La vita non c'è data breve, ma tale la facciamo noi se non operiamo (Seneca ). E lunga (83 anni) e operosa è stata la vita di Aldino De Vittorio sino al 23 Febbraio 2007,giorno della sua scomparsa. Era nato a Gallipoli il 25 Febbraio 1924 in via Zacheo, pittoresca e tortuosa viuzza paravento del centro storico di Gallipoli, quasi un segno premonitore della sua vita di artista impareggiabile del nostro Novecento.
Tutto il filo del processo artistico di Aldino De Vittorio era ancorato all'ambiente locale, alla cultura popolare, da cui traeva la linfa per far lievitare la sua immaginazione .Non esisteva differenza tra De Vittorio poeta e De Vittorio pittore e scultore. Non era un letterato, ma un autodidatta eccezionale con una innata disposizione emotiva a rivivere la cultura del Sud, da cui sapeva cogliere gli aspetti più autentici e segreti delle cose comuni.
La sua arte era una fusione perfetta, un legame profondissimo tra i suoi personaggi e l'ambiente. A mano a mano che le persone, i fatti, le cose scorrevano avanti alla sua memoria, nasceva nel suo inconscio un'insopprimibile necessità artistica. Anche la penna scorreva veloce. L'emozione, spesso fine a se stessa, vibrava nel suo animo e diventava sfumatura sentimentale nella lirica Il distacco : nella notte verrà il vento/ a bussare alla tua porta/. Ti porterà la giovinezza/ il rumore dei piedi nell'acqua/ la gioia di aver preso un granchio/ il canto del tuo mare/. T'addormenterai con la nenia pastorale/.
La sua terra salentina che gli urgeva dentro, lo induceva a tessere versi struggenti, non importa se in lingua o in vernacolo. Così le chiese Che piangono lungo la riviera con all'interno i loro Santi, i ceri e l'incenso, gli altari e gli affreschi.
Intanto l'antica arte della cartapesta si è catapultata nel rinnovato carnevale gallipolino. Aldino De Vittorio, che aveva subìto il fascino degli artisti locali, lavorava la cartapesta creando e realizzando i primi carri allegorico-grotteschi a testimonianza della sua poliedrica vita da artista. Nel 1955 la sua prima vittoria con il carro Circo dell'allegria. Primo premio anche nel biennio 1956-57 con i carri Felicità in sogno e Turisti in Puglia.
Ma l'arte di Aldino si andava con gli anni potenziando. La fantasia obbligava i suoi sensi a muoversi in una dimensione di sogno quasi infinita. Nel pieno di questa stagione troviamo le ceramiche, il rame sbalzato,gli acquerelli e la pittura, disperato amore della sua terra, batticuore che non avrà tregua per tutta la vita.
Sapeva raccontarci sulla tela, con il filtro della memoria, gli ultimi paesaggi di un ambiente che andava scomparendo. Ridisegnava la storia e muoveva le figure.
In quest'ottica Dirce, Salmace e Biblide, le tre divinità greche tramutate in fonte da Bacco, escono dall'immobilità della fontana antica ed urlano, sospese nel vuoto, la loro triste storia di un impossibile amore.
Anche l'assedio veneziano alla città del 1484, fissato sulla sua più vasta tela, è una continua sovrapposizione di velieri, di mura, di torri e bastioni, di fumo e fuoco. I vessilli delle navi di Giacomo Marcello garriscono al vento di Gallipoli, mentre il castello imponente ed austero è sempre più vicino alla resa.
E tuttavia dinanzi ad un quadro di De Vittorio "l'occhio e l'anima si riposano" poiché l'artista ci consegnava un grande messaggio di pace di fronte all'umano soffrire.
E intanto, i tronchi degli ulivi, sradicati, secchi e contorti, erano là, sul terreno brullo, pronti alla fiamma edace. Essi s'inchinavano al passaggio dell'uomo e? lo salutavano. Iniziava un misterioso dialogo tra l'artista e l'ulivo, un discorso silente ed irreale. Le lame custodite nel laboratorio di De Vittorio si muovevano frenetiche sulla dura scorsa, la sgorbia scavava e si infilava negli squarci e nelle fessure del legno, in un fantastico viaggio di nuove scoperte in una meravigliosa sfilata di figure animate.
Il legno cessava di essere una massa amorfa e prendeva forma, colore, si animava dell'anima dell'artista, si mutava in presenza espressiva, in vigore creativo e diventava simbolo del Bene e del Male, della vita, della prepotenza del forte sul debole. Opere di rara bellezza.
La sua attività di scultore lo accompagnerà per tutta la vita, poiché gli faranno eco nella mente le parole di Juan Ramòn: "Agisti solo per un attimo / ma rimanesti nella pietra / in un atto eterno/. Così il suo scalpello aggrediva la pietra dura e rozza (carparo) che subiva figurazioni e rilievi, si trasformava nei volti dei filosofi Talete e Anassimene, dei tiranni Pisistrato e Ippia, di Silone e del divino Omero.
Artista poliedrico del secolo scorso, dunque, le cui opere di un rilievo incontestabile, hanno varcato gli angusti spazi della sua terra per ritrovarsi esposte e premiate nelle più importanti rassegne individuali e collettive in Italia e all'estero.
Per Aldino De Vittorio che ha saputo esternare sensazioni e sentimenti con gli arnesi dell'arte e che ha restaurato tele e statue di santi nelle chiese, un solo cruccio: la mancata partecipazione alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma, le uniche mostre che avrebbero potuto dare una giusta valutazione del suo peso nella storia dell'arte contemporanea italiana.
Forse, paradossalmente, De Vittorio va annoverato tra gli artisti del Seicento e Settecento. Un bronzo con inciso il volto della martire Sant'Agata appeso sul pilastro laterale dell'ingresso centrale della Basilica Cattedrale di Gallipoli, è opera di Aldino De Vittorio. La storia ha riservato un posto alla sua arte, tra i cento capolavori di Giovanni Andrea Coppola, Domenico Catalano, Carlo e Niccolò Malinconico e della scuola di Luca Giordano. Ciao Aldino.
Gianni CARIDI