserme per rifornirsi di armi, ma il più grave fu l'omicidio del sacerdote liberale di Melissano, Quintino Manco.
Vorrei sottolineare in particolare il fatto che, per normalizzare l'Italia e renderla una, libera e indipendente, l'esercito subì moltissime perdite. Il brigantaggio, dunque, non è stato solo un fenomeno malavitoso, ma è stata la prima "guerra civile", una guerra che ha avuto molte motivazioni, tra cui la mancata distribuzione delle terre e le condizioni sociali misere e deplorevoli dei contadini del Mezzogiorno.

Cinzia GIANFREDA