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Affido condiviso e “bigenitorialità”

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L’interesse della gente per il diritto di famiglia ed in particolare per quello matrimoniale, scaturisce non solo dalla delicatezza del tema, ma soprattutto dal fatto che oggigiorno, i problemi che investono il nucleo familiare, sono divenuti quotidiani.
A tal proposito, mi è stato richiesto di affrontare un argomento di grande attualità benché poco dibattuto, ovvero il nuovo affidamento condiviso.
Il nostro sistema giuridico, a partire dal 1970, si è dotato di una impostazione c.d. monogenitoriale, ossia fondata sull’affidamento dei figli ad un solo genitore.
Tale scelta, delineata dall’introduzione in Italia dell’istituto del divorzio, fondava le sue basi su di una concezione nuova della separazione, quale epilogo possibile di un matrimonio non più “indissolubile” e, quindi (differentemente dal passato) pronunziabile non solo in caso di colpa di uno dei coniugi.
Se fino ad allora, pertanto, il sistema dell’affidamento dei figli era orientato in senso premiale nei confronti del genitore (affidamento della prole al coniuge “senza colpa”), con  l’art. 6 della legge 898/70 ed il novellato art. 155 c.c., l’elemento prioritario diviene “l’interesse materiale e morale della prole”:  i figli vengono assegnati ad un solo genitore ed esattamente a quello più idoneo al mantenimento, all’ educazione ed alla cura dei figli (assistendosi, come noto, nella realtà pratica, ad affidamenti quasi esclusivi alla madre).
Nel corso degli anni, l’ottica monogenitoriale ha iniziato a scricchiolare a causa del sorgere di nuove istanze, nonché dell’acutizzarsi di alcune problematiche sociali ed umane.
E’ qui che la dottrina matrimonialistica ha cercato nuove strade: la soluzione più adatta, nonché quella maggiormente al passo con i mutamenti in corso nella società, è parsa il c.d. affidamento congiunto. Tale istituto, che fino a poco tempo fa costituiva una semplice opzione (prevista dalla legge sul divorzio ed emersa nei giudizi di separazione personale a seguito di estensione analogica operata dalla giurisprudenza), con la L. n. 54 dell’8.02.2006, prendendo il nome di “affido condiviso”, dovrebbe essere divenuta la prima scelta.
Il condizionale è d’obbligo poiché, se dalla lettura del nuovo art. 155 l’affidamento condiviso risulta essere la soluzione scelta dal legislatore in via preferenziale, nella realtà concreta, l’applicazione della c.d. bigenitorialità ha presentato sin da subito notevoli difficoltà pratiche ed interpretative.
Le radici della riforma vanno individuate nel pregevole intento di favorire la presenza di entrambi i genitori nella vita del bambino (rivalutando, al contempo, la figura del padre, spesso relegata ai margini), facendo leva sul diritto del figlio ad un rapporto completo, stabile e continuativo con entrambi i genitori sin dall’inizio della separazione, anche durante la fase “patologica” e disgregativa del rapporto, contando sulla responsabilizzazione del genitore stesso.
Di conseguenza il legislatore ha delineato tre distinte possibilità di affidamento. Oltre alla normale ipotesi che il Giudice possa prendere atto delle condizioni relative ai figli, stabilite dai coniugi stessi nell’ambito di una separazione consensuale, le ipotesi sono l’affidamento condiviso in primis, l’affidamento ad un solo genitore ed infine, l’affidamento esclusivo ex art. 155 bis.
L’affidamento ad un solo genitore, con la determinazione, da parte del giudice, de “i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli”, da regola è divenuta un’ipotesi da prendersi in considerazione in via residuale, ossia solo nel momento in cui l'interesse del minore possa risultare pregiudicato dall’affidamento ad entrambi.
Si tratta chiaramente del (frequente) caso in cui, a causa del persistere di conflittualità tra i genitori, il Giudice non ritenga di poter lasciare decidere agli stessi le modalità di frequentazione e di organizzazione, potendo ciò pregiudicare la serenità (e pertanto, l’interesse della prole).
L’art. 155 bis, invece, prevede l’affido esclusivo ad un genitore, qualora l'affidamento all'altro sia (o divenga) contrario all'interesse del minore.  Tale ipotesi costituisce evidentemente una estrema ratio, che deve essere ricollegata a gravi situazioni che inducono il Giudice (al quale è comunque richiesto un provvedimento motivato) ad escludere totalmente la frequentazione del figlio al genitore non affidatario (l’art. 155 bis, difatti, nulla dispone riguardo al diritto di visita).
L’affido condiviso, pertanto, consiste in una sorta di deregulation del rapporto, ossia una non regolamentazione dell’affidamento, applicabile quando il Giudice, valutando entrambi i coniugi idonei a gestire comunemente il rapporto con i figli minori, li affida ad entrambi senza nulla disporre circa le modalità di frequentazione.
Appare dunque erronea, l’impostazione seguita da alcuni Tribunali che hanno disposto l’affidamento condiviso con residenza del figlio presso uno dei genitori, determinando al contempo le modalità di frequentazione dell'altro.  Interpretare il dettato normativo in questo modo, difatti, significherebbe ritornare alla vecchia formulazione dell'art. 155 c.c. e fare perdere significato al concetto stesso di affido condiviso.
Presupposto indefettibile per la corretta ed efficace applicazione della bigenitorialità, dunque, è la piena sintonia dei genitori riguardo a tutto ciò che concerne la vita dei figli.
Realtà di questo genere appaiono insolite, considerato che la fine del rapporto coniugale, è spesso normalmente caratterizzata da rancori, acredine e spesso addirittura odio tra i genitori (i quali, in molti casi, cercano addirittura di “pestarsi i piedi” a vicenda).
E’ chiaro che, essendo tali le premesse, sembra complicato ipotizzare che un disaccordo generale su questioni di diverso genus (spesso anche di poca rilevanza), riesca facilmente a camminare di pari passo con un’armonia nella gestione di un rapporto in comune con i figli.
A questo si devono necessariamente aggiungere elementi di carattere squisitamente pratico (lontananza delle abitazioni, flessibilità del lavoro, scuola da far frequentare al figlio, scelta del medico di base, ecc.), nonché una serie di variabili imponderabili come quelle relative ai nuovi rapporti affettivi dei genitori ed alla eventuale conflittualità dei figli nei confronti di uno od entrambi i genitori (problematiche che ineriscono al c.d. conflitto di lealtà, la cui trattazione meriterebbe specifici approfondimenti).
Occorrerà, dunque, verificare con estrema attenzione gli effetti della pratica applicazione delle nuove regole. Se, difatti, in materia di separazione le prerogative dei figli devono occupare una posizione centrale, sarà necessario verificare quale posizione andranno ad occupare le prerogative dei genitori ovvero se, anziché scambiarsi dispetti, le nuove generazioni di padri e madri saranno così mature e lungimiranti da mettere da parte rancori, gelosie ed egoismi per curare con amore e dedizione l’interesse dei loro figli.

Giuseppe VINCI