Proviamo per un attimo a immaginare che Cesare Previti sia vittima di
un'ingiustizia, e poi un attimo dopo vediamo, senza dover più immaginare, cosa
succede nella realtà.
Il giorno successivo alla sentenza di condanna, un vero e
proprio esercito di giornalisti interviene a difenderlo e punta il dito contro i
giudici. La stessa TV pubblica, la RAI, lo ospita nella trasmissione Porta a
Porta, e il cortesissimo Vespa gli serve il microfono per consentirgli di
ribadire la solita tesi del complotto delle toghe rosse.
Ma il clou è
sicuramente l'intervento di Silvio Berlusconi che si straccia le vesti per il
suo povero amico perseguitato.
Attenzione, non stiamo parlando di un semplice
amico che interviene nel momento del bisogno, ma del Presidente del Consiglio,
vale a dire di colui che dovrebbe curare gli interessi di cinquanta milioni di
Italiani. Il capo del Governo che infischiandosene di cinquanta milioni di
Italiani, prende le difese di uno solo.
Non bisogna naturalmente dimenticare che
il Parlamento italiano nei mesi precedenti era stato impegnato in un penosissimo
tour de force per approvare la Legge Cirami, fatta su misura per Previti.
Nemmeno uno scrittore di fantapolitica avrebbe potuto creare una trama come
questa. Ma la realtà ha già sviluppato, e temo continuerà a sviluppare, una
delle storie più incredibili e assurde di questi anni.
All'inizio ho esordito
invitando a immaginare un'"ingiustizia" verso Previti; adesso torniamo alla
realtà ed esaminiamo un caso di ingiustizia vero: un errore giudiziario che
riguardi un poveraccio. Ricordo i casi di un pastore sardo e di un contadino
abruzzese. Dopo quasi vent'anni di carcere, sia per l'uno che per l'altro:
l'ammissione dell'errore giudiziario, la scarcerazione, il risarcimento con
qualche decina di milioni, una breve notizia in cronaca e … nulla più.
Se
mettiamo a confronto le diverse storie, Previti e i poveracci, l'"ingiustizia" e
le ingiustizie, facciamo fatica a orientarci nella realtà e ci chiediamo,
realmente, con Calderon de la Barca, si la vida es sueño.
Ma vorrei riflettere
su un altro caso di "ingiustizia", anzi di "ingiustizia" (virgoletto in maniera
differente per una doverosa differenziazione) e che riguarda Adriano Sofri. L'ex
leader di Lotta Continua si è visto confermare la condanna nei diversi gradi di
giudizio. Anche in questo caso da più parti si è gridato al complotto.
Giornalisti, direttori di giornali, comitati si sono mobilitati impugnando il
vessillo del garantismo (quale poi?).
Non poteva naturalmente mancare anche in
questo caso il personaggio famoso, e nemmeno dappoco: il Premio Nobel Dario Fo.
Anche in questo caso l'"ingiustizia" rivela il suo aspetto particolare: nasce
dal privilegio e crea privilegi.
Sofri padre ospitato, e quindi ben retribuito,
da Quotidiani e Riviste di prestigio, Sofri figlio amorevolmente accolto come
giornalista televisivo, e mette in difficoltà gli ospiti de La7, perché fa
domande che solo lui capisce.
Ma dei figli di quel pastore sardo e di quel contadino abruzzese chi si è
occupato?
Sicuramente l'ingiustizia si è riversata su di loro, e non privilegi
ma discriminazioni e pregiudizi hanno dovuto affrontare.
Non è un caso che
l'"ingiustizia" di Previti e l'"ingiustizia" di Sofri siano l'una di Destra e
l'altra di Sinistra. Ciò che le accomuna non è la questione giudiziaria, come
dovrebbe essere, ma un male antico e mai estirpato: il privilegio.
I difensori
dell'uno e dell'altro non vogliono giustizia, reclamano con arroganza l'impunità
per i loro amici. La giustizia va applicata agli altri non ai potenti.
Il
privilegio è ingiustizia e loro, conseguentemente si battono per l'ingiustizia.
Perché se è vero che Previti e Sofri sono colpevoli, gli amici dell'uno e
dell'altro, battendosi per ottenere giustizia, in realtà chiedono che
ingiustizia sia fatta.
Nel corso della storia sono stati usati vari nomi per
indicare la complicità tra Maggioranza e Opposizione: trasformismo, compromesso,
consociativismo, inciucio.
Ma l'aspetto originario del tutto sta nel concepire
la politica come privilegio. Di fronte ai privilegi scompaiono le differenze. Le
divergenze tra chi finge di governare e chi finge di opporsi si rivelano foglie
di fico che cadono miseramente dinanzi alla sostanziosità dei temi.
E non parlo
della scomparsa delle differenze, quando si tratta del finanziamento ai partiti,
o dello stipendio di parlamentari, consiglieri regionali e via dicendo. Questi
sono gli aspetti più macroscopici che registriamo all'occasione. La realtà è
molto più amara. Ci parla della autoreferenzialità di un sistema politico.
Che
ha regole e comportamenti diversi rispetto a quelli dei comuni cittadini. Spia
di un malessere e di una arretratezza della nostra democrazia, dove si assiste
all'assurdo che ci sia l'"ingiustizia", l'"ingiustizia"…e poi l'ordinaria
ingiustizia.
Remo Natali