Il Convento di S. Domenico a Gallipoli

Correva l'anno del Signore 1517. Alle prime luci di un fresco mattino di primavera una  leggera brezza increspava il mare sotto il bastione di ponente. Proveniente da Lecce, una vecchia carrozza tirata da un ansante cavallo si lasciò alle spalle la serra d'Altolido tra due filari di uliveti argentati. A fatica riuscì infine ad attraversare il ponte ligneo e a varcare la Porta terra. Accolti da una folla di fedeli in attesa, sbarcarono tre frati di S. Domenico con l'incarico di fondare una loro comunità a Gallipoli. All'arrivo dei primi Padri Predicatori Domenicani reggeva l'esigua diocesi gallipolitana (solo l'isola abitata) il cardinale Francesco Romelino. Erano trascorsi quattro anni dopo l'ultimo ufficio liturgico in lingua greca celebrato in cattedrale, allorché era stato adottato, con la fine della lunga parentesi bizantina, il rito latino, da secoli in uso a Nardò all'avvento dei Normanni col codazzo di feudatari e vassalli locali. (F. Ughelli, Italia Sacra, tomo IX, Venezia, 1721, p. 98, n. 2).
I Domenicani sostituirono l'ultimo abate, che, formalmente in carica nell'Abbazia di S. Mauro, apparteneva ai monaci seguaci di S. Basilio, ormai in via d'estinzione nell'Occidente Cristiano (G. Schirosi, La leggenda di S. Mauro, in "L'Uomo e il Mare", n. 44, Anno XIII, IV trim. 1997). I frati si avvicendavano nel prendere possesso dell'antico e diruto cenobio greco-orientale, il "Magnum Monasterium Sanctae Mariae Servinarum Sancti Basilii", citato in una bolla di papa Gregorio IX (morto nel 1241). Era stato distrutto durante l'assedio rovinoso di Carlo II d'Angiò (1284). Passarono indistintamente ai frati di S. Domenico tutti i beni, già dei monaci Bizantini del monastero basiliano, a Gallipoli dal sec. VIII dopo le persecuzioni iconoclastiche, a mano a mano ridimensionati prima di scomparire del tutto. Il loro patrimonio, con l'avallo delle autorità ecclesiastiche, fu trasferito alla diretta responsabilità amministrativa dei nuovi arrivati.
La scienza teologica con lo studio e la disciplina caratterizzava l'Ordine domenicano che ha avuto il più rilevante influsso nella storia della Chiesa, nella cultura e nella società, se nell'era moderna è stato sempre determinante nel bene e nel male (fino ai tribunali d'inquisizione). Neppure si dimentichi la feroce critica dantesca messa in bocca al grande domenicano S. Tommaso, celebratore di entrambi gli archimandriti fondatori dei due Ordini paralleli (S. Domenico e S. Francesco), ma inflessibile denigratore del suo Ordine allora moralmente deviato dalla regola primitiva (Par. X, v. 96; XI, v. 139: "?u' ben s'impingua, se non si vaneggia").
Il primo compito dei frati fu la ricostruzione del monastero entro l'isolato urbano poi detto di S. Domenico, che, racchiuso tra via Rosario, via Ferrai e Riviera Nazario Sauro, si affaccia adiacente all'estremità delle mura tra il bastione di S. Domenico e l'ampio piazzale del baluardo, situato a pochi metri dal bastione di S. Francesco. Fatto è che, insieme al convento, dovettero erigere una chiesa più moderna e più consona ai tempi nuovi, non nelle attuali dimensioni (che risalgono al 1696-1700), ma comunque più confacente al costume e al rito dei Padri Domenicani, di cui era ben nota la particolare devozione alla Vergine, destinata a divenire ancor più profonda appena dopo Lepanto, in pieno regime di Controriforma.
In via Rosario si apriva il portone d'accesso al primo piano per gli studi medi e superiori riservati a studenti interni ed esterni. Conserva tuttora lo stemma dell'Ordine (cane con fiaccola tra i simboli della Corona di Spagna). I locali erano disposti, insieme con rettorato, priorato e refettorio, lungo due lunghi corridoi perpendicolari con volte a cuffia, affacciati in direzione sud-est sul chiostro a peristilio. Questo era sorto su uno zoccolo di roccia di carparo il cui scavo servì a reperire il materiale necessario all'edificazione prima del convento e  poi, anche con tufi di Daliano, per l'ampliamento dell'annessa chiesa di S. Domenico.
Al chiostro e al piano superiore si accedeva anche da via Ferrai per un cortile fornito di un piccolo giardino. Il chiostro, il cui ingresso principale si apriva dall'arco situato sulla riviera a destra del portale della chiesa, aveva al centro un pozzo artistico ed era contiguo con la sacrestia, che al momento della confisca incorporò il lato nord del colonnato di stile dorico; era pure attiguo agli studi e al dormitorio del convento, sicché tutti gli ambienti erano comunicanti tra loro dall'interno. L'edificio staccato a sud-est, gravemente degradato, è stato di recente alienato per divenire struttura turistica ricettiva. Riservato alle celle per i frati, aveva l'ingresso sulla riviera e comprendeva l'angolo dell'isola domenicana tra via Ferrai e la stessa riviera prospiciente il bastione di S. Domenico caratteristico per un'agevole discesa al mare. Ma con rilievi geologici sarebbe possibile accertare sotto detto fabbrico l'esistenza di grotte o cripte di età bizantina insieme con camminamenti ipogei collegati col bastione e forse con la scogliera sottotante le mura.
Dopo che per l'abolizione legislativa degli ordini religiosi tutti gli edifici furono confiscati dal demanio passando all'amministrazione del Comune, il braccio estremo di fronte al bastione fu utilizzato come sede delle carceri mandamentali, i cui reclusi in estate solevano scendere al mare lungo la scarpata creata all'angolo tra muraglia e bastione. Una volta che queste furono dismesse negli anni '60 del secolo scorso, i locali annessi vennero occupati da privati non si sa con quali clausole contrattuali, ma sul lastrico solare comparvero per finalità didattiche alcune superfetazioni realizzate dalla contigua Scuola Media "G. B. Crispo", che ai primi del secolo scorso si era insediata in tutti gli spazi ex-conventuali a pian terreno e al primo piano con accesso da via Rosario e da via Ferrai, incluso il chiostro utilizzato come palestra ginnica.
Tuttavia del convento dei Domenicani in Gallipoli quasi nulla si conosce della storia iniziale di quel periodo e dell'era successiva, essendo sguarnita di documenti, atti e testimonianze la biblioteca civica, così come l'Archivio Vescovile di Gallipoli. Solo l'Archivio dell'Ordine, più che l'Archivio di Stato di Lecce, ci offre qualche traccia con rari spiragli illuminanti. Non si possiedono notizie neppure sufficienti sull'ampliamento e l'arricchimento del convento dei Domenicani. Soltanto è certo che al loro arrivo nella città, nel sostituire i monaci Basiliani nell'antico monastero bizantino, toccò ovviamente a loro il compito di doverlo ripristinare con il necessario concorso di fedeli e devoti o delle famiglie più abbienti.
È tuttavia possibile stabilire e fissare una data certa: quasi tutti i conventi domenicani nel Salento risalgono al periodo 1500-1600. Solo nel 1530 il Capitolo generale, tenuto a Roma, deliberò, in via definitiva, di riunificare tutti i conventi pugliesi in una Provincia indipendente denominata di S. Tommaso (degno dottore dell'Ordine come della Chiesa universale). E la Provincia pugliese (Sancti Thomae) fu di un'importanza notevole se, fino al momento delle soppressioni, occupò per tre secoli il quinto posto alle spalle della Sicilia e prima della Calabria.
Nel Salento i Domenicani fondarono propri conventi in una ventina di Comuni. Il convento di Gallipoli (fondato nel 1517) ereditò tutti i beni basiliani: le proprietà connesse con le abbazie di S. Mauro e S. Salvatore e quant'altro i monaci orientali avevano accumulato nel territorio sia di fondi sia di rendite o interessi, dislocati lungo la via basiliana o dei monaci, di cui tuttora v'è traccia nella toponomastica (in una direttrice congiungente Gallipoli, Alezio e Taviano). Attraverso il finitimo contado, costituiva una tangenziale orientale per mettere in comunicazione le varie Abbazie attive sulle degradanti serre circostanti (S. Pietro de' Sàmari e S. Maria dell'Alizza).
Nel 1560 è notizia, proveniente da un elenco di platee dell'Archivio di Stato di Lecce, che sono concessi ai Padri Domenicani di Gallipoli permessi di vendita in contanti (anche di benefici) e permute di beni esistenti nel territorio urbano ed extraurbano, onde ricavare somme necessarie destinate a consentire lavori già progettati nel convento, in corso d'opera e d'esecuzione. Dal resoconto dell'Ordine, datato 1613, si rileva inoltre che i Domenicani ebbero cura di alcune Abbazie del circondario: di S. Maria dell'Alizza, ove viveva un solo Padre, e di un'altra Abbazia, pur non bene identificata in un manoscritto, ma che poteva trattarsi presumibilmente o di S. Mauro o di S. Salvatore, entrambe soggette alla loro giurisdizione ecclesiastica, mentre nulla si conosce, quanto alla proprietà, di S. Pietro de' Sàmari e, ancora più a sud (in agro di Taviano), di S. Maria di Civo, anch'essa sicuramente appartenuta ai Basiliani. A questi non è certo siano parimenti da attribuire alcune chiesette periferiche rurali come la vicina S. Isidoro, mentre ben altra (e di molto posteriore) sembra essere l'origine di S. Maria delle Grazie (o di Daliano), in contrada Mater Gratiae ad est della città, sulla direttrice per Alezio.
Il convento di Gallipoli, in tempi in cui non esistevano scuole di nessun ordine e grado, fu particolarmente importante e doveva essere assai famoso, specie se poteva disporre del noviziato professo, insegnamento di discipline specifiche che, se anzitutto abilitavano all'avviamento del dottorato, erano esclusive per intraprendere il sacerdozio e, ancor più importante, la predicazione. Nel 1609 la Comunità gallipolitana, che poteva avere il gruppo degli studentes materiales (secondo le indicazioni del domenicano M.o Galamini), è annoverata tra quelle che potevano persino istituire, appunto per tali studenti, il corso di discipline materiales. Oltre agli studi definiti peculiari, che conferivano titoli di lettori o dottori, e in aggiunta a quelli cosiddetti generali (teologici e spirituali, filosofici e umanistici), ve n'erano degli altri riconosciuti semplicemente come studia materialia (programmi culturali per studenti anche esterni, che seguivano corsi di studio, non speciali ma normali, comprensivi delle più disparate discipline d'istruzione superiore).
Che il convento possedesse notevoli ricchezze lo si può rilevare dalla circostanza che nel 1667 contava tra i suoi beni terre incolte che pure affidò in enfiteusi. Né va sottaciuta la notizia certa secondo cui rientrava nei beni dei frati l'attiguo suolo con caseggiati e giardino, ove fu poi edificata la chiesa del SS.mo Crocefisso e aperta la via adiacente. Il terreno fu dato in vendita alla Confraternita dei bottai che non avevano il proprio oratorio da quando i marosi avevano irrimediabilmente rovinato l'antica cappella del Crocefisso, sita, insieme con altre anch'esse dirute, sulla riviera di ponente di fronte alla facciata di S. Francesco d'Assisi, sull'omonimo bastione. Così, in un sol colpo, il convento si liberava di alcune affittuarie scomode e indesiderate, per essere "donnicciole" di malaffare, motivo di scandalo per il rione, per i frati e per il decoro delle stesse funzioni liturgiche della chiesa.
Il convento di Gallipoli fu luogo di studi per illustri e qualificati Maestri di eccelse dottrine teologiche e filosofiche. Il Micetti, studioso onesto ed informato sulla storia patria, ebbe giustamente a dire nel suo manoscritto inedito: "Se uomini virtuosi vi sono stati e vi sono in questa Città, tutti sono stati ammaestrati dai Padri Domenicani?". Nella nota monografia di Giuseppe Castiglione è traccia pure di una notizia relativa al convento dei Domenicani, ritenuti, alla pari dei Cappuccini e dei Riformati, "religiosi stimabilissimi per pietà e per condotta irreprensibile". Vi si attesta che quei Padri Predicatori avevano a quel tempo una rendita annuale di 1.500 ducati e che "scossi dal pressante bisogno d'istruzione che ha la città, han chiesto il sovrano beneplacito per istituire un collegio di educazione". Ma con R. D. 17-2-1861, n. 251 il convento venne soppresso giusto in esecuzione ed applicazione, dopo l'Unità, delle leggi Siccardi emanate dal precedente governo piemontese.
Dopo la partenza dei frati il convento, già in fase di smobilitazione, venne in varia misura occupato a cominciare dalla caserma di Gendarmeria. È notizia che, prima e dopo quella data, il convento è stato luogo di ritrovi politici. Nel chiostro, all'epoca del Priore Fra Vincenzo De Zio, affettuosamente noto presso il popolo col titolo di Padre Maestro (esiste una corte  a lui dedicata presso via Rosario), si era costituito il Circolo patriottico cittadino. Vi si riunivano dal 1848 Bonaventura Mazzarella, Emanuele Barba, Francesco Massa, Leopoldo Rossi, Luigi Forcignanò, quanti cioè erano in contatto con Antonietta De Pace e Giuseppe Libertini (da Napoli) o con Epaminonda Valentini e Sigismondo Castromediano (da Lecce), che sperimentarono le barricate o le prigioni borboniche (e qualcuno persino la morte). Già nel 1864, su insistente sollecitazione del partito repubblicano e di Emanuele Barba erano state avviate alcune sezioni delle Scuole elementari con asilo infantile, funzionanti nei locali dell'ex convento, ovvero quelli adibiti sia a studio sia a dormitorio.
Il convento fu sgomberato nel 1863, anno in cui il valtellinese Pietro Maisen (la sua opera è del 1870) attesta essere l'edificio già "convertito ad uso delle scuole elementari, Biblioteca comunale, regia Pretura, Comizio Agrario, Asilo di mendicità e Monte dei Pegni", ma finì per essere adibito anche come ambulatorio comunale con accesso dalle mura. Solo nel 1869, dopo un contenzioso durato col Regio Demanio fin dal 1861, la proprietà (quasi una metà dell'intero isolato) fu acquisita dal Comune, mentre l'annessa chiesa passava alla Curia Vescovile, sebbene amministrata con somma devozione dalla Confraternita del  Ss.mo Rosario, che dal 1600 ha in cura il culto e la fede per Maria Vergine, particolarmente venerata da S. Domenico e dal suo Ordine (G. Schirosi, La Chiesa del Rosario in Gallipoli, Alezio, 1999).

Gino SCHIROSI