Il museo: ennesimo miraggio

“The purpose of conservation is to study, record, retain and restore the culturally significant qualities of the object with the least possible intervention. Conservation includes the following: examination, documentation, preventive conservation, preservation restoration and reconstruction”
La definizione di conservazione che compare nel Codice Canadese di Etica per i Conservatori non trova alcun riscontro nella realtà di Gallipoli, dove una delle numerose testimonianze della condizione dei nostri Beni Culturali, è il Museo Civico.
Nonostante il dispiacere che provo per il nostro museo, sia come gallipolina, sia come studentessa di una disciplina “affatto conosciuta “ nel mio paese, l’Archeologia, se non da una ristretta cerchia di persone, l’estate scorsa accompagnai un’archeologa dell’Università di Lecce a visitare il museo di Gallipoli, naturalmente su sua richiesta.
Giunte alla biglietteria, ovvero un tavolo all’entrata, al cordiale avviso della dottoressa riguardo al fatto che fossimo esonerate dal pagare il ticket, dati i nostri studi, il responsabile rispose deridendoci, con un atteggiamento offensivo, che mi fece pentire di aver accompagnato una persona tanto qualificata ed interessata a visitare il nostro museo; essa stessa si lamentò del modo di porsi dell’uomo, sottolineando il fatto che egli lavorava nel museo, grazie anche a coloro che studiano e dedicano la loro vita ai reperti storici.
Decidemmo comunque, di proseguire il “giro”, soffermandoci principalmente sui materiali archeologici. La delusione della dottoressa fu forte nel vedere gli oggetti mal restaurati, le etichette attaccate sulla ceramica, magari anche sulla vernice dei vasi, gli errori sui bigliettini esplicativi. Grumi di terra erano e sono attaccati sulle tombe messapiche, le anfore da trasporto recavano appesi dei tagliandini scritti a mano, che forse dovrebbero, data la loro storicità, essere accompagnati da didascalie più “consone” ai nostri giorni.
Sembrava di essere entrate in una scatola dove avevano riversato oggetti in disuso e tale sensazione non era certamente quella positiva che si aspettano i visitatori: osservavo gli occhi sconvolti della dottoressa e tornavo a rivolgerli ai reperti, con aria rassegnata.
A distanza di tempo, il 7 aprile 2006, ritornai al museo, per uno studio sulla Gallipoli Medievale: il grande portone marrone era aperto, fuori vi erano affissi gli orari di apertura, le luci erano accese ma alcune persone all’interno non mi permisero di entrare, dicendomi che “il museo era chiuso per inventario”, anche se non vi era uno straccio di cartello che lo specificasse: tutto lasciava pensare che fosse aperto al pubblico, senza contare che questi individui non avevano “addosso” alcun cartellino che indicasse chi fossero.
Qualche giorno dopo, lessi un articolo pubblicato in un giornale quotidiano, in cui si affermava che il Museo Civico di Gallipoli era aperto al pubblico, diciamo, da un bel po’. Simile incongruenza, che non mi so ancora spiegare, non desta purtroppo in me alcuna meraviglia.
Quando Gallipoli avrà un vero museo? Questa è l’ennesima dimostrazione che nel mio paese la storia e la cultura dell’antico interessa solo pochi eletti sognatori che posseggono  valori e rispettano il passato: a loro domando: cosa mostreremo ai turisti quest’estate? Quali sono i vanti di Gallipoli?
Ogni giorno si cade sempre più nello squallore dell’ignoranza, del conformismo, della quotidianità della vita che ci vogliono far accettare, ma è colpa nostra se lo facciamo.
È semplice parlare delle varie raccolte del museo: i vestiti, le armi, la collezione archeologica, quella ceramica, quella malacologica, talassologica, zoologica, mineralogica, ed altre ancora; è facile parlare del dottor Emanuele Barba, i cui discendenti credo che stiano ancora attendendo un piccolo segno che “riporti alla luce” le collezioni del museo.
Ma le parole non servono a nulla se non sono accompagnate dai fatti.
Giorni fa mi sono recata in visita ad uno dei tanti musei che vi sono nel Salento, quello nel Comune di Vaste, una struttura che raccoglie in poco spazio molti reperti ma che in particolare, fa conoscere, insieme ai musei di Muro Leccese, Alezio, Maglie ed altri ancora, quella che è la nostra storia. A vedere queste strutture, seppur piccole ed in una fase ancora sperimentale, provo dispiacere: perché il mio paese, Gallipoli, famoso porto nella storia, municipium romano, centro medievale, città che conserva in sé l’arte barocca, le solenni cerimonie della Chiesa, non sente l’orgoglio di possedere un vero Museo e da anni si accontenta della storica struttura che talvolta andiamo a visitare?
Gallipoli non temerebbe confronti con le sue ricchezze  e la sua completezza: sarebbe un vanto per noi, se solo fossimo più sensibili e mettessimo tutte le nostre forze in campo, perché un Museo non è “cosa da poco”.
La conservazione dei manufatti è un “lavoro” alquanto delicato, soprattutto se gli oggetti provengono da uno scavo archeologico, il cui distacco rappresenta un “trauma” dal punto di vista fisico e chimico, la rottura di un equilibrio che si è creato col passare del tempo, tra il materiale ed il contesto nel quale è inserito.
L’attenta cura degli Archeologi durante il recupero e l’attenzione posta nel momento del restauro non bastano, poiché la lunga giacenza nel museo espone il manufatto a molti rischi, di cui i principali sono la luce, l’incuria, l’inquinamento, l’umidità.
Di fronte ad una varietà di oggetti differenti, come si trovano nel Museo di Gallipoli, la conservazione diviene un “lavoro” alquanto difficile.
La percentuale di umidità e la temperatura ideali variano a seconda dei materiali; dove l’edificio non può essere sottoposto ad una generale climatizzazione, l’utilizzo di deumidificatori o umidificatori e climatizzatori può aiutare al mantenimento di una situazione ottimale.
All’interno delle vetrine è ormai usanza impiegare il gel di silice che si presenta sottoforma di grani, aiuta a raggiungere una giusta umidità relativa e regola le condizioni ambientali.
Inoltre, le vetrine possono essere isolate dall’ambiente esterno, preservando gli oggetti che, di norma, devono essere sempre tenuti sotto controllo.
La luce è una forma di energia che, a contatto con alcuni materiali, può contribuire al loro deterioramento: vi è maggiormente soggetta la collezione di vestiti e la ceramica dipinta.
La luce naturale non influisce notevolmente nel Museo di Gallipoli, per motivi dovuti alla struttura stessa dell’edificio, quella artificiale delle lampade, potrebbe invece divenire pericolosa, specie se emettono infrarossi o ultravioletti in notevole quantità; in commercio esistono illuminazioni corrette che non danneggiano i materiali.
L’inquinamento atmosferico, che colpisce ormai  dappertutto, è un altro pericolo presente nei musei: la polluzione causata dall’inquinamento può essere prodotta dall’edificio stesso, dai materiali che lo costituiscono, dalle suppellettili e dallo stesso il legno (es.: il legno di quercia emette acido acetico). Più pericolosa è la polluzione esterna data dalla città, accentuata nel caso di Gallipoli, dalla presenza del mare.
Inquinamento “nato” per ultimo, ma non per questo meno dannoso è quello acustico, le cui vibrazioni sonore possono danneggiare gli oggetti fragili. In definitiva ciò che nuoce ad un museo è l’incuria, il suo abbandono in balia di fattori di rischio. Attacchi di microrganismi ed insetti, il numero eccessivo dei visitatori che può alterare gli equilibri termoigrometrici, sistemazioni non idonee dei materiali, furti dovuti a mancate misure di sicurezza o ad irresponsabile sorveglianza, sono tra le cause di danni a volte irreparabili.
Il museo di Gallipoli per essere definito tale, manca di un laboratorio di restauro, indispensabile perchè: “la manutenzione garantisce la conservazione nel tempo dei manufatti ed evita molto spesso drammatici e mutilanti interventi in extremis”.
Creare un Museo a Gallipoli, adeguato ed in continua crescita, come succede negli altri musei del mondo, è un obbligo, considerato che per molti anni ci si è accontentati di una piccola struttura non certamente adeguata alla ricchezza storica della città. L’attuale museo è infatti lo specchio di Gallipoli, che con la sua importanza storica, le sue ricchezze, affacciata sul mare, abbagliata dal sole,  versa nel più totale degrado, senza  che nessuno cerchi di fermare il virus che ne intacca sempre di più ogni più piccola parte. In ogni angolo del paese, sia nel Centro che fuori, vi sono meraviglie storiche, artistiche ed alcune definibili “folkloristiche”, che trascuriamo, nascondendo sottoterra i gioielli che arricchiscono la nostra città e devastando ciò che ci ha resi ricchi dalla nascita.
Un piccolo sforzo, un po’ più di rispetto ed amore per la cultura e Gallipoli brillerebbe davvero sotto i raggi del sole, sarebbe il nostro vanto e non appariremmo così ridicoli agli occhi degli altri e dei turisti che si lamentano del nostro “menefreghismo”.
Non so se in futuro resterà qualcosa di bello della Gallipoli che stanno distruggendo ed anche se a volte sono rassegnata al peggio, spero di riuscire  a recuperare quel poco che ormai a stento sopravvive. Sono cosciente di far parte di un’esigua  minoranza e di non avere forze sufficienti, ma credo che avere un ideale è già una gran cosa, per cui forse un giorno non troppo lontano riuscirò nel mio intento, non per il mio interesse ma per quello di chi nascerà e vivrà a Gallipoli.

Aurora QUARTA