Ricorre quest'anno il cinquantesimo anniversario di attività "italiana" del mitico Tallone che con le sue raffinate creazioni ha innalzato ai livelli più alti la qualità della nostra editoria.
Ma chi è Tallone? La domanda è retorica, e per chi si occupa di storia della stampa addirittura inutile, ma per i non addetti ai lavori converrà ricordare che il fondatore Alberto Tallone (1898-1968) proveniente da una famiglia di geniali artisti e divenuto un esperto nel settore dell'antiquariato librario, dopo aver condiviso gli anni dello studio e della pratica tipografica a Parigi con i migliori maestri francesi, rientra in Italia nel 1957, trasferendosi dal covo cittadino al nido ai piedi delle Alpi ed impiantando la stamperia che è ancora oggi in piena produttività ad Alpignano. Il crescendo di riconoscimenti affermazioni e successi che portano i nomi dei protagonisti dell'arte e della letteratura del Novecento da De Pisis a Pound, a Montale a Luzi, per limitarsi a qualche nome, ha accreditato l'azienda di famiglia come la più celebre del settore in Italia, facendone un punto fermo nella storia della nostra cultura, un crocevia di tradizione ed innovazione. I piccoli capolavori di arte grafica da lui inizialmente portati a termine, sono ormai diventati un modello e sono oggi ricercatissimi dai bibliofili: ciò che nei secoli passati ha rappresentato l'inventiva di un Manuzio o di un Bodoni, è possibile ritrovarlo nei suoi libri, espressione concreta di un amore incommensurabile per l'arte della stampa.
Questo importante anniversario riguarda anche noi salentini per due motivi: il primo è che sarà allestita entro l'anno presso la Biblioteca Provinciale "Nicola Bernardini" di Lecce una mostra bibliografica antologica dedicata a Tallone per onorarne il prezioso lavoro, il secondo farà particolarmente piacere ai gallipolini, perché con intelligente scelta di campo e del tutto precisa sincronia, è stato "licenziato dai torchi" dell'editore torinese nell'ottobre 2006 (come recita il mirabile colophon) Compianto di Maurizio Nocera. Un modo per dimostrare che il Salento non è estraneo ai più significativi movimenti culturali che distinguono il nostro Paese, ma anche per confermare l'attenzione che autorevoli critici ed editori lungimiranti riservano ormai da qualche decennio agli autori di quaggiù.
Maurizio Nocera è molto amato dai suoi concittadini, è noto e stimato in Italia e all'estero per i suoi molteplici interessi scientifici, soprattutto ha fama di intenditore, ricercatore e collezionista di buoni libri: ecco come è nata la sua passione per Tallone e la sua amicizia personale con l'editore, ecco come si è lasciato conquistare dagli straordinari caratteri tipografici da lui disegnati ed incisi, ed ha raccolto l'invito a pubblicare con l'officina di Alpignano. Chi ha in pugno oggi il timone dell'azienda è il figlio Enrico, che la guida al traguardo dei quaranta anni, amministrati con sapienza e scelte editoriali altamente qualificate.
In questo programma rientra Compianto che insieme a 7156 ore ha le carte in regola per inserire Nocera nel variegato panorama della poesia meridionale contemporanea: senza risalire alla triade della critica letteraria di casa nostra, rappresentata dai nomi di Mario Marti, Donato Valli e Aldo Vallone che in più occasioni hanno tentato di mettere ordine nel complesso settore della letteratura locale, discordi più che concordi nell'assegnare gli altri pochi posti disponibili nel gotha della poesia novecentesca dopo quelli occupati dai sacri nomi di Comi, Bodini e Pagano (basta leggere a questo proposito il bellissimo scritto di Valli intitolato Poesia in Puglia dal secondo dopoguerra a fine secolo appena pubblicato in "Escursioni novecentesche nel Salento e oltre" del 2007) e senza avere la pretesa di fare tendenza, essendo parte in causa dell'affollato e animato dibattito (come sanno i pochi lettori dei miei versi), mi permetto di candidare il suo lavoro ad un ruolo di eccellenza in questo campo ostile e minato.
La scelta di fondo è sempre quella fra amore e morte e Nocera, senza esitazione, sceglie la morte: il lungo lamento filiale - ché di questo si tratta - registra lo sgomento dell'autore e registra altresì, si direbbe con la stessa puntigliosità di un documento notarile, tutte le fasi di una morte annunciata. Il poeta rivive questa morte e soffre, il poeta chiama la madre e grida: il racconto si snoda con cantilenanti andirivieni, si direbbe per singhiozzi, per sospiri; gli eventi incalzano e non c'è tempo per riflettere "con il dolore che annientava la carne / e con la mente impazzita dalle spine". La mamma è adagiata sul grande "letto di sposa" in attesa, poi dolcemente lavata e delicatamente vestita per affrontare il "mondo silenzioso" dei "non ritorni": dopo il prete il corteo fino al cimitero, infine l'oltraggio della fiamma ossidrica preceduto dall'ultimo "bacio sulla fronte". Questa minuziosità nel dolore, lo strazio della carne di chi va la morsa dell'angoscia di chi resta, questo compiacimento descrittivo, non sono che il tema conduttore del Compianto la cui caratteristica sta in una rivisitazione della civiltà salentina sub specie mortis. Eccone alcune coordinate: la presenza degli animali sacri della tradizione contadina: il merlo parlante "pegno d'amore", la civetta di Calimera "cornuta e disperata", l'upupa "scarlatta", i grilli "che suonavano la grancassa", cui si accompagna il cervo di Porto Badisco "dal dardo colpito". A questa citazione dotta se ne aggiungono altre due che disegnano la mappa del Salento archetipico: la "grotta delle Grandi Madri" della serra parabitana e la "cattedrale dei martiri hidruntini" che nel silenzio insegna. Emblematica la presenza del dialetto che incanta per la sua intatta classicità: "Fiji, fiji mei benaditti" non è altro che "isti suntu fili mii" che orgogliosamente pronunciato il Gregorovius segnalava sulle labbra di una mamma leccese. Ed oltre il paesaggio (i capperi tra gli scogli, la cava di tufo, gli ulivi argentati) persino i sapori degli ortaggi tipici (l'amaro delle melanzane, il tenero delle zucchine, il dolce delle carote) tre pennellate di intenso verde, viola, arancio nel buio del cuore. La scansione tra storia geografia e folklore è data da piccole spie sedimentate nei ricordi d'infanzia: "l'altarino delle tue madonne / ... / quello dei tuoi cari morti/ ... / la cristalliera con le foto dei figli", il bagno vestita, i santi protettori dalle malattie, l'abitino icona della Confraternita del Carmelo. Naturalmente tutto ciò soggiace alla presenza ossessiva della morte: una morte personificata che sogghigna, attende impaziente, interagisce affilando la falce certa della vittoria: una morte sicura di sé, della superiorità nella dimensione del tempo, esaltata dal trionfo dell'effimero. Naturalmente il poeta guarda oltre, ai magnifici orizzonti dell'eterno, all'infinito universo, e la morte all'impiedi della madre è un passaggio obbligato, un calice amaro da bere necessariamente. Il compianto è suggello dell'amore di figlio, espressione di gratitudine per il dono della vita, elegia di un temperamento che non sa rassegnarsi: "mortorio di mamma" potrebbe essere il titolo alternativo del poemetto, come usava in età barocca, quando la morte oltre ad essere sofferenza era spettacolo. Sono stati fatti da altri i nomi di Jacopone da Todi e Francesco d'Assisi, di Garcia Lorca e Pablo Neruda; Geymonat ha richiamato Vittorini ed io stesso, per restare nell'ambito della poesia di Terra d'Otranto, ho sottolineato in D'Armento alcuni ascendenti illustri della contemplazione della morte: ma questi autori sono solo dei punti di riferimento per orientare la bussola nell'oceano della letteratura, e non è il caso di prolungare l'elenco. In realtà Nocera ci ha trasmesso un'emozione forte, affrontando coraggiosamente il grumo rossastro di sangue che è nel cuore di ognuno di noi e Tallone ha intuito l'urgenza della passione, presentandola con i suoi elegantissimi tipi in questa straordinaria realizzazione tipografica.
Ci associamo agli auguri che per questa importante ricorrenza da ogni parte d'Europa giungeranno ai Tallone nel laboratorio di Alpignano, ed a Maurizio Nocera diciamo cordialmente ad maiora.
Alessandro LAPORTA