KALEPOLIS vs KAKOPOLIS

GRAN KHAN: - Tutto è inutile, se l'ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed è là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente.
MARCO: L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.


"La città per gli antichi riassume in sé tutta la potenza,
tutta l'intelligenza umana;
per essi la società era la città,
e in essa si racchiudevano tutte le idee che noi esprimiamo con il nome di "civiltà",
abbreviativo di "civilitas",
derivato appunto da "civitas""
Eusebio


No, non è la prossima partita in calendario del campionato di calcio della squadra della nostra città, ma una partita molto più importante, uno scontro che va avanti ormai da decenni.
Kalèpolis, credo la conoscano tutti, certo, ognuno in maniera diversa. Non solo chi ci vive o ci ha vissuto, ma chiunque si sia affacciato, per una volta, dalla serra dell'Altolido, ne porta in sé almeno una semplice suggestione, un'idea per così dire estetico-sentimentale. Certo per chi la vive, per chi la abita, Gallipoli è il luogo di appartenenza, inteso non come spazio definito da coordinate geografiche e dimensioni misurabili, ma come spazio della propria identità. Ma è proprio da quel punto di osservazione privilegiato, dalla "Serra te l'Artolucu", che Gallipoli finisce di essere solo un luogo, immagine mentale e come tale impossibile da vedere se non dall'esterno, da una posizione estraniata. Da quel punto Gallipoli diventa l'immagine di se stessa, icona, paesaggio.
"Perché un paesaggio esista sono necessari almeno tre cose: non soltanto un soggetto che guarda e qualcosa da guardare ma anche il massimo d'orizzonte possibile, dunque un'altura che funzioni da punto di vantaggio, a meno di non essere in un luogo assolutamente pianeggiante". (F. Farinelli, tratto da "Geografia" Einaudi ed. 2003).
È questo un concetto che, anche inconsapevolmente, ogni gallipolino ha in se, Gallipoli è un paesaggio, ovvero un'icona, e se è vero che, come diceva Thomas Fuller, "Gli uomini, non le case, fanno la città", allora Gallipoli è una nostra immagine, l'immagine della comunità che la abita e la costruisce. Da questo punto di vista la visuale che si ha dalla serra dell'Altolido (le muntagne caddhipuline) funziona un po' come uno specchio, tanto è vero che nessun gallipolino può passare da lì senza lanciare uno sguardo, un po' quel che succede proprio quando si passa davanti ad uno specchio. Abitanti di città belle come Gallipoli vivono con la stessa intensità il rapporto con la propria città, con il proprio luogo, ma non tutti potrebbero in ogni momento ripercorrere a mente la forma della propria città, saperne intuitivamente disegnare con pochi tratti un simbolo che le rassomiglia. Chi può, in altre parole, controllare la forma della propria città, può controllare allo specchio il mutare della propria identità, la trasformazione dei propri "connotati culturali", come Dorian Gray con il proprio dipinto. La forma particolare della città e la possibilità di guardarla-guardarsi ha creato un rapporto particolare tra cittadino e città, l'uno costruisce l'altra e viceversa, in un equilibrio unico durato per secoli: Kalèpolis, la città bella.

"La forma d'una città cambia, ahimè, più in fretta del cuore di un mortale" (tratto da "I fiori del Male" Charles Baudelaire)

Nel romanzo di Michael Ende "La storia infinita" (da cui è tratto l'omonimo film di grande successo), un misterioso e inesorabile "Nulla" divora Fantàsia, città fantastica popolata da paesaggi e creature meravigliose. Nessun "cattivo" è il mandante del Nulla, nessun progetto malefico è alla base della sua inarrestabile marcia che tutto travolge, il Nulla nasce da Fantàsia stessa, o meglio nasce dal distacco, dallo scollamento tra il cittadino-creatore di Fantàsia, Bastiano, e Fantàsia stessa. Se Fantàsia è il "luogo" per eccellenza, il Nulla è quindi il "non luogo", ovvero il luogo della "non identità" ed infatti, nel romanzo di Michael Ende, chi si avvicina al Nulla sente una forza di attrazione ad abbandonarvisi, a lasciarsi andare, una forza di attrazione che può essere vinta solo con un grande sforzo di volontà. Non sarà nessuna delle strane creature, né l'Imperatrice, né l'eroico Atreiu a salvare Fantàsia, ma lo stesso Bastiano, quando ricomincerà a chiamare ogni cosa, ogni luogo con il proprio nome, ripercorrendo con il pensiero tutti i luoghi della città-Fantàsia.
L'antagonista di Kalèpolis, Kakòpolis somiglia al Nulla che divora Fantàsia. Nessuno celebra Kakòpolis con cartoline e dipinti, eppure molti la abitano, ci vivono e le si "arrendono". Kakòpolis è l'anti-Kalèpolis, la città brutta, il "non luogo", lo spazio che non crea identità, avanza inesorabile nell'indiferrenza:
mangia i muri delle chiese antiche, testimoni unici del sovrapporsi di tante città dentro la stessa Kalèpolis eppure abbandonate a se stesse; avanza nel sottosuolo facendo dell'acqua dolce acqua salata e avanza in superficie tagliando e bruciando i boschi e il verde di Kalèpolis.

Enrico ANCORA