Descrivere un progetto di restauro, qui da noi, non è attività meritoria, ma anzi, chi scrive rischia di essere etichettato come “quiddru ca scrive”, soprattutto se, invece del dialetto (che è la lingua madre di ogni cantiere) usa esprimersi in italiano. Conscia del fatto che buona parte del tempo impiegato per questo articolo sarà quello che a Gallipoli si dice “acqua santa manata alli morti” (fosse almeno in suffragio delle Anime del Purgatorio!), come è stato il lavoro di progettazione che onestamente ho svolto, mi accingo a scrivere.
Nel 2003, su incarico della Priora, Teresa Magni Piccolo, ho elaborato il rilievo ed il progetto di restauro della chiesa della Confraternita delle Anime Sante del Purgatorio sotto il titolo della Ss. Trinità, la cui mole, dai prospetti sobri e severi, è visibile anche dalla riviera di scirocco del Borgo.Il vice Priore, Aldo Cappello, che ha tanta dedizione per questa chiesa, mi aiutò a prendere le misure, utilizzando sistemi moderni (come il laser) e sistemi artigianali e per così dire ingegnosi (come la canna da pesca) per raggiungere il nostro obiettivo. Trascorsi parecchie giornate nella chiesa, prima di poterne disegnare piante, sezioni,ecc.,provviste di quelle assolutamente impercettibili “personalizzazioni”, che potessero rendere il mio rilievo riconoscibile in qualsiasi scala fosse stato ricopiato e spacciato per lavoro di altri (così, nel caso si subisse questo tipo di soprusi, ci si può prendere almeno la piccola soddisfazione di far notare a chi, forte di una posizione privilegiata, ha copiato, che è solo un misero ladruncolo).
Il progetto di restauro, che vi illustrerò, fu approvato dalla competente Soprintendenza nel giugno 2003 e nell’agosto dello stesso anno, grazie ad un piccolo contributo della Provincia di Lecce, si poterono eseguire gli interventi necessari ad evitare che le infiltrazioni di acqua piovana continuassero a danneggiarne la volta.
Negli anni sessanta, infatti, l’estradosso della volta, originariamente rivestito di cocciopesto, qui meglio noto come “astrucu”, aveva ricevuto una bella camicia di Nesso, costituita da una pavimentazione di lastre di calcarenite meglio note come “chianche”, messe in opera alla buona, prive di quegli accorgimenti che avrebbero consentito all’acqua piovana di defluire nei canali di scolo senza ristagnare. Mancavano le opportune pendenze, i necessari raccordi con i pluviali (i cosiddetti “inviti”), le chianche che ricoprivano l’estradosso delle lunette erano troppo corte e quindi prive di sporgenza e gocciolatoio, all’esterno delle lunette si osservavano tracce di tentativi mal riusciti di inibire le infiltrazioni (rivestimento in laterizi, bitume), l’acqua entrava copiosa dai fori per il passaggio delle corde delle campane e da una discontinuità apertasi tra l’estradosso della volta ed il muro di coronamento della facciata. Nel corso dello stesso intervento eseguito negli anni Sessanta, i prospetti della chiesa erano stati rialzati con una balaustra i cui intonaci erano lacunosi e distaccati, le chianche di coronamento alveolizzate e pericolanti; i detriti, accumulatisi nello spazio tra il nuovo muro e la parete della scala che raggiungeva la terrazza, avevano intasato il canale di scolo, e favorivano la permanenza di acqua capace di alimentare una vegetazione di un certo rigoglio e di una sorprendente resistenza all’azione del vento e del mare (…l’erba cattiva non muore mai!).
L’esiguità della somma stanziata non poteva consentire di fare il nuovo “astrucu” che avevo previsto, ma solo di “correggere”e riparare il rivestimento di chianche e la balaustra esistenti. Pertanto, sebbene il progetto elaborato riguardasse l’intera chiesa ed i Confratelli fossero ansiosi di veder restaurate parti interne dell’edificio, li convinsi della necessità di eseguire quegli “umili” interventi di riparazione che avrebbero bloccato il degrado della volta. Così i giunti tra le chianche furono impermeabilizzati con un prodotto a basso modulo di elasticità, che non si lesionasse in conseguenza di dilatazioni e contrazioni, avendo estrema cura nel non danneggiare lo strato di licheni che ricoprono le chianche formando una ottima “impermeabilizzazione biologica”; in corrispondenza dei pluviali e sull’estradosso delle lunette fu condotto un certosino lavoro di “correzione delle pendenze” e di sostituzione di alcune chianche, come quelle lungo il bordo dell’estradosso delle lunette, che furono dotate di gocciolatoio; il lato interno della balaustra fu intonacato con un intonaco macroporoso, le chianche di coronamento più degradate furono sostituite ed i fori per il passaggio delle corde furono protetti con dei vasi di terracotta rovesciati e bucati per il passaggio delle corde. Per motivi economici non fu possibile rifare la copertura della scala, onde evitare che l’acqua ristagnasse tra essa ed il parapetto, ma si provvide a ripulire dai detriti lo spazio tra muto della scala e parapetto. Questi, in breve, gli interventi più salienti eseguiti, ripeto: “umili”, puntuali ed urgenti interventi di riparazione. Prima di illustrare la restante parte del progetto, è opportuno esporre molto brevemente le tappe salienti della “vita” di quest’edificio, e descrivere l’edificio stesso, sorto sul suolo donato nel 1663 da Carlo Rocci alla Confraternita.
La Confraternita delle Anime Sante del Purgatorio sotto il titolo della Ss. Trinità si costituì a Gallipoli nel 1660 e, fino a quando i Confratelli non ebbero la disponibilità di una chiesa propria, le funzioni sacre furono celebrate nella chiesa terranea di Sant’Angelo.I lavori per la costruzione della chiesa della Confraternita delle Anime ebbero inizio nel 1665, su disegno di Padre Carlo Coi. Sappiamo che nel 1675, con la costruzione delle volte, l’edificio era stato completato, anche se era ancora privo di rifiniture e decorazioni.Un piccolo sagrato recintato precede la chiesa, la cui facciata è sottolineata da due semplici lesene, raccordate da una fascia orizzontale, coronata da cornice modanata. Termina la facciata un fastigio a due ordini di volute che sorreggono l’effigie della morte (!). Al centro del prospetto è stata recentemente collocata una lapide che ricorda la dedicazione della chiesa alla Ss. Trinità. L’edificio è caratterizzato, come altre chiese salentine, dalla presenza di due portali d’accesso, forse retaggio della cultura architettonica bizantina, che prevedeva ingressi distinti per uomini e donne.
La chiesa ha navata unica, coperta con due volte a squadro decorate a stucco. La navata è attualmente illuminata da quattro finestre trilobate, ma una quinta finestra si apriva in facciata, al di sopra del coro, lì dove è ora collocata la tela raffigurante l’Annunciazione, che ha la stessa sagoma delle finestre. Nelle robuste murature laterali della chiesa sono ricavate delle scale. La scala a destra del presbiterio conduce all’ambone ed al coro; dal coro si accede alla scala che conduce alla terrazza, ricavata nella muratura del lato sinistro della chiesa (lato mare).Il presbiterio è rialzato su due gradini e coperto da volta a spigoli.La porzione di volta presbiteriale nascosta alle spalle dell’altare ci consente di intuire come si presentasse l’interno della chiesa ai visitatori del XVII secolo. Alle spalle dell’altare osserviamo, infatti, l’originaria trabeazione con fregio a metope e triglifi, simile a quello della Cattedrale cittadina, sulla quale si impostavano le “mpise” della volta. La porzione di volta rimasta dietro l’altare ha ancora l’aspetto seicentesco: intradosso ricoperto da una finta cortina di malta e tufina, allo scopo di definire giunti più sottili e conci più regolari e cromaticamente uniformi rispetto a quelli messi in opera. La stessa finitura si osserva in altri edifici coevi, dove è ancora possibile scoprire anche le tracce della decorazione policroma degli elementi architettonici e decorativi. Grazie a queste tracce possiamo immaginare come fosse la chiesa seicentesca ed effettuarne una sorta di “restauro mentale”, come direbbe il Longhi. (Oggi, in verità, grazie a software appositamente realizzati, potremmo anche ricostruire un modello virtuale dell’interno della chiesa seicentesca). Ai lati del presbiterio due porte, decorate con stucchi raffiguranti la Morte, danno accesso ad ambienti di servizio, coperti con volte a botte ed a squadro.L’altare attuale fu realizzato dopo la demolizione di quello innalzato nel 1678, che aveva decorazioni in oro zecchino e tabernacolo in legno dorato.
Sulla controfacciata fu costruito il coro, sorretto da una struttura a cinque lunette, nelle quali trovano spazio tele di autori ignoti. Nel prospetto della balaustra sono collocate altre quattro tele (cfr.:E. Pindinelli, La Congregazione e Chiesa delle Anime in Gallipoli, in” Studi di Storia e Arte in onore di Mons. Aldo Garzia Vescovo di Gallipoli”, Gallipoli 1982, pp.21-28). I lavori terminarono nel 1680 e la chiesa fu solennemente benedetta e aperta al culto il 25 febbraio dello stesso anno.
Tra il 1749 ed il 1753 anche l’interno della chiesa della Confraternita delle Anime, come quello di tantissimi altri edifici religiosi (pensiamo alla cattedrale di Bari), fu adeguato al nuovo gusto settecentesco ed ornato con l’applicazione di stucchi. Il maestro Francesco Centolanze lavorò nella navata, il maestro Domenico Basile da Galatina nel presbiterio. Le campate furono sottolineate da paraste con capitelli compositi e trabeazione di tipo tuscanico, con forte accentuazione della cornice, le volte furono arricchite con elegantissimi stucchi.
L’altare seicentesco fu sostituito da un nuovo altare, a due registri, che occultò parzialmente la volta a spigoli del presbiterio. Al di sopra della mensa, nel primo registro, fu collocata la tela raffigurante le Anime Sante del Purgatorio e la Trinità (dipinta nel 1684 dal pittore Giuseppe del Franco), inquadrata da colonne binate, impostate su basi attiche e alti piedistalli. Le colonne dell’altare attuale hanno capitelli compositi, al centro delle cui volute sono effigiati angeli. Il secondo registro dell’altare è definito da paraste laterali, su cui si colloca un piccolo timpano curvo e spezzato, motivo di raccordo con la parte centrale, dove la trabeazione s’incurva, creando una sorta di nicchia, sormontata da fastigio a volute, culminante nella conchiglia centrale. Tale sontuosa cornice delimita le decorazioni a stucco che celebrano la gloria di Dio, avvolto da un drappo sostenuto da angeli. Al di sotto è collocata la tela raffigurante la Madonna delle Grazie affiancata dalle statue di S. Teresa e dell’Angelo custode. Sull’altare è collocato il vecchio tabernacolo.
La tela della Madonna della Grazie fu dipinta tra il 1755 ed il 1759 dal pittore Liborio Riccio, di Muro Leccese. Egli realizzò tutte le tele collocate nella navata. Le tele più grandi rappresentano scene bibliche, mentre in quelle ovali sono raffigurati S. Odone, S. Nicola, S. Francesco Saverio, S. Agata, S. Sebastiano, S. Francesco di Paola, S. Michele. Ad un ignoto pittore fu commissionata la tela raffigurante l’Annunciazione, da collocare in controfacciata, al di sopra del coro, in corrispondenza della finestra che era stata tamponata. Per ragioni non chiare, forse allo scopo irrobustire la parte sottostante il fastigio, danneggiata da un temporale, infatti, la finestra trilobata interna era stata murata. In tempi recenti sarebbe stata poi murata anche la finestra esterna, conferendo al prospetto principale un nuovo aspetto insolitamente piatto, senza tuttavia inficiare la luminosità della navata. Alla nuova tela si diede la sagoma trilobata della finestra tamponata, cosicché oggi questo dipinto denota la delicatezza dell’intervento di riparazione eseguito, che ebbe cura di sottolineare la sagoma della finestra esistente, inserendola ed esaltandola in una nuova figuratività. Solo opportuni saggi ed un’accurata ricerca d’archivio, tuttavia, potranno far luce sui motivi e le modalità con cui avvennero la modifica della controfacciata e del prospetto.
Tra il 1760 ed il ‘61 Michele Lenti intagliò gli scanni disposti lungo i lati della chiesa ed il bancone, e realizzò il trittico raffigurane la Morte con ai lati le Anime. Nel 1792 fu installato nel coro l’organo costruito dall’organaro Lazzaro Giovannelli da Monteroni.Probabilmente nello stesso periodo fu realizzato il campaniletto a vela. Per il passaggio della corda delle campane fu danneggiata la decorazione della volta del presbiterio.L’attuale pavimento in piastrelle maiolicate fu posto in opera nel maggio 1858, al posto dell’originario pavimento in battuto.Nel 1965 furono eseguiti i lavori di adeguamento del presbiterio alla Liturgia postconciliare, eliminando la mensa dell’altare settecentesco, che imponeva al Sacerdote di celebrare rivolgendo le spalle ai fedeli. Gli scanni esistenti, evidentemente giudicati troppo larghi, furono sostituiti dai nuovi. Poiché il pavimento in maiolica non era esteso al di sotto dei vecchi scanni e dell’altare, fu messa in opera una pavimentazione in marmette di Trani, che segnano tutt’oggi l’ingombro della vecchia mensa e dei precedenti arredi lignei.
Un piccolo corridoio, cui si accede sia dal disimpegno, sia dalla sala riunioni della Confraternita, conduce alla corte Anime. Tale collegamento è stato creato semplicemente coprendo, con un solaio in vetrocemento, lo spazio tra la parete dell’attuale sala riunioni e la muratura di un edificio la cui restante parte era crollata o era stata demolita. Adiacente a questa muratura è collocata la scala su semibotte rampante che caratterizza la corte e che consente l’accesso ad un ambiente di pertinenza della chiesa, posto sopra la sacrestia. La scala ha balaustra con corrimano in pietra simile al coronamento di tanti antichi muretti a secco delle nostre campagne. Attualmente scala e parapetto, mancando i primi gradini, costituiscono solo un attraente e pericoloso attrezzo ginnico per i bambini che abitano nelle vicinanze.
Rimando chi volesse approfondire la storia della Confraternita alla viva voce di Aldo Cappello ed alle pubblicazioni dello storico Elio Pindinelli.
“Croce e delizia” di tutti gli edifici che si ammirano passeggiando lungo le mura di Gallipoli è, naturalmente, la vicinanza al mare. Gli effetti devastanti dell’aerosol marino sono noti a tutti i Gallipolini, la cui disperazione, da alcuni anni, sembra aver tratto sollievo dall’applicazione dei cosiddetti “rivestimenti a cappotto” nella variante “areata”, che nascondono gli effetti dell’umidità di risalita capillare, favorita dalla presenza di sali igroscopici, e consentono di vivere senza l’incubo di quella pioggerellina di tinteggiatura sgretolata e dei rigonfiamenti, che sono preludio all’ineluttabile distacco ed alla comparsa di antigieniche ed antiestetiche lacune d’intonaco. I rivestimenti a cappotto eliminano la condensa, ma non possono eliminare gli effetti degradanti che l’infiltrazione di acqua per capillarità ha sulle antiche murature, anche perché, spesso, alla risalita si deve aggiungere l’infiltrazione dalle coperture.Il fenomeno non poteva certo risparmiare la chiesa della Confraternita delle Anime, dove il problema, mi pare ovvio, non poteva essere occultato con un rivestimento a cappotto. La cristallizzazione dei sali, creando tensioni all’interno del materiale lapideo, aveva già molto deturpato le cornici dei portali, le cui lacune, nel corso di precedenti interventi, erano state reintegrate con riempimenti in cemento.
In questa sede si poneva anche un altro problema: quello dell’individuazione e della conservazione (ove possibile) degli intonaci storici, che dovevano prima di tutto essere individuati, monitorati e “mappati”. Oltre ai saggi stratigrafici, per verificare la presenza di altre tinteggiature e decorazioni sottostanti, a questo scopo sarebbe stato necessario: 1) prelevare campioni di intonaco opportunamente scelti, per individuarne la composizione 2) picchettare con le nocche delle mani tutta la superficie degli intonaci storici da conservare per individuare le parti distaccate da far riaderire. I sali avrebbero potuto essere eliminati dagli intonaci con impacchi di sepiolite/attapulgite, come si sarebbe fatto per gli stucchi, mentre quelle parti d’intonaco irrecuperabili e gli intonaci cementizi avrebbero potuto essere sostituiti con intonaci traspiranti macroporosi, intonaci di malta di calce Lafarge o intonaci di malta di calce spenta e stagionata in vasca.Dato che, per eseguire questo tipo di intervento, sarebbero state necessarie le impalcature che non avevamo a disposizione, mi son limitata a far prelevare alcune efflorescenze saline da diverse dislocazioni facilmente raggiungibili e prevedere, nella stima del costo dei lavori, un piccolo budget per le indagini preliminari, che avrebbero dovuto comprendere anche una perizia geologica di valutazione della stabilità del terreno antistante il sagrato, il cui recinto manifesta lesioni conseguenti ad un cedimento per rotazione (ora non più in atto, ma con la possibilità di un nuovo innesco). Inutile precisare che saggi, indagini “e compagnia bella” sono tutte operazioni preliminari ritenute in genere perdite di tempo e di denaro (del resto anche in medicina non si usa più fare l’anamnesi) ma che, se eseguite nella misura e nella maniera strettamente necessarie, possono accorciare i tempi di esecuzione ed evitare quelle “sorprese” che fanno lievitare i costi del restauro.Per diminuire la risalita di umidità avevo previsto due interventi: la formazione di una barriera chimica all’umidità di risalita capillare e la realizzazione di una intercapedine lungo il perimetro interno della chiesa, dove manca il pavimento in maiolica, e lungo la facciata, allo scopo di diminuire la superficie verticale di contatto tra la muratura ed il terreno. Era necessario prevedere almeno due interventi, perché se, rimuovendo il pavimento in marmette di Trani, fosse stato ritrovato il pavimento seicentesco, del quale non sappiamo nulla, sarebbe stato necessario valutare la possibilità di conservarlo e quindi impossibile realizzare tutta l’intercapedine. A copertura dell’eventuale intercapedine avevo previsto una nuova pavimentazione gettata in opera, che, con una sorta di astrazione cromatica, riportasse, frammentati e radi, i colori della pavimentazione in maiolicaI disegni che ho allegato sono tratti dalle tavole del progetto di restauro.
Avevo scelto di non decontestualizzare la tela inserita in controfacciata, ritenendo che la riapertura della finestra, pur potendosi considerare filologicamente corretta, avrebbe trasformato l’intervento di restauro in una sorta di “macchina per andare a ritroso nel tempo” e cancellare impietosamente il kunstwollen di coloro che ci hanno preceduto. Al termine di apposita indagine, tuttavia, l’apertura o le aperture (non sappiamo quante modifiche ci siano state) avrebbero potuto in qualche modo essere “suggerite” all’interno della “facciata ritrovata”.Erano previsti interventi di recupero strutturale e di risanamento igienico dei locali di pertinenza della chiesa e della scala in corte Anime, nonché il collegamento diretto e coperto tra l’ambiente al primo piano ed i locali annessi alla chiesa attraverso una scala a chiocciola in ghisa.
Questo progetto, già approvato dalla Commissione d’Arte Sacra Diocesana e dalla competente Soprintendenza, su suggerimento e per intercessione dell’Ing. De Marini fu sottoposto da me personalmente, il 24 maggio 2005, all’attenzione dell’allora Ministro per i Beni e le Attività Culturali on. Rocco Buttiglione, insieme a quello redatto dagli Arch. Novembre e Fiorillo per il restauro della chiesa di S. Giuseppe della buona Morte o di Santa Chiara, ed in seguito i priori delle due Confraternite, con una lettera ufficiale, chiesero al Ministro un contributo per eseguire gli interventi previsti nei progetti già approvati. Poco dopo il Ministro comunicò alla Priora Teresa Piccolo che i due interventi erano stati inseriti nel piano triennale dei lavori del Ministero e che per ciascuno dei due edifici erano stati stanziati 255.000,00 euro. Tuttavia, si svelò poi, l’inserimento nel piano triennale del Ministero implicava la gestione diretta degli interventi da parte della locale Soprintendenza, senza alcun riconoscimento per gli autori dei progetti, almeno per quella parte del lavoro che sarebbe stata realizzata con la somma stanziata dal Ministero.
Nel caso della chiesa di S. Giuseppe della Buona Morte (Santa Chiara) il contributo è stato utilizzato per il restauro della parte esterna, che tutti possiamo ammirare. Per la chiesa della Confraternita delle Anime, con lo stesso contributo, è prevista, invece, la realizzazione di tutti gli interventi relativi all’edificio sacro vero e proprio, la chiesa a navata unica, interno ed esterno, con esclusione dei locali annessi (quelli privi di pregio artistico). Ci si potrebbe chiedere come mai due identici importi di 255.000,00 euro siano utilizzati per realizzare interventi di “ampiezza” così diversa.
Sarebbe bello se l’on. Buttiglione spiegasse se questa sua iniziativa sia in linea con una politica tesa a favorire l’inserimento di giovani professionisti locali nel mondo del lavoro e nel settore «per niente» blindato del restauro in particolare, ad incoraggiarne l’intraprendenza, a stimolare la voglia di lavorare (io non sono stata e non sarò gratificata economicamente e tanto meno moralmente per tutto il lavoro svolto), a promuovere la meritocrazia, ma soprattutto se, a suo parere, è stato un bell’esempio di rispetto della deontologia professionale (l’art. 37 delle Norme deontologiche così recita: L'architetto chiamato ad assumere un incarico già affidato ad altro collega, deve preventivamente informare, per iscritto, il collega stesso, accertarsi del contenuto del precedente incarico e che esso sia stato formalmente revocato. Prima dell'accettazione dovrà altresì verificare le prestazioni già svolte al fine di salvaguardare i compensi maturati. Sono fatti salvi i diritti d'autore.) e dell’art. 4 della Nostra Costituzione (La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto… proprio come in questo caso!).
Con una certa amarezza ringrazio tutti i colleghi (soprattutto i più giovani, che sono stati i più numerosi) e le persone che, essendo venute a conoscenza della vicenda legata allo stanziamento del contributo per questo restauro, hanno espresso la loro condivisione del mio stato d’animo e la loro indignazione per un atto che, seppur reso legalmente ineccepibile, non dimostra alcuno scrupolo da parte di chi lo ha compiuto.
Simonetta PREVITERO