Le strane origini del socialismo

Tre monaci benedettini coniarono la parola “socialista”

Il trattato Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, a partire dal 1764, offrì alla storia dell’umanità e della civiltà dei popoli un nuovo progetto di convivenza civile, fondata sul diritto. Era nata l’idea di un ruolo ben diverso dei cittadini nel rapporto con le Istituzioni statuali e giuridiche. Era anzitutto un’interpretazione laicizzata dello Stato, se alla pena non si coniugava ancora una possibilità catartica d’espiazione spirituale o religiosa e se all’autorità costituita non si voleva più riconoscere “in toto” il diritto giurisdizionale sui sudditi sino a comprenderne la stessa vita. In secondo luogo si apriva il dibattito sul grave problema, spesso e mai a sufficienza dibattuto, della disuguaglianza e della discriminazione socio-economica tra le classi dominanti e le subalterne a tutto svantaggio dei malcapitati responsabili di un reato, commesso contro la società e la legge a causa del bisogno.
La certezza che il problema sociale fosse uno dei moventi più gravi e scatenanti della criminalità ma anche uno degli interessi sociologici dell’antropologia criminale e della criminologia, consentiva a Beccaria di porre in forse e meglio precisare, attraverso l’esame del diritto penale, la validità e la giustezza dei rapporti complessi tra Stato, leggi e cittadini, rapporti che nel Contratto sociale Rousseau aveva correttamente analizzato, opportunamente illustrato e delineato.
È superfluo aggiungere che in Italia la comparsa di un libro talmente rivoluzionario in materia giuridica non poteva che suscitare varie e contrastanti interpretazioni, inevitabili ostilità anche di imprevedibili avversari e oppositori, convinti o faziosi come il monaco benedettino di Vallombrosa Ferdinando Facchinei.
Questi, già nel 1765 (errata ovviamente la data 1761 registrata da Gramsci in Quaderno 1-112, se il trattato di Beccaria è del ‘64), interpretando il diffuso pensiero del generale scontento manifestato dalla conservazione, confutò a suo modo le nuove e per lui assurde idee innovatrici nonché libertarie, pubblicando a Venezia uno scritto polemico: Note ed osservazioni sul libro intitolato “Dei delitti e delle pene”. Vi era palese l’intenzione anzitutto di porre in cattiva luce il giurista milanese presso le autorità costituite, se tra l’altro, proprio contro Beccaria, il monaco benedettino, non tuttavia atteggiandosi a guisa di pericoloso sovversivo, si attribuì “stranamente” il termine “socialista”, adoperando un conio linguistico ovviamente non ancora noto nella sua accezione economico-politica utilizzata solo nell’800 da Marx.
In verità Padre Facchinei nel libello contro Beccaria, fingendo di interloquire con i “più pregiudicati socialisti” come lui, chiedendo loro “se un uomo trovandosi nella loro primitiva libertà, e prima di essere entrato in qualche società,… se un uomo libero abbia diritto di uccidere un altr’uomo, che gli volesse in qualunque maniera levar la vita”, rispondeva con determinazione: “Io sono sicuro che tutti i socialisti per questa volta mi risponderanno di sì”. Il monaco era persuaso che tutti i seguaci del diritto di natura erano, come anche lui, favorevoli alla pena capitale, opponendo così agli illuministi (come Beccaria) i naturalisti che si autodefinivano socialisti, garanti di tutti a danno solo di qualcuno reo di aver trasgredito le regole comuni.
Il brano è stato riportato da Adolfo Zerboglio (Il ritorno di padre Facchinei, in “Rivista d’Italia”, 15 gennaio 1927, pp. 22-30), ma non è avvalorato da altri commenti sulla voce “socialista”. Gramsci poi, annotando il passo di Zerboglio in Quaderno 1-112, n. 2, senza ausilio di ulteriori informazioni, rimanda ad un periodo successivo il calco della parola e all’uopo fa menzione del secondo volume del Dictionnaire général de la Politique di Maurice Block (ed. 1873, pp. 945-50). Alle voci “socialisme” e “socialiste”, effettivamente registrate, l’autore francese rileva e specifica che l’uso dei due termini risale al 1836, allorché per la prima volta - egli sostiene - furono introdotti nella lingua francese da Louis Reynaud in un articolo della Revue de Deux Mondes (seppur con ben altro valore semantico, certamente più decisamente filosofico, meno riduttivo e forse meno spregiativo di 70 anni addietro).
Si deve, però, a Giorgio Spini il merito di aver fatto chiarezza, costruendo di recente le tessere del mosaico storico, riuscendo finalmente a risalire alla metà del ‘700, epoca in cui ha fissato l’origine della glossa “socialista”. Lo Spini, non ritenendo credibile neppure la tesi secondo cui il vocabolo “socialista” sia comparso dapprima in Inghilterra sull’organo ufficiale dei seguaci di Robert Owen (The Cooperative Magazine, 1827) e seguendo le tracce dello storico Franco Venturi, studioso di padre Facchinei, ha voluto dimostrare che quel termine era stato già usato ai primi della seconda metà del Settecento.
La sua indagine approdò persino nella Svizzera centrale, dove, rovistando tra carte e documenti nella biblioteca dell’antico monastero benedettino di Einsiedeln, rinvenne miracolosamente un’opera di Anselmo Desing, un benedettino tedesco del ‘700. Era un volume antico, rilegato in pelle, sul cui frontespizio datato Monaco 1753 campeggiava in latino il tema esaminato: “La maschera del diritto di natura strappata ai molti libri venuti fuori sotto il titolo di Diritto di Natura come quelli di Pufendorff, di Heinecke, di Wolff, etc.”.
Si trattava di una polemica assai violenta contro le teorie di Samuel Pufendorff, teologo luterano e giurista del tardo Seicento, che pose a base del diritto la “socialitas” innata per natura in tutti gli uomini, deducendone una sorta di eguaglianza tra loro anch’essa innata per natura. Per il padre Desing tali dottrine sembravano vere eresie e, per confutare e criticare Pufendorff e i suoi seguaci, il giurista Heinecke e il filosofo leibniziano Wolff, entrambi docenti nell’università di Halle, usava come epiteto ora “naturalisti” ora “socialisti” (gli stessi adoperati pochi anni dopo da padre Facchinei).
Dunque si era scoperto che il termine “socialista” fu utilizzato per la prima volta nel 1753 da un benedettino (padre Desing, appunto). Ricomparve poi nel 1764 (l’anno della nota pubblicazione di Beccaria) in un’altra polemica mossa, contro i teorici del diritto naturale, ancora da un benedettino, l’italiano G. B. Finetti, noto per una dura controversia con G. B. Vico. È facilmente spiegabile perché “socialista” sia riapparso immediatamente dopo, non certo nel 1768, come sostiene lo Spini, ma nel 1765, l’anno successivo all’uscita del saggio del giurista milanese. Il che accadeva proprio nelle Note e osservazioni sul libro intitolato “Dei delitti e delle pene”, opera pubblicata in polemica contro le idee di Beccaria dal benedettino padre F. Facchinei della Congregazione vallombrosiana, al quale già aveva accennato il Venturi.
Il termine “socialista”, grazie ai tre benedettini (Desing-1753, Finetti-1764, Facchinei-1765), entrò dunque nel linguaggio giuridico e filosofico della cultura europea, finché pervenne nell’Inghilterra di Owen (1827), presso cui infine assunse il significato attuale (o marxiano) che è prettamente politico-economico, ben diverso dall’uso originale unicamente filosofico (G. Spini, In un monastero nacque socialismo, in “Il Giornale”, Milano, 3-9-1992).
Tra l’altro, proprio Giorgio Spini, in una intervista a “Repubblica” (5-11-92), in occasione del centenario del PSI, racconta la storia di un ideale, dell’essere socialista. Lo spunto era dettato dalla pubblicazione dell’ultimo suo libro Le origini del socialismo - Da Utopia a Bandiera Rossa (Einaudi, 1992). Il racconto si ferma 60 anni prima del congresso socialista di Genova (1892, nascita del PSI), se l’ultimo capitolo si chiude alle barricate di Parigi (1830). Restano pertanto fuori dall’argomentazione non solo Marx ed Engels ma anche Turati (“La teoria del plusvalore l’hanno inventata i socialisti inglesi ricardiani, non Marx” - precisa l’autore).
In sostanza, il giudizio fondamentale dell’illustre storico italiano è estremamente eloquente: “Prima che la parola fosse, c’è stata la sostanza del socialismo… Il socialismo è un’istanza, un ingrediente della storia che, dal secolo decimo sesto, sopravvive a qualsiasi intemperie. Un’aspirazione in assidua dialettica con il capitalismo”. Che è poi intramontabile al pari dell’egoismo, della cupidigia e dell’arrivismo, vizi congeniti e insiti nella natura umana. È da qui l’origine del liberismo economico, sistema estraneo e lontano dal pensiero democratico, che provvede a tutti senza discriminazione con l’intervento solidale dello Stato, la casa comune, nel rispetto davvero dei valori umani e dei diritti inalienabili: la libertà e le libertà, la giustizia, l’eguaglianza e la dignità della persona.

Gino SCHIROSI