É stata restaurata e presentata al pubblico con cerimonia ufficiale (4-5-2003)
l'antica tela (1607) del patriarca S. Domenico da Guzmàn, che troneggia più
splendente al centro del coro, nella chiesa del Rosario in Gallipoli.
È opera
di Giandomenico Catalano (1560-1626), primo pittore gallipolino, di cui è
precipua caratteristica il gioco dei toni pittorico-descrittivi e dei piani
sovrapposti con varie finestre narrative di dialogo (a dx l'intercessione dei
SS. Pietro e Paolo a Maria, a dx la panoramica di Gallipoli).
È artista
"devoto" per aver operato, all'indomani del Concilio di Trento, in ottemperanza
ai canoni della Controriforma. Di scuola napoletana tardo-manieristica e
fiamminga, è il più prolifico in città e provincia, capoluogo incluso.
Nel
dipinto in oggetto il santo spagnolo, in atto benedicente, stringe con la
destra il Crocifisso al quale, nel profferire a mo' di fumetto, lungo l'asse
diagonale "volto-Crocifisso-mano sinistra-panorama cittadino", il salmo
liturgico penitenziale di Quaresima "Parce Domine parce populo tuo" (una delle
sorprese venute alla luce dal restauro), indica con la sinistra la città di
Gallipoli, chiedendone perdono e protezione.
La destra del Santo, che domina
idealmente il tutto, costituisce il punto d'intersezione delle diagonali, il
centro ortogonale del rettangolo (215´180).
Non poche le novità o le
informazioni che ne ricaviamo.
Il quadro assume notevole rilievo in quanto fotografa, nel particolare della
veduta di Gallipoli, le reali dimensioni urbanistiche dell'epoca: le mura, che,
tutt'intorno lambite dal mare, ruotano sino all'ingresso principale ad arco
ornamentale di Porta-Terra, naturalmente molto più elevato rispetto al piano
del continente, i baluardi, il castello poligonale col bastione settentrionale
squadrato e il fossato, le case a torre, la primitiva cattedrale romanica con
campanile, poi a ponente i campanili delle chiese dei Domenicani e dei
Riformati, infine lo scoglio del campo, l'isola S. Andrea e le alture calabre
sul fondo.
Si raggiungeva l'isola del centro storico attraverso due ponti che
s'inerpicavano convergenti verso il ponte levatoio, unico accesso carrabile
alla città (a sx quello che, tangente alla lunetta del rivellino e al torrione
laterale, sarebbe stato dismesso dopo il 1610, a dx il nuovo manufatto a 12
arcate d'età 1603-07).
Fuori dalle mura, su una esigua lingua di terra, si
intravede il poco allora esistente: la primitiva chiesa del Canneto
(riedificata nella seconda metà del XVII sec.), la chiesetta di S. Cristina, la
fontana ellenica, la cappella di S. Nicola a dx e del Rosario a sx, presso due
brevi ponti che, scavalcando acquitrini paludosi, davano direttamente
nell'entroterra (l'attuale borgo nuovo).
La medesima raffigurazione topografica
di Gallipoli l'artista la ripropose in seguito su altre tele: due nel santuario
dell'Alizza, S. Pancrazio e S. Carlo Borromeo, la terza firmata e datata 1617,
raffigurante i santi Eligio e Menna, un tempo nella cappella omonima (angolo
di piazza Repubblica), oggi nella sacrestia della Cattedrale.
Il Catalano, come
uso nelle botteghe pittoriche, ha davvero riutilizzato la forma della medesima
panoramica urbana, per realizzare la bozza e riprodurre l'abitato così come
sviluppato sull'isola sino agli inizi del XVII sec. e come ancora si vedeva due
secoli dopo (cfr. Ravenna, pp. 28-37 e 44-46).
Gino Schirosi