C'è la cultura per te

A proposito della mostra documentaria sui quattro secoli di stampa nel Salento leccese

La nona edizione della "Settimana della Cultura", organizzata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, si è svolta quest'anno sul territorio nazionale dal 12 al 20 maggio 2007 all'insegna dello slogan "C'è l'arte per te. Archeologia, architettura, arte, archivi, biblioteche, cinema, paesaggio, spettacolo", al fine di dare rilievo alla straordinaria ricchezza e vitalità del patrimonio storico-culturale italiano. Per l'occasione, anche molti centri pugliesi, fortemente consapevoli della ricchezza, della grande forza vitale e delle formidabili potenzialità sul piano economico e sociale del proprio patrimonio culturale, hanno dato vita ad un intenso e vario programma di attività culturali, spesso con la partecipazione di enti e istituzioni dalle responsabilità e competenze in ambito culturale, spaziando dall'apertura straordinaria di prestigiosi palazzi storici a visite guidate, presentazioni di interventi di restauro, concerti, spettacoli, proiezioni cinematografiche, eventi espositivi, conferenze.
Fra i tanti eventi proposti, la mostra documentaria "Un'arte tra le arti. La stampa nel Salento leccese dal Barocco al Risorgimento", curata dall'Archivio di Stato di Lecce, in collaborazione con la città di Lecce, ed allestita presso gli splendidi spazi dell'ex Conservatorio di Sant'Anna, ha inteso offrire una visione d'insieme sull'arte della stampa nell'area leccese dalle origini alla metà del XIX secolo, con l'intento di ricostruire, pur con la necessaria sintesi, l'intero arco di attività delle varie stamperie che, in passato, hanno operato nel territorio.
Dal suggestivo percorso espositivo, che ha visto l'apparato bibliografico sostenersi con emblematici documenti d'archivio relativi alla tematica proposta, attraverso la storia, i protagonisti e le produzioni editoriali che caratterizzarono l'attività culturale e sociale salentina, sono pertanto emerse tracce di microstoria sinora poco esplorate, nonché il complesso ed articolato quadro delle originali e talora avventurose esistenze di alcuni soggetti che si occuparono, con alterne fortune, della nobile arte di imprimere libri.
L'ampio e variegato ventaglio di studi sulla storia della stampa leccese e, più in generale, otrantina (da segnalare, oltre alle importanti informazioni ricavate dal fondamentale lavoro settecentesco di Lorenzo Giustiniani sulla tipografia regnicola, almeno quelli di N. Bernardini, F. D'Elia, L. G. De Simone, A. Foscarini, G. Petraglione, D. E. Rhodes, N. Vacca; e, in tempi più recenti, quelli di A. De Meo, A. Gambacorta, R. Jurlaro, A. Laporta, B. F. Perrone, E. Pindinelli, G. Pisanò e G. Scrimieri), spesso in veste di utili pubblicazioni di cataloghi di biblioteche, ha visto finora, in effetti, l'assenza di indagini specifiche sull'"impresa" libraria locale e sul mestiere del tipografo. A fare eccezione sono state, tuttavia, alcune ricerche condotte sulla documentazione notarile e sui catasti onciari, che hanno consentito la ricostruzione dei rapporti di continuità esistenti fra le tipografie sei-settecentesche delle famiglie Micheli, Mazzei, Chiriatti e Viverito ed una conoscenza più approfondita dei protagonisti.
La mostra, nata dunque dalla interazione tra due realtà culturali diverse, ma fra loro complementari (archivi e biblioteche), è stata divisa in tre sezioni, articolate in base ai secoli di riferimento. La prima, dedicata agli stampatori Desa e Micheli, attivi rispettivamente a Copertino e a Lecce nel Cinquecento e nel Seicento, ha inteso ripercorrere le origini della tipografia salentina, oggetto, sul piano storiografico, di frequenti discussioni e spunti polemici.
Quella di Bernardino Desa, definita "la più stabile tipografia pugliese nel 1500" (Scrimieri), e su cui piuttosto insistente è stato l'interesse degli studiosi, stando alle edizioni note avrebbe cominciato il suo lavoro nel 1583, data del primo libro in essa stampato (quello dei Successi dell'Armata Turchesca nella città di Otranto, opera attribuita al Galateo, ma in realtà scritta dal traduttore G. M. Marziano). Tuttavia, l'installazione della tipografia copertinese (agevolata molto probabilmente dall'intervento dell'allora vescovo di Nardò Fabio Fornari) è da retrodatare ad alcuni anni prima, come testimonia un rogito notarile del 28 aprile 1581 (esposto in mostra), col quale si stabiliva la divisione di vari beni posseduti in comune dai fratelli Cesare e Gaudenzio Desa. A quest'ultimo, tra l'altro, toccò in porzione la tipografia, che evidentemente già funzionava in precedenza: "Item quella stampa per imprimere lettere come se retrova con tutte cose annexe e connexe a ditta stampa ch'oggi se trova desse parti com'anco la stampa che s'aspetta da Venetia ad esse parti: tutte le stampe siano et restano in parte del detto Gaudenzio". Secondo quanto riportato da un cronista copertinese, probabilmente coevo, la tipografia del Desa "stampò per molto tempo molti e diversi libri, e si sarebbero seguitati a stampare se non fosse stata proibita dai superiori".
A tal proposito, i bibliografi citano di questo tipografo sei edizioni stampate tra il 1583 e il 1591, riferendosi alle Costitutiones di L. A. Resta, alla Philosophia acerrima de Anima di Pitagora Scarpio, alle Ordinationi per la Chiesa, et Diocesi di Nardò di Fabio Fornari e ai non ritrovati Successi del Marziano e Canzonieri di G. P. Del Giudice e di S. Carignano, a cui si aggiungono altre tre opere (due delle quali perdute) segnalate da B. F. Perrone, L. Maggiulli e P. Bonaventura da Lama, rispettivamente gli Statuti Provinciali di Frati Minori Osservanti della Provincia di San Nicolò (1585), Il turco in Otranto di M. Di Maia (1589) e le Costituzioni di G. M. da Palermo (1597). Un'integrazione, quest'ultima, agli annali tipografici di Copertino che ha consentito a R. Jurlaro di congetturare meglio le ragioni della chiusura della tipografia (che non si giustificava con questioni legate ai contenuti, non eterodossi, delle opere), attribuendola probabilmente al venir meno della protezione del Fornari (morto nel 1596), il quale, in precedenza (negli anni dei noti scontri giurisdizionali tra autorità ecclesiastiche e civili circa la validità e priorità delle loro approvazioni in materia di stampa) aveva "coperto" certe formule abusive di licenza di stampa poste sui frontespizi.
Primo tipografo "leccese" fu invece il borgognone Pietro Micheli, già allievo a Trani del romano Lorenzo Valerii e socio a Bari di Giacomo Gaidone, il quale, nel 1631, richiamato a Lecce dal miraggio di più lauti guadagni, realizzò qui i suoi migliori prodotti fino al 1689, anno, forse, della sua morte. Nel 1644 contrasse società con il tranese Nicolò Francesco Russo, a lui imparentato, ma dal 1646 lavorò nuovamente da solo. Alla sua morte, come registrato nell'importante documento notarile del 1689, lasciò un'officina tipografica abbastanza consistente ai suoi eredi, i quali continuarono la tradizione avita fino alla fine del secolo.
Per il periodo in cui fu attivo, il Micheli stampò oltre duecentoquaranta opere (molte tipograficamente interessanti), le quali, riguardo al contenuto, è possibile classificarle in letterarie (poetiche in prevalenza), filosofico-teologiche, encomiastiche e storico-descrittive (in minoranza). Valgano per tutte: il Tancredi di Ascanio Grandi (1632), la Lecca Sacra di Giulio Cesare Infantino (1634, illustrata dall'incisore Pompeo Renzo), I Fasti Sacri (1635) e La Vergine desponsata del Grandi (1639-40), il De Deo Trino, et Uno di Gregorio Scherio (1644). In questa sede, vanno inoltre segnalati il Paradiso terrestre di Francesco da Seclì, discorso, del 1671, incentrato sulla Congregazione dei Catenati, "novellamente eretta nella divotissima città di Gallipoli", e l'opera in versi La ghirlanda interrotta, pubblicata postuma nel 1684, del gallipolino Tommaso Saverio Stradiotti, "nobile poeta, morto in età giovanile", al cui interno è inserito un dramma "musico" su "L'humanita coronata, overo l'incarnatione del Verbo divino".
La seconda sezione della mostra ha poi illustrato alcuni aspetti della produzione editoriale degli stampatori Tommaso e Francesco Egidio Mazzei, Oronzo Chiriatti, Domenico e Pasquale Viverito (un'industriosa famiglia, quest'ultima, che, al pari del Micheli nel secolo precedente, detenne il monopolio dell'attività tipografica per poco più di un sessantennio), i quali lavorarono sempre in sede e stamparono particolarmente opere degli scrittori salentini, nel secolo XVIII fertili di iniziative, ingegno e retorica. La materia delle loro opere fu ancora per molta parte di contenuto religioso, teologico ed agiografico, ma non mancò la letteratura (spesso di occasione), la filologia e la storia. Tommaso Mazzei, chierico coniugato, "tipografo eletto della città di Lecce", "stampatore della città di Lecce" e "stampatore della città regia dei Salentini" - come spesso pomposamente si sottoscrisse nelle sue edizioni -, dopo aver acquistato nel 1699 l'ex tipografia Micheli (così dal relativo atto notarile, recante un'interessante descrizione della stessa), lavorò dal 1700 al 1730, e forse oltre, in proprio e come impressore delle stamperie vescovili ed arcivescovili di Brindisi (1699, 1700), Lecce (1706, 1708) ed Otranto (1706, 1707). Pubblicò, tra le altre, Le Cronache di Antonello Coniger (1700), le Prediche Quaresimali di Alessandro Tommaso Arcudi (1712), la Storia di S. Irene di Antonio Beatillo (1714); si distinse, inoltre, per la diffusa e remunerativa stampa delle cosiddette "fedi di salute" o patenti di sanità, come attestato in un documento del 1709 del notaio leccese Biagio Mangia. Continuatore della sua attività fu, per breve tempo, il nipote Francesco Egidio, il quale, senza una plausibile giustificazione, decise di disfarsi della tipografia, vendendola "per lo convenuto prezzo di docati cento otto e grana cinquanta otto" a don Mauro Chiriatti (fratello del tipografo Oronzo), che, in realtà, l'aveva acquistata per il nipote Domenico Viverito, già affermato stampatore. In effetti, dopo la breve parentesi della piuttosto limitata, seppur di buon livello qualitativo (sia sul piano tipografico, sia su quello contenutistico), attività di Oronzo Chiriatti, a raggiungere una certa importanza, pari a quella del Micheli, fu la tipografia di Domenico Viverito, erede del Chiriatti. Distintosi grazie alla qualità dei suoi prodotti, per altro non numerosi, al maggiore nitore e ad una più precisa composizione tipografica delle sue edizioni, mantenne l'esercizio della stampa per oltre trenta anni, almeno dal 1730 al 1761, e pubblicò molte opere che risentirono, nel loro contenuto, del più generale clima culturale all'epoca di Carlo III di Borbone. Tra le pubblicazioni presenti nel catalogo viveritiano, non ci si può astenere dal citare, in questa sede, i libretti musicali dal repertorio sacro, una produzione tipica dell'epoca, ed in particolare alcuni da eseguirsi nella cattedrale di Gallipoli, come l'Oratorio a cinque voci per la gloriosa Vergine e Martire S. Agata (1736), il Componimento drammatico da cantarsi nella festa della gloriosa Vergine, e Martire S. Agata tutelare della fedelissima Città di Gallipoli (1750), l'Oratorio sacro da cantarsi in Gallipoli (1751). Si segnala, inoltre, il Distinto, e fedele ragguaglio del festoso ricevimento fatto all'Illustrissimo Monsignore Arcivescovo Vescovo di Gallipoli F. D. Antonio M. Pescatori, Emantegazza del 1741. Successore di Domenico Viverito fu il figlio Pasquale, che rilevata la stamperia, svolse la sua attività forse dal 1774 al 1799, prima sotto l'insegna generica di "Officina Viveritiana", e poi sotto il proprio nome.
La terza sezione, infine, dedicata all'Ottocento, ha proposto alcune vicende editoriali delle tipografie Marino e Agianese (quest'ultima nota per aver pubblicato le opere di Francesco Bernardino Cicala), nonché della tipografia dell'Intendenza, la prima stamperia pubblica di Lecce. Di Vincenzo Marino, in particolare, il quale operò, assieme ai suoi fratelli, tra la fine del secolo XVIII e l'inizio del XIX per circa un cinquantennio, va ricordata la cura posta nell'edizione del 1795 de Le quattro stagioni di Filippo Briganti (1795) e la stampa degli Atti di pietà dello stesso autore (1814), oltre che l'impressione del primo giornale, L'Osservatore salentino, nel 1821 e le pubblicazioni scolastiche (Lezioni elementari di geometria e trigonometria di Bernardino Morelli, 1796-97), encomiastiche (Ragguaglio del faustissimo avvenimento dei Reali di Napoli in Lecce di Giosuè Manzi, 1797), religiose (Relazione del Martirio dei Santi Martiri di Otranto di Saverio De Marco, 1799), storiche (Saggio istorico della città di Lecce di Pasquale Marangio, 1807) e medico-scientifiche (Sviluppo teorico-pratico del tifo pestilenziale relativo all'epidemia avvenuta nell'anno 1812 nel Carcere Centrale della Provincia di Terra d'Otranto di Pasquale Cecere, 1814, e Della meteora apparsa la sera del 29 novembre 1820 di Pasquale Manni, 1820).
Dunque, un'opportunità, questa, legata all'importante vetrina annuale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la quale, non limitata ai volumi a stampa, ma includendo anche materiale archivistico collaterale, ha consentito di conoscere e diffondere un quadro dell'ambiente culturale leccese del Cinque-Ottocento, a tutto vantaggio della versatilità e delle capacità artistiche dei tipografi che qui operarono, nobilitando nel tempo l'antica tradizione della stampa e contribuendo al progresso di un'intera società.

Milena SABATO