Mi sembrava quasi offensivo, lo trovavo molto riduttivo per la città di Gallipoli l'appellativo di padella?., per la sua configurazione, si diceva. Così molto superficialmente la fantasia popolare, pensavo, riduce in forma semplice un luogo geografico complesso. Si voleva vedere il manico della padella nel territorio-ponte proteso verso la città antica, immaginata come il contenitore idoneo a "friggere"?., il pesce, naturalmente. Una padella per il pesce pescato nello stesso Mare Ionio verso cui si estende e vi si affaccia l'isolotto del centro storico, quel mare che lo separò dalla terraferma quando, per motivi di sicurezza, fu tagliata la stretta lingua di terra di collegamento, sostituita, poi, dal ponte seicentesco.
Se l'appellativo di padella può essere relativamente recente non lo è l'antico nome ANXA, dal significato di ansa, manico sinuoso di un vaso. Chi attribuì quel nome al luogo dovette essere stato ispirato dal profilo costiero che alterna forme concave e convesse, nelle cui cale le antiche genti che provenivano dal mare aperto trovavano sicuri e facili approdi. L'antico promontorio forse apparve loro come una provvidenziale presa laterale della terraferma, un appiglio sinuoso e sicuro cui ancorarsi, per immettersi in un territorio che, dal mare, sembrava a forma di grande vaso, rigonfio per le dolci rotondità delle alture delle Serre. Quelle antiche genti lo trovarono un luogo fertile, solcato da cavità tortuose e complesse come meandri, attraverso i quali si poteva ascoltare il respiro della terra e l'incessante fluire delle sue acque sotterranee. Quel paesaggio suggerì, perciò, l'associazione con il grembo fecondo della madre terra, percorso dalle sue sinuose acque primeve circolanti nelle cavità sotterranee, un concetto complesso che fu espresso semplicemente con la parola ANXA, un termine della lingua madre ideogrammatica di origine paleolitica. In quella scrittura ideografica, madre di tutte le lingue, ogni segno corrispondeva ad un simbolo e poteva essere tradotto in un concetto dalla forma complessa e, come tutti i simboli, era di ampia comprensione ed aveva valore universale. Anche se quei segni furono trasformati -in fase storica- in corrispondenti lettere alfabetiche, mantennero, inizialmente in modo esplicito, il senso originario impresso dalla lingua-madre, ma, nel tempo, il loro profondo significato divenne sempre più implicito, fino a non essere più compreso.
Riscoperta e diffusa dalla scrivente col nome di "Grande Codice universale" la scrittura ideoagrammatica originaria fa recuperare alla lettera A il suo significato di dea madre dell'umanità e, per estensione del concetto di fecondità, anche di madre terra fertile.
La lettera N indica, però, che quella madre terra originaria A fu distrutta e, da allora, AN divenne il distintivo delle genti superstiti, a partire da quei lontani sconvolgimenti territoriali e da quelle devastazioni alluvionali che interessarono l'area nord-europea in fase post-glaciale.
Il nome ANXA è pervenuto a noi nel suo significato di sinuoso, un termine che in greco corrisponde a M?iandros, che è anche il nome di un fiume dell'Asia Minore, esemplare proprio per la sua caratteristica sequenza di anse sinuose, che lo fanno associare al termine italiano meandro.
Significato di meandro e di sinuoso hanno, ANXA in Occidente, ma anche XANTOS in Oriente, il nome attribuito a tre corsi d'acqua della stessa Asia Minore: il fiume di Troia, detto anche Scamandro, un fiume dell'Epiro ed uno della Licia.
Le prime tre lettere A N X di ANXA risultano anagrammate in X A N di XANTOS, per la posizione opposta della X rispetto alla sillaba invariata AN, ma la X può risultare finale anche in XAN se si applica il verso originario di lettura, da destra a sinistra, proprio delle scritture orientali.
ANX e XAN comunicano, pertanto, che furono quelle genti AN, sopravvissute ad immani catastrofi a raggiungere ed abitare i diversi luoghi X della terra e fare di ognuno di quelli una loro seconda madre patria. La specificità dei luoghi prescelti derivava dall'essere posizionati sull'intersezione tra due coordinate naturali, ossia dall'essere dei nodi ad X di una rete energetica della Terra composta da maglie a losanghe curve. Tale griglia geo-magnetica naturale é distinta dai convenzionali meridiani e paralleli geografici, poiché segue l'andamento sinuoso delle linee di flusso di magnetismo che attraversano il pianeta da Nord a Sud, determinando coppie di eliche sullo sferoide-Terra e componendo un sistema di campi magnetici ed elettro-magnetici, dai quali derivano vitalità e modificazioni del pianeta e della vita degli esseri viventi che lo abitano.
Furono quegli esponenti di civiltà antiche di origine paleolitica, quindi, superstiti delle devastazioni del post-glaciale, impropriamente definiti Romanelliani, che già dodicimila anni fa approdarono sul litorale ionico. Essi, portando con sé la loro antica conoscenza di geomanti e rabdomanti, auscultarono il palpito della madre terra, il suo respiro, il soffio che emanava dalle cavità, da quei meandri sotterranei solcati da fiumi ipogei sinuosi, che ne trasportavano i flussi di magnetismo per mezzo di sali ionici disciolti. Riuscirono a individuare le linee energetiche che determinavano l'attività vibrazionale del pianeta, percependo il passaggio sotterraneo dei flussi di elettromagnetismo. Scampati dalla originaria madre terra AN, decisero che avevano trovato il territorio fertile sul quale ricostruire la loro seconda madre terra XA, ossia avevano individuato ANXA. Penetrati nell'entroterra, cercarono le linee energetiche, le ley-lines, che ritennero sacre per la presenza dell'acqua in fiumi di superficie e ipogei.
Furono i geomanti e rabdomanti delle etnie che seguirono, ossia i Costruttori di megaliti e i Messapi, che localizzarono e segnalarono in tutto il Salento, territorio carsico ricco di fiumi ipogei, quelle vie della fertilità, che già i loro progenitori avevano associato alle mitiche acque primeve che scorrevano nel grembo fecondo di una ritrovata, fertile e, rinnovata, madre terra.
Marisa GRANDE