Illustrazione degli stemmi di Vincenzo Dolce

Quindi scorgiamo lo scudo di
MATTEO CUTI

Anche estinta è la famiglia Cuti. Il solo che abbiamo fra gli stemmi è Matteo Sindaco nel 1638 quando da varii anni regnava in Ispagna, ed in Napoli Filippo IV. Camaldari ci ha fatto noto, che Francesco Cuti era Arciprete in questa Cattedrale. Ricco di predii rustici era questo casato. Una fertile Tenuta campestre del nostro Territorio conserva tuttavia il nome de' suoi antichi possessori. La Casa Cuti patrizia di questa Città produsse molti ecclesiastici, e dottori di Leggi di gran merito. Il padre Giordano dell'Ordine de' Domenicani, fratello dell'accennato Matteo, ancora in giovanile età si rese sommo nelle scienze, e superò tutti i suoi Maestri. Quintiliano figlio dello stesso Matteo, sotto la direzione del genitore ch'era profondo giureconsulto, addivenne famoso nella giurisprudenza civile e canonica, e quindi asceso al sacerdozio fu Vicario e Decano de' Vescovi, che ressero a suo tempo questa sede. Il Sinodo di Monsignor Montoya fu redatto dal Cuti in uno stile assai purgato. Scrisse pure la visita locale del cennato Vescovo in un modo semplice e chiaro come l'argomento chiedeva innestandovi belle e dotte erudizioni. Varie altre opere compose il Cuti, che rimase inedite furono distrutte dalla negghienza di chi le conservava, e dal tempo divoratore. Dicesi che le regole della ragguardevole Confraternita sotto il titolo della SS.Trinità in Gallipoli state fossero redatte dal Cuti. La famiglia Coppola da lato materno ha per ceppo Lucrezia Cuti, come osservammo, e tolti gli accennati individui, niun altro comparisce di questa prosapia.
Il suo scudo in campo azzurro ci presenta tre fascie da dritta a manca di colore aurato, simbolo di richezza e di essere stati quei colori a qualche Cuti somministrati dalla Dama nelle Corti d'Amore, o ne' Tornei.
Accanto al precedente vi è lo scudo di
LEONARDO STRADIOTTI


Abbiano osservato l'albero genealogico del casato Stradiotti, e si fa ceppo Carlantonio di Galatone, che sposò in Gallipoli Isabella Mazzuci, e forse per tal matrimonio stabilissi in questa Città. Figliuoli di lui furono Massimilla maritata a Marcello Zacheo, e Nicola che procreò Domenico divenuto padre maestro Domenicano assunto all'Arcivescovado di Lima, cui, come attesta Micetti, rinunciò per la lunghezza del viaggio. Egli molto contribuì con sue spese all'erezione del Monastero di S.Domenico di Gallipoli, e fu due volte Provinciale, e Vicario generale dell'Ordine. Altri figli dell'accennato Niccola  diramarono la prosapia, che imparentò con Muzi, con Tricarico, con Abbatizio, con Vanaleste, con Zuccaro di Nardò, e con altre. Tommaso fu buon poeta, Carlo fu Gesuita, e la famiglia si spense in Filippo Stradiotti, di cui furono eredi universali Lucio e Michele Spano.
Eranvi a' lati dell'altare dell'antica Chiesa di S.Domenico rapportate dal Micetti due iscrizioni dell'anno 1674. Rilevavasi dalla prima che Domenico Stradiotti Domenicano varie volte Provinciale e Vicario era figlio del Dottor Nicola Maria. Dalla seconda, che ivi eran sepolte le ossa del Dottor in ambo le leggi Nicola Maria Stradiotti figlio di Carlo Antonio, fratello del Comandante di Cavalleria Leonardo, e che ivi eran sepolte del pari le ceneri degli avi loro.
Un solo Sindaco diè questa famiglia alla Città in persona di Leonardo nell'anno 1643. Il suo scudo ci presenta in campo celeste un cavallo morello sbrigliato simboleggiando che discendevano da Cavalieri, il che si conferma dalle tre stelle aurate in capo allo scudo, e dalla fascia orizzontale, che lo bipartisce.
Quindi appare quello di
GIUSEPPE CARIDDI

Troviamo scritto in una memoria, che Elisabetta Cariddi de' Baroni di Tuglie vedova del Marchese Carlo Tontulo di Manfredonia sia stata moglie di Niccolò Coppola. Era perciò feudataria questa famiglia, che ora più non esiste. Essa ci ha dato alcuni Sindaci, cioè Giuseppe nel 1645, Francesco Antonio nel 1666, 1684, ed un altro Francesco Antonio nel 1702. Due Leopardi alati, che si arrampicano su di un albero di quercia in campo celeste formano il blasone di questo casato, e ne simboleggiano la possanza e l'antichità. Forse la Baronia, che Cariddi possedeva in Tuglie, per la parentela dell'accennata Elisabetta passò alla famiglia Coppola senza titolo di onorificenza, da Coppola poi fu alienata agli Aragona, come osserveremo parlando di costoro.
Vedesi poscia lo scudo di
GIOVAN BATTISTA PIEVESAULI

Le dissenzioni, che nell'epoca per cui scriviamo esistevano nella Repubblica di Genova fra nobili e plebei son narrate dalla storia. La famiglia Pievesauli abbandonò il soggiorno della patria e stazionossi nella nostra Città. Apparteneva ella al lato aristocratico, che fu sopraffatto dal popolare. Domenico Pievesauli ricco di pecunia quì perveniva con la moglie, e acquistava palazzi, capitali, predii rustici ed urbani, e fondava un casato, che per un secolo e mezzo circa si manteneva ragguardevole e dovizioso. Ebbe parecchi figli, di cui ignoriamo il nome. Un solo, cioè il primogenito Bartolomeo conosciamo, che prese in moglie Laura Fogetta Baronessa di Taviano. Il figlio di costei Giovan Battista sposò Caterina d'Acugna, e fu Sindaco negli anni 1652 e 1696. Diramossi la famiglia imparentando con Venneri, e con Serafini; ma poi nella persona di un tal Giambattista marito di Cecilia Venneri terminò il casato. Veggendosi egli privo di figli, e nella certezza di non più averne fe erede di tutti i suoi possedimenti l'Abbate Ignazio Serafini figlio di sua sorella Elena coll'obbligo di aggiungere al cognome Serafini quello di Sauli, e perciò quest'altra famiglia prese il cognome di Serafini Sauli.
Il mentovato marito di Cecilia Venneri, in cui, come dicemmo, si estinse la famiglia, fu anche Sindaco di Gallipoli negli anni 1707, 1708, 1720, 1743, 1744.
Lo stemma di Pievesauli era uno scudo bipartito verticalmente. Nella metà a sinistra in campo di argento s'inquartava un acquila simboleggiante la nobilità aristocratica, e possente di sua famiglia. Nella destra in campo azzurro eravi un globo con tre Isole allusivo al Concittadino Colombo scopritore delle prime tre grandi Isole dell'Amercica, e percò di un mondo novello.
Comparisce in seguito lo scudo di
GIUSEPPE MUNITTOLA


Molto antica e ragguardevole è la famiglia Munittola. Ricca di beni e di nobili parentele, ha occupato posti distinti in questa Città ed altrove, sempre sostenendosi dignitosamente e con splendore. Rileviamo che il ceppo ne fu Rinaldo. Egli ebbe tre figli Alessandro Dottor di Leggi, Geronimo, e Giuseppe, i quali la estesero in modo che oggidì esiste nella persona di D.Giuseppe consorte di D.Mariuccia Pasca Dama di molta amabilità, e pregevole per virtù e morale, figlia di D.Raffaele e D.Isabella Rajmondi.
Il mentovato Alessandro fu valente in giurisprudenza, abbracciò lo stato ecclesiastico, e addivenne Vicario generale di Monsignor Capece nell'anno 1596. La linea di Geronimo si spense ne' suoi figli, e tutto l'asse di Munittola riconcentrossi nella linea di Giuseppe.
Le parentele contratte da' Munittola furono con Pirelli, Vignola, Sansonetto, Camaldari, Nugnos y Rosa della nobilità portoghese, Musurù, Giustiniani, Talamo, e finalmente col Commendatore D.Giovanni Ravenna onorevole personaggio sotto ogni riguardo, di cui è degna consorte la Dama D.Clarice Munittola ragguardevole per ottimo cuore, per amore verso i poveri, e per tutte le virtù cristiane che sommamente adornano l'animo di lei.
Questa famiglia ebbe canonici e dignità nella nostra Cattedrale, e fra costoro Giuseppe stato convittore nel Collegio di Urbino, ove a' soli nobili si dava ingresso, ed il cui Prefetto rilasciò attestato, che incomincia: D.Iosephum Munittola ex nobilioribus ortum familiis.
Fuvvi Giovanni Munittola, che molto contribuì con denaro all'erezione della nostra Cattedrale, e molto ne donò all'Oratorio de' Nobili di Gallipoli, del quale era uno de' fondatori, e finalmente Francesco Oronzio religioso de' P.P. Scolopi di Brindisi, nomato Padre Gioacchino di Sant'Anna Rettore del Collegio di Urbino, due volte Provinciale in questo Regno, Procuratore Generale nella Provincia di Roma, e Generale dell'Ordine creato dal Pontefice Innocenzo Undecimo.
Possiede questo casato un altare con sepolcro di suo patronato antico nella Chiesa di questi Reverendi Padri di S.Domenico. Ha somministrato alla Città varii Sindaci, cioè Giuseppe nel 1656, Tommaso nel 1675, Francesco nel 1751, e Giovanni nel 1772.
Un'annosissima quercia in campo ceruleo con varii tronchi sfrondati, ed in uno di questi posata un'aquila in atto di slanciarsi verso una stella forma lo stemma di questa famiglia. Forse in altri tempi varie sventure avrà sofferto, per cui alla sua quercia furono troncati i rami, ma l'aquila e la stella reintegrano forza, e splendore.
Appare poi lo scudo di
GIOVANNI D'OSPINA

Trovandosi allora questo Reame sotto la dominazione de' Re di Spagna non dobbiamo maravigliarci se a quando a quando ritroviamo stabilita fra la nostra cittadinanza qualche famiglia di origine spagnola. Il nostro cielo forse sarà più sereno di quello di altre contrade. L'affabilità e la cortesia del popolo gallipolino verso i forestieri, il sito opportuno al commercio, la purezza dell'aere, l'ubertà del terreno determinano lo straniero, che quì giunge, a scegliersi talvolta questa per patria novella.
Fin dal 1564 ritroviamo stabilita in Gallipoli la famiglia d'Espina, che in seguito più italianamente appellossi d'Ospina. D.Ernando signor di Bilbao nella Biscaglia fu dal Re mandato in Gallipoli colla carica di Capitano o Governatore, e contrasse matrimonio con Elisabetta Altese oriunda di Messina, ma quì stabilita con la sua famiglia, come si è accennato in queste illustrazioni.
D.Ernando ebbe quattro figli Diego, Giovanni, Francesco, e Pietro, i quali avendo qui contratto parentele estesero il casato in modo che non ha molti anni si estinse nella persona di D.Andrea discendente in linea retta dal secondigenito Giovanni. Le parentele furono con Barba, Rocci Cerasoli, Personè, Signori di Cannole, Sansonetto, Nugnos y Rosa, Vasquez d'Acugna, Pirelli, Venneri, Balsamo de' Marchesi di Specchia Normandia, Specolizzi, e con altri. Due Sindaci vi furono di questo casato, cioè Giovanni nel 1627, e Carlo nel 1657. Ritroviamo un sacerdote a nome Ernando canonico di Gallipoli, che rinunciò la Prelatura degl'Incurabili in Napoli; un Tenente Colonello sotto Filippo V a nome Felice, che morì in conseguenza di una ferita riportata in guerra; una suora professa nel Monastero di S.Chiara a nome Benedetta, un Frate Celestino a nome Anton Felice.
Questa famiglia sempre visse con dignità e splendore, conservando la nobilità della sua origine primitiva. Doviziosa in predii urbani e rustici, possedea, fra gli altri, una nobile Casina in questo Territorio alla contrada Rocci, ove abbondavano gli aranci, i cedri, e gli agrumi, che co' loro soavi olezzi rendevano quel luogo un soggiorno deliziosissimo. L'ultimo rampollo di questa annosa prosapia fu il mentovato Andrea, che ben ricordiamo, uomo religiosissimo e rispettabile per ogni via. Egli stabilì un Legato, che appellasi d'Ospina, amministrato dal Vescovo, dal Procuratore del Capitolo, dal Sindaco, e due gentiluomini della Città, onde colle rendite dello stesso formare annui Orfanaggi, e celebrar messe in suffragio di quei di sua famiglia.
Lo stemma del casato dipinto nella sala comunale è un albero in campo verde. Esso simboleggia gli alberi posti a sud de' monti della nativa Biscaglia.
Presentasi ora lo scudo di
DIEGO DE VEGAR


Anche la estinta famiglia de Vegar è originaria di Spagna. Bei palagii possedeva in Gallipoli, e bellissimi predii rustici. Quello che a D.Gioacchino Rossi ora appartiensi posto sulle mura verso il Porto, e forse il più magnifico di Gallipoli era di de Vegar, e la piccola Casina co' due alberi di palma, ora di Dolce, anche a' de Vegar si apparteneva siccome luogo opportuno al nobile esercizio della cacciagione. In una memoria manoscritta che conserviamo, accennandosi questa famiglia, si appella nobilissima. Ebbe ella canonici e dignità in questa Chiesa. Fù congiunta in parentela con la distinta famiglia Riccio di Galatone, oriunda Brindisina, ed in conseguenza col Vescovo di S.Marco di Casa d'Alessandro zio di Riccio. Un'altra memoria, che anche conserviamo, palesa che questo Vescovo era "Uomo di costumi incorrotti, in modo che il suo cadavere stà in deposito in concetto di santità, versatissimo in materie legali, avendo illustrato la giurisprudenza con le stampe delle sue Placite judiciali". Felice de Vegar fu educato in S.Marco dall'accennato Vescovo d'Alessandro.
Rileviamo dagli stemmi che questo casato diè due Sindaci alla Città, cioè Diego nel 1689, e Felice nel 1738 e 1753. Il suo scudo in campo celeste ci presenta una Vacca assai pingue a somiglianze di quelle, che pascolano nelle fertili campagne della Murcia luogo di origine della Casa de Vegar.
Il secolo in cui ci troviamo presenta notevoli cangiamenti in fatto di Filosofia, Scienze sociali, storiche, naturali, ed esatte. Caduto Aristotile subentrò la scolastica, che avea raggiunto lo scopo nello stabilire una filosofia cristiana, val dire congiungendo le speculazioni dell'umano intelletto con le dottrine Sacre, senza di che la follia sottentra alla ragione, ed i sofismi al sillogismo. Questa verità finalmente oggidì si è conosciuta, ricercandosi congiungere il dogmatismo col razionalismo, conciossiacchè il principio fondamentale di ogni scienza è Dio fonte di ogni sapere, né la ragion pura, da cui emerge il trascendentalismo alemanno può esser mai fondamento del vero. E come mai la limitazione dell'umana mente può conoscere a priori l'Esser Eterno, se quest'Essere non ci manuduce egli stesso alla sua conoscenza e per mezzo delle cose create, e per mezzo della rivelazione? Intanto Cartesio nell'epoca in cui siamo scosse il giogo della scolastica, introdusse l'eclettismo, e tutto volle decidere con la pura ragione, emancipandosi da ogni influenza religiosa come elemento del tutto straniero, ed in ciò secondando Bacone, entrambi gonfalonieri di questa grande riforma. Grande scossa diè Cartesio alla filosofia, la quale ne produsse un'altra sobria e robusta nel secolo successivo, poiché fedele alla ragione, e rispettosa verso la fede. Ma pure questa sventuratamente decadde pel sozzo ateismo di Volter, e de' seguaci enciclopedisti, e quindi altri sistemi di Kant, Cousin, Reid, Remusat campeggiarono ne' primordi di questo secolo, e di Gioberti infine col suo Ontologismo, o per dir meglio Panteismo. Ora grazie agli studi de' più recenti pensatori ben si è rassodato, che l'ontologismo non può disgiungersi dallo psicologismo, e che la filosofia senza cattolicismo è un'ombra priva di realtà.
In quel tempo pur anche presero grande incremento le scienze sociali. Quattro erano le scuole, che ne aveano il dominio, cioè de' Teologi, de' Platonici, de' materialisti, e de' Giurisprudenti. Ciascuna derivava la sua morale, e la sua politica dal principio che in lei signoreggiava. Bossuet a capo de' primi diffondendo lampi di sode dottrine convinceva tutti, poiché i suoi principi eran fondati sulla ragione e sulla fede. Hobbes, Spinosa, Grozio e Puffendorfio a capo delle altre, tutti dissenzienti sul principio indagatore della Legge, ma tutti lasciando elementi raffinati e sottili di dottrine, che quindi si abbracciarono, modificaronsi, o si rigettarono a seconda che presentavano verità incontrastabili, o sistemi che menavano ad assurdi.
La storia altresì si volle ridurre a scienza scrutando le leggi degli avvenimenti con la scorta di principi generali, del quale metodo indi si abusò, ed essa ne rimase guasta e falsata.
Le scienze naturali ed esatte si accrebbero pure in modo rilevantissimo. L'invenzione di strumenti fisici arricchirono di nuove scoverte l'astronomia, l'idrostatica la notimia, la chimica, la botanica. Galilei, Torricelli, l'Accademia del Cimento, la Società di Londra, l'Accademia delle Scienze in Parigi elevarono a grado altissimo le cognizioni umane. La zoologia con Giovanni Ray ci diè curiose notizie su i pesci. La medicina finalmente si ridusse a principii generali bandendo l'empirismo de' paracelsisti , ed elmonziani.
In mezzo a sì grande sviluppo di pensieri, d'idee, di cognizioni noi non ci ristammo. I nostri concittadini istruiti altrove, e poscia ritornati in patria condussero seco novelli studii, e peregrine cognizioni, che comunicavano ai propri figli, ed agli amici, e diffondendosi in queste contrade produssero uomini di grande ingegno.
Ma per quanto progredito avessero gli accennati studj, altrettanto rimasto era stazionario il Teatro. E pure dal gusto, e squisitezza delle cose teatrali giudicar si può della rozzezza o civiltà di un popolo. La scuola pratica del viver sociale si ricava a colpo d'occhio dalla scena. Quel secolo nulla creò di nuovo. L'antica oscenità ricomparisce in pubblico, e tutto ridicesi ad amori quasi impudichi. Si cammina ancora sulle tracce di Plauto e di Terenzio. La Calandra del Bibiena, gli Scrocconi di Annibal Caro, la Trinunzia e i Lucidi del Firenzuola portano il dialogo ad impareggiabile bellezza, ma lo scopo non si raggiunge, ancorchè Mattia Imperadore conferisse la nobiltà all'Arlecchino Cecchini.
Poco dopo scorgiamo lo stemma di
GIULIO CESARE MICETTI

Verso la fine del secolo trascorso si estinse in Gallipoli la famiglia Micetti stata pur anche distinta, e fra le patrizie di questa Città.
Corre voce che a quest'antica prosapia appartenesse un tempo il Feudo di Tricase, di cui rimase spossessata dal conquistatore Carlo d'Angiò. Quel che certo si è che Micetti possedeva il Feudo di Pricipano posto alle vicinanze di Tricase venduto da un tal Giulio Cesare Micetti molto più antico di quello che appar nello stemma, qual vendita si fe alla nobile famiglia Gallone, la quale possedeva allora l'accennato Tricase col titolo di Principato.
Fra i componenti di questo casato conosciamo Leonardantonio figlio di Giuseppe, e discepolo del padre Maestro Domenicano Fra Gio: Battista Mazzuci. Fu dottorato in medicina preferendola alla giurisprudenza, cui i suoi genitori volevano istruirlo. Scrisse un volume sulla storia di Gallipoli diviso in varii libri. Diffondendosi sopra età remotissime, cerca ostentare erudizione, e si appoggia su congetture. Poiché la sua famiglia era di Tricase, consacra molti capitoli a scrivere di quel paese, e quindi diverge sulle lodi della medicina. Non per tanto racchiude in se qualche pregevole notizia, e Tommaso Briganti non isdegnò citarla nella sua Paratica criminale. Giovan Battista Micetti trovandosi a studiare in Ferrara fu creato Cavaliere dall'Imperatore Carlo V. Un altro di questa prosapia a nome ancora Giulio Cesare verso l'anno 1549 sposò in Milano Isabella Serra Dama di compagnia della consorte di Ferdinando Consaga fratello del Duca di Mantova. Pingue fu la dote di costei racata in Casa del marito a Tricase. Egli nel 1555 dal menzionato Ferdinando fu fatto Tesoriere di tutt'i Feudi, che possedeva in Terra d'Otranto, i quali consistevano nel dovizioso Contado di Alessano, e creato Cavaliere dell'Ordine del Tosone, amministrò quei Feudi col titolo di Viceconte, godendo le prerogative che al suo signore competevano. Nondimeno ignoriamo in qual tempo i Micetti si stabilirono in Gallipoli. Essi quì possedevano predii rustici ed urbani, che nell'estinguersi questa famiglia forse per successione passarono alla distinta Casa de' Marchesi Arditi di Presicce. Avean dato due Sindaci alla Città Giulio Cesare nel 1693, e Sebastiano nel 1762.
Lo stemma del casato è un Leone d'oro rampante poggiato sul piè sinistro in campo azzurro simboleggiante il dominio feudale, che avean goduto, e quattro fasce color di rosa da dritta a manca allusive all'ordine de' Cavalieri del Tosone, cui gli antenati appartenevano.

Vitantonio VINCI