Comparisce poi lo scudo di
BONAVENTURA BALSAMO
La
famiglia Balsamo di Gallipoli gode di antichissima nobiltà generosa.
Ella proviene dalla cittadinanza messinese; e se entrar si volesse
nell’origine di questa illustre prosapia, dovremmo svolgere molti
scrittori che ne han favellato. Ma noi al solito toccando sobriamente
le cose principali diciamo, che Teodoro ed Antonio Balsamo insigni
letterati fiorirono nel 324; che Ademaro Balsamo dall’Imperatore Ottone
intitolato Marchese, viene creato Principe di Capua e Duca di Benevento
nell’anno 999, e che Anselmo IV di questo casato nel 1101 fu
Arcivescovo e Principe di Milano.
Si assicura, che la famiglia in
discorso dalla Grecia passata fosse in Sicilia facendo parte del
parlamento di quel Reame; ch’essa si divise in più rami; che
imparentossi con la Casa allor regnante d’Angiò, perciocchè una figlia
dei Re Carlo 1° fu consorte di Ansaldo Balsamo Cavalier Messinese
fratello di Costanzo e di Perrone passati in servigio degli Angiojni
nel 1274, per la qual cosa Messina ritardò a seguire la rivolta
rattenuta dal nominato Costanzo.
Fra i discendenti di costoro fuvvi
Raffaele Balsamo familiare, e commensale del Re Ferdinando d’Aragona.
Egli ebbe molte concessioni, e singolarmente l’esenzione da ogni Foro,
rimanendo soltanto soggetto al Gran Siniscalco del Regno, come risulta
dal privilegio speditogli da Castelnuovo in data degli 8 Aprile 1484,
in cui fra le altre cose si legge quanto siegue:
“Haec itaque in
persona spectabilis viri, magnifici, devoti, et dilecti nostri
Raphaelis Balsamo Civis et Militis de Neapoli, oriundi de Messana Regni
Siciliae ultra Pharum, filii legitimi et naturalis spectabilis et
magnifici viri Ioannis Antonii Balsamo, et magnificae Catherinae
dell’Aquila” ec. ec.
Nell’anno 1510 l’accennato Raffaele acquistò
in questa Provincia i Feudii di Cardigliano, Reggio, e S.Niccola de’
Caraccioli, e il figlio suo Antonio servì da Capitan de’ cavalli
l’Imperatore Carlo V. Allorchè nel 1528 scoppiò la guerra con Francia,
Antonio Balsamo seguì il Vicerè Moncada per combattere la flotta di
Filippo Doria. Moncada restò sconfitto nelle acque di Salerno, i
sopravviventi fatti prigionieri furon condotti in Genova, e fra costoro
trovavasi il nostro Antonio. Ma siccome Moncada volle combattere contro
il parere del Generale in capo Principe d’Oranges fu dipinto appo
l’Imperatore siccome ribelle, e con esso Antonio Balsamo. Carlo poi
conosciuto il vero, dichiarò l’innocenza di Balsamo, gli restituì tutti
gli averi, ed assegnò per lui e suoi discendenti annui ducati 500 da
sopra i beni di Lanzilao d’Aquino, e se questi mancassero, da sopra le
rendite fiscali de’ fuochi di questo Regno. Il diploma fa noto, che
Balsamo avea servito in tutte le guerre d’Italia, e particolarmente nel
conservare lo stato di Milano, e nel difendere e ricuperare il Reame di
Napoli dalle armi Francesi. Ecco le parole del diploma:
“Cum
superiori anno 1528 Gallis una cum aliis hostibus nostris, Regnum
nostrum Siciliae Citerioris invadentibus, Lanzilaus de Aquino defunctus
cum marchio quaratae, ita in Nos et statum nostrum deliquerit, ut omnia
bona feudalia etiam titulata et burginsatica per diffinitivam
sententiam nostrae regiae Curiae et Fisco nostro regio fuerint aperta,
devoluta, adquisita, de hisque liberum nobis sit arbitria nostro
disponere; animadvertentes quo studio Magnifico et Nobili Viro Antonio
Balsamo militi et capitaneo equitum sub ductu illustris Francisci, de
Rupt Domini de Bauri Consiliarii et Camerarii nostri, qui quidem
Antonius in omnibus Italiae bellis inservierit, et praecipue in
conservatione Status Mediolani, defensioneque et recuperatione nostri
Citerioris Siciliae Regni, dum a Gallis hostibus nostris, eorumque
federatis invaderentur, non modo res nostras arduas tractando, et hinc
inde quam multis itineribus emensis, et multiores peragrato mari
dirigendo, verum etiam se ipsum hostibus obijsciendo, ita ut praeter
alla multa eius in nos fidei et virtutis documenta, ab ipsis hostibus
in navali praelio captus fuit, dum eos ab ipsius Regni litoribus
profligare student: quo fit ut merito eum dignuam judicemus, cui ea
quae suis culpis Lanzilaus amisit, Nos liberissime concedamus eidem
Antonio tanta bona burgensatica de praedictis, quae reddere possint
annuos ducatos quincentes ec.ec.”
Antonio Balsmo intestossi i Feudi
di Cardigliano, Reggio, e S.Niccola de’ Caraccioli pagandone il
relevio, e ciò dopo la morte del genitore. Ebbe in consorte Antonia
Arcella de’ Baroni di Tiggiano, con la quale procreò Cesare, Pompeo, e
Scipione, l’ultimo de’ quali morì senza figliuoli. Cesare ebbe Orazio e
Vittoria, la quale in secondo letto sposò Vincenzo Pirelli Barone di
Neviano. Pompeo secondogenito di Antonio ebbe per figliuolo Andrea, da
cui nacquero Girolamo, Carlo, Giuseppe, Francesco, e Vittoria. Orazio
figlio del primogenito Cesare vedendosi privo di figli vendè il Feudo
di Cardigliano. Girolamo, Giuseppe, e Francesco non ebbero figliuoli.
Carlo solatanto procreò Giuseppe Antonio e Bonaventura, e due figliuole
Marianna e Lucrezia, consorte quella Niccolò Vito, e questa di Marcello
fratelli d’Elia. Giuseppe Antonio fu Barone di Specchia Normandia, e
procreò Carlo Saverio. Bonaventura ebbe un figlio a nome Francesco
Salvadore padre dell’attuale D.Bonaventura. Da Carlo Saverio secondo
Barone di Specchia Normandia nacquero Giuseppe Antonio e Bonaventura
Luigi. Di Giuseppe Antonio è figlio l’attuale Marchese D.Carlo, e di
Bonaventura Luigi l’attual Cavaliere a nome anche D.Carlo.
D. Carlo
Saverio essendo Barone di Specchia Normandia ebbe il titolo di Marchese
conferitogli con real diploma del 24 Giugno 1797, che gli fu comunicato
dal Ministro nel seguente tenore: ”Avendo la real Camera di Santa
Chiara contestato, che la famiglia di V.S. Illustrissima sia nobile
antica originaria messinese, che da tre secoli porta l’abito
Gerosolimitano, che abbia avuto antico possesso di Feudi, e che ora
abbia quello di Specchia Normandia con aver resi numerosi servigii alla
corona in cariche distinte, è venuto il Re ad accordare alla V.S.
Illustrissima il titolo di Marchese, ed io gliene do l’avviso, acciò
faccia accudire per la spedizione del real Diploma. Palazzo 24 Giugno
1797. Al marchese D.Carlo Balsamo. Saverio Simonetti.”
Assai nobili
furono altresì le parentele contratte da questa famiglia, cioè con
Arcella de’ Baroni di Tiggiano, con Pirelli de’ Baroni di Neviano, con
Randachi de’ Baroni di Casamassella e di Alimini, con Lucognano de Goio
de’ Baroni di Lucognano, con Lobello de’ Baroni di S.Cassiano, Serrano,
e Vernole, con la famiglia de’ Conti de Ildaris, con Capece de’ Baroni
di Corsano e Barbarano, con d’Elia, d’Ospina, Vernazza de’ Duchi di
Castrì e Marchesi dell’Acaja e Palmariggi, con Cicala de’ Baroni di
Sternazia, con Caracciolo de’ Duchi di Lauriano, con Aragona, con del
Tufo, della cui splendidissima Casa a distesa ne parla Scipione
Ammirato, con di Sangro, Frisari, de Tomasi, e con moltissime altre.
Per lo spazio di 300 anni ebbe varii Cavalieri gerosolimitani di
giustizia, e D.Bonaventura figlio dell’attual Marchese D.Carlo, che
nobilmente or dimora in Napoli, è uno di tali Cavalieri.
Nel 1767 i
nostri Balsamo furono reintegrati nella nobiltà di Messina, come
discendenti in linea retta dell’accennato Raffaele, e per decreto della
regia Camera Carlo Saverio testè mentovato, qual nobile messinese già
trovavasi ammesso agli onori del baciamano.
Il Cavaliere
D.Bonaventura Luigi, e la sorella D.Marianna moglie di D.Andrea
d’Ospina, come pure le nipoti D.Nicoletta e D. Livia furono tenute al
sacro fonte battesimale dal caro congiunto di Sicilia D.Francesco
Marchese Balsamo Principe di Castellaci.
Francesco Balsamo genitore
dell’attuale D.Bonaventura fu esimio e gentil poeta, scrisse varii
componimenti in versi, e fu membro dell’Arcadia di Napoli, da cui ebbe
in guiderdone un giglio di oro.
Ma perdere non possiamo la memoria
dell’egregio e benemerito signor Cavaliere gerosolimitano D.Bonaventura
Luigi Balsamo ornamento e decoro della Città nostra. Egli di amabili
costumi, e d’integra morale, seppe attirarsi le simpatie di tutti per
il nobile suo procedere, per l’amore verso le belle arti e le scienze,
per l’incoraggiamento verso coloro, che intendevano rendersi utili a
qualche cosa, e pien d’affetto per la patria costruì a proprie spese
quel pubblico Teatro, che forma adesso un monumento di gloria per
questa Città.
Le armi di quest’antichissima famiglia si compongono
da uno scudo bipartito orizzontalmente. Nella parte inferiore in campo
celeste evvi un Leone di oro portante un vaso di bronzo di forma
etrusca, e simboleggiante la forza e l’antichità della prosapia. La
parte superiore è bipartita verticalmente: nella dritta giace interzata
in campo d’oro un aquila nera coronata dinotante la sovranità di
antichi Feudi posseduti col mero e misto impero: nella sinistra giace
in campo di argento conserto un ricco padiglione rosso forse allusivo
alla nobiltà messinese. Gli scrittori Ansalone, Bonfiglio, e Costanzo
ci assicurano che lo stemma di Balsamo testè descritto vedesi nella
Chiesa di S.Sofia in Costantinopoli, nella Metropolitana di Messina,
nella Cappella gentilizia, ed in varii pubblici luoghi, come pure
trovasi nell’altare della Chiesa di Specchia Normandia, e nel Casale di
Cardigliano, ove dimorarono quali Feudatari, nel sepolcro gentilizio
entro la nostra Cattedrale, ed in fine nel proprio palazzo in Gallipoli.
Il
Monastero de’ padri Domenicani con la Chiesa esistente a Specchia
Normandia fu fondata da Scipione Balsamo in un giardino di sua
proprietà accanto alle mura, e davanti alla porta della piazza di quel
paese. Noi abbiamo letto l’atto di fondazione rogato dal Notaio
Raffaele Cippo a 6 aprile 1600. In quel Monastero ed in quella Chiesa
pur anche veggonsi le armi della famiglia Balsamo.
Parecchi Sindaci
abbiamo di questo casato: Bonaventura nel 1734, 1742; Carlo nel 1748,
1749,1769, 1770; Francesco nel 1774; ed il Cavaliere Bonaventura Luigi
nel 1800 e 1801.
Appare poscia lo scudo
ANTONIO TRICARICO
Le
memorie da noi conservate ci accennano che la famiglia Tricarico sia
nobile gallipolina, ma non si scorge d’onde emerga tale sua nobilità.
Ella per altro doveva esserlo, avvegnacchè altrimenti non avrebbe
potuto ascendere al sindacato. Si estinse questa famiglia nella persona
di Bonaventura, e ben dobbiamo guardarci di confonderla con le altre
molte di simil cognome, le quali sono di basso lignaggio.
Essa dal
Lumaga si dice originaria di Pistoia; diè due sacerdoti alla nostra
Chiesa, cioè Bonaventura e Leonardo, contrasse parentele con
Stradiotti, Coppola, e Zacheo. Antonio Tricarico fu Sindaco nel 1760,
impalmò Agata Fersini, di cui vedovato, unissi in secondo matrimonio
con Luisa della nobile famiglia de’ Marchesi Romanelli di Monopoli.
Dicesi
che un antico ascendente de’ Tricarico ottenuto avesse onorevole
Diploma dalla Corte Austriaca di rinunerazione di servigi resi; ma
s’ignora come, quando, e chi lo abbia ottenuto.
Il suo scudo ci
presenta in campo celeste un Leone rampante, con tre stelle di oro sul
vertice, forse alludenti alla forza ed allo splendore di quella
prosapia. Nel cappellone grande della Chiesa de’ Riformati esiste la
tomba de’ Tricarico chiusa da lapide marmorea. Dalla iscrizione latina
risulta, che Giuseppe Cellini di Lucera affine di Bonaventura Tricarico
patrizio gallipolino apponeva quel monumento in attestato di
benemerenza.
Si scorge ora lo stemma di
FILIPPO BRIGANTI
Noi
pronunziamo con venerazione il nome di Briganti, ornamento non solo
della nostra Città, ma della repubblica letteraria ancora. Questa
famiglia, in cui sempre fiorirono gli studii legali, la filosofia, e le
lettere è antica di questa università, nobile per sé medesima, per le
cariche distinte che ha occupato, e per le parentele da lei contratte.
I Briganti Conti di Panico nel Bolognese furono partigiani di Francesco
1°. Dopo la pace abbandonate da quel Re le Città italiane, Carlo V fe
sentire il peso di sua vendetta, e però que’ Conti furon banditi. Un di
essi pervenne in questa Provincia, acquistò beno in Racole, e poscia sù
i principi del 1600 Domenico Briganmti passò in Gallipoli, e fu
ricevuto nel patriziato. Egli dotto giureconsulto occupò la carica di
regio Giudice. Da lui e dalla sua consorte di famiglia Capano nacquero
il giureconsulto Francesco Antonio canonico preposto di questa
Cattedrale, provicario generale, ed esaminatore sinodale mandato
Vicario apostolico in Alessano, e morto in odore di santità; il Capitan
di cavalli Giuseppe a’ stipendi del Re Cattolico Filippo IV; di lui si
ha un poemetto in istampa intitolato “Vienna liberata dalle armi
ottomane”; un altro sacerdote a nome Giovanni; e finalmente il
giureconsulto Tommaso Fausto, nome distinto negli annali del Foro.
Costui dopo l’elementari discipline apprese in patria, andò in Napoli,
ove perfezionossi in tutte le branche dell’umano sapere, ed esercitò
l’onorevole carriera di Avvocato, nella quale si distinse per eloquenza
e per dottrina. Anche in Roma fece sentir la sua voce in quei Tribunali
ed ammirare la sua eloquenza alla posterità de’ Tulli e degli Ortensi,
come scrivea il figlio di lui Filippo ad un suo amico. Reduce in patria
esercitò la carica di regio giudice, occupandosi altresì alle cause più
importanti, che venivangli affidate dalla intera Provincia. Ebbe in
consorte Fortunata Mayro, con cui procreò quattro figliuoli a nome
Filippo, Domenico, Ernesto, ed Attanasio. I due ultimi abbracciorono lo
stato ecclesiastico. Ernesto fu arciprete di questa Cattedrale morto
poco dopo nominato Vescovo di Ugento. Attanasio fu tra i padri
Gerolimini di Napoli, passato poi alla Congregazione de’ Padri della
Missione, ove morì da Superiore. Filippo e Domenico furono dal genitore
diretti alla scienza legale, e per essi Tommaso Fausto scrisse la
famosa pratica criminale delle Corti Regie e Baronali del Regno di
Napoli, opera sublime questa, che, sebbene la giurisprudenza oggidì
abbia subito notevoli riforme, pur tuttavia si studia, perciocchè le
opere che han per base la scienza non periscono giammai; e se Beccaria
menò tanto grido per la sua opera contro la Tortura, Briganti pria di
quello avea aperto l’adito a questo argomento appo di noi, trattato
antecedentemente a costoro da’ Pontefici romani, che avean gridato e
scritto contro l’uso barbaro di questo mezzo di prova; scrisse pure la
pratica civile rimasta inedita, un dotto volume di disciplina
ecclesiatica, e precisamente sulle ricchezze monastiche, in quale opera
si ammira un fiume di scienza canonica, ed in ultimo un volumetto di
eleganti di poesie latine. Ma Filippo figlio di lui dovea elevarsi a
voli più sublimi. La sua biografia fu scritta dal Dottor Bandassarre
Papadia di Galatina, e dal nostro concittadino Giambattista de Tomasi,
cui rimandiamo i nostri leggitori, ma ciò non vieta di aggiungersi
qualche cosa anche da noi. Egli educato da un così dotto genitore,
studiò le leggi sulle basi della religione e della sana filosofia. I
classici furon la sua guida; la morale e la fede le sorgenti del suo
sapere. Conobbe quell’uomo insigne, che riunir le leggi de’ diversi
popoli formate a piacimento degl’imperanti niun principio universale di
giurisprudenza potea acquistarsi, poiché questa sintesi ad altro non
menarebbe, se non se ad accumulare principii indigesti non adatti per
ogni popolo e per ogni nazione, e che la vera fonte di un principio
generale legislativo deriva dal Creatore principio eterno di ogni
giurisprudenza universale adeguata per tutt’i popoli, scrisse
quell’opera famosa con un metodo del tutto contrario, e che intitolò
Esame analitico del sistema legale, e risalendo dal creato al Creatore
ci dimostra chi sia l’autor della Legge, in che consista l’autorità
legislativa, qual sia il principio ed il fine della legislazione, chi
il soggetto e quale l’effetto della Legge di natura. Ricca di
cognizione, e di ricerche metafisiche, di nozioni di storia antica e
moderna, di erudizioni aggiunte non per pompa ma per scovrire gli
arcani della verità, di confutazioni logiche contro i corifei
dell’ateismo, e del materialismo di quel secolo, quest’opera diè un
profondo slancio alla giurisprudenza universale, in modo che tutto
svolge il ragionamento all’uopo e nulla lascia a desiderare, e quel che
più lo manifesta grande si è che il dotto scrittore fin da quel tempo
seppe congiungere nell’investigazione del vero i due metodi oggi
chiamati nelle scuole obbiettivo e subbiettivo da far comprendere fin
d’allora, siccome adesso finalmente si è compreso, che l’uno non può
andare dall’altro disgiunto senza incorrere a gravi e perniciosissimi
errori. Intanto questo celebre scritto non può intendersi da chi non
sia ben corredato di nozioni metafisiche, della conoscenza del diritto
naturale e pubblico, degli scritti de’ filosofi del 17° e 18° secolo,
della storia antica e moderna. In esso si collegano in modo il
principio col mezzo, ed il mezzo col fine di ogni proposizione, che se
una cosa sola sfugge, la lettura non può seguirsi, si perde il filo
delle idee, e nulla più si comprende. Ecco perché a pochi è concesso di
gustare le bellezze del Filosofo Briganti, ed ecco perché la colossale
opera di lui è rimasta quasi nell’obblio. Scrisse egli pure l’esame
economico del sistema civile, un opuscolo sull’arte oratoria del Foro,
gli atti di pietà capolavoro in questo genere, varii sonetti sopra
soggetti greci e romani, alcuni componimenti poetici, ed eseguì una
bella ed elegante traduzione di Lucio Floro accompagnata da riflessioni
sulle quattro età del popolo romano. Ebbe due mogli Caterina Briganti
sua cugina, e poi Vincenza Rocci Cerasoli dama gallipolina; né con
l’una, né con l’altra procreò figli, per il che tolse moglie suo
fratello Domenico.
Coetaneo di Filippo Briganti era Giovanni Presta
autore dell’opera “degli ulivi e delle ulive”. Amici entrambi non
tralasciavano ragionar fra loro sovra scientifici argomenti. Accadde
che qui pervenisse la letterata Elisabetta Camine attrice assai
rinomata, la cui oratoria trasse l’ammirazione di Presta e di Briganti.
Non mancarono maligni a denigrar la stima di quell’artista con folli ed
inette satire, quando i nostri filosofi imposero silenzio con la
celebre risposta che incomincia
Satira un'altra volta! Signor no,
Sirocchia mia non vò cantar così
Non la m’ inzeppi questa volta oibò
S’ingrugni pure Marno in questo dì,
Ch’io non vò metter della stoppia in aja
Né spippolar con questi versi qui ec.ec
Fu
l’altro figlio di Tommaso Fausto l’accennato Domenico Briganti anche
giureconsulto di rinomanza, fecondo oratore, e di memoria portentosa
dotato. Bello è l’elogio funebre, ch’egli recitò in occasione de’
funerali di Giuseppe 2° e bellissima quella memoria da presentarsi alla
Serenissima Repubblica Veneta per il naufragio della nave di alto bordo
nomata la Sirena avvenuto a 27 Novembre 1793. Egli dimostrando che il
difetto della carte fu cagione, che il Capitano Comandante naufragasse,
sviluppò gravi dottrine di nautica e di astronomia, e loberollo dalle
pene che quel governo comminava contro i colpevoli e negligenti in
siffatti casi. Scrisse pur anche l’Elogio di Carlo III di Borbone, una
storia della rivoluzione di Francia del 1783, che bruciò alla prima
invasione fatta del nostro Reame dalle armi Francesi, altra opera
infine intitolata saggio sul secolo di Caterina seconda Imperatrice di
Russia, rimasta inedita, e che si conserva con gli altri autografi
delle opere de’ scrittori di questa famiglia da’ discendenti della
stessa.
Figlio di Domenico, e di Anna Scolmafora fu Tommaso, ch’ebbe
in consorte Raffaela Pappalettere di Barletta Dama adorna di tutte le
virtù. Di Tommaso abbiamo inedita la traduzione dal Francese de’ viaggi
in Palestina del sig. de Villemont e qualche poesia.
L’attuale
D.Domenico Briganti non degenere dalla nobilità, religiosità, e morale
de’ suoi illustri antenati, sposato alla Dama D.Candida Basurto de’
Duchi di Racale, è tutto intento alla educazione de’ propri figliuoli,
ed amantissimo di questi studi, che sempre fiorirono nella sua
famiglia, non tralascia di arricchire la sua bell’anima di novelle,
peregrine, e dotte cognizioni.
I Sindaci, che diè questa famiglia a
Gallipoli sono i mentovati D.Filippo nel 1764, e D. Domenico nel 1767,
ed il vivente D.Domenico lo fu negli anni 1842, 1843, 1844, e 1851.
Lo
scudo di Briganti dipinto nella sala del Palazzo comunale è diviso
orizzontalmente in due. Nella parte inferiore in campo celeste giace un
Leone rampante, che si eleva nella metà superiore in campo di argento
irradiato da uno splendido sole, e col motto “nullum ius habuere
nocendi” e ben si addice quel sole, che illumina il mondo letterario di
tante dottrine, e di così vasta, robusta, ed incalzante filosofia
simboleggiata da quel Leone.
Dopo questo si scorge lo scudo di
NICOLA DOXI STRACCA
La
famiglia Doxi Stracca esisteva in Gallipoli nel 1719, poiché in
quell’anno Antonio Doxi Stracca con scrittura per Notar Misciali
comprava da Leonardo Venneri un’annua rendita di ducati 36. Ma con
l’andar degli anni essa divenne ricchissima, e l’ultimo a nome Niccola
lasciò un asse di D. 300mila. Gallipoli accolse fra i suoi patrizii
questa prosapia, che imparentò con Moschettini di Taviano, con Cicala
di Lecce, con de Tomasi e Zacheo di Gallipoli. Il dottor di Leggi
Pasquale cinque volte quì fu regio Giudice. Numerosi erano i predii
rustici ed urbani di questo casato. Il suo sepolcro gentilizio esiste
entro la Chiesa di questi Padri Domenicani. Dicesi che i Doxi Stracca
fossero oriundi da nobili genovesi. Vero è che Niccolò Sindaco nel 1765
fu un personaggio molto ragguardevole, da tutti amato per gentilezza
del suo procedere, per l’elemosine che diffondeva a’ poveri, e per
benefizii che impartiva quando ne veniva richiesto. Tutti alla sua
morte il compiansero, poiché perderono un protettore.
Lo scudo è
bipartito verticalmente. Alla dritta in campo celeste evvi un candido
giglio, che simboleggia la sincerità. Alla manca una fascia aurata, su
cui poggia una nera colomba, ed alla parte inferiore una stella pure
aurata; simboli di altre famiglie, con le quali i Doxi Stracca avean
contratto parentele.
Quindi scorgiamo lo scudo di
ANGELO SERAFINI SAULI
Si
asserisce che la famiglia Serafini sia originaria di Modena, e che da
colà abbia esulato per discordie civili solite in quei tempi ad
accadere nelle Città d’Italia per gli opposti partiti che in se
racchiudevano. Or vediamo i Serafini stabilirsi in questa Provincia, ed
in quella regione propriamente chiamata il Capo di Leuca, ove il
giureconsulto Angelo dimorante in Salve nel 1645 comprava dalla
famiglia Gallone il Casale di Tiggiano, ed i Feudi di Marigliano e
Celle in questa Provincia. Angelo adunque fu il primo Barone di
Tiggiano, Marigliano, e Celle. Da lui nacquero Giuseppe secondo Barone,
che impalmò Aurelia Paladini di Lecce, Tommaso che stabilì un altro
casato in Otranto imparentando con Basalù, ed Alessandro che addivenne
Abbate. Da Giuseppe nacquero Oronzio terzo Barone, e Barbara maritata a
Cesare Paladini con la dote del Feudo di Celle. Il Barone Oronzo menò
consorte Elena Pievesauli di Gallipoli, la quale ereditò i beni di sua
famiglia trasferendoli in casa del marito insieme al cognome Sauli,
perché unica superstite di quel casato come osservammo parlando di
Pievesauli. Dal mentovato Oronzio nacque Ippazio quarto Barone, che
sposò Chiara Mureti di Taranto, e procreò un altro Oronzio, che fu il
quinto Barone di Tiggiano assumento il cognome di Serafini Sauli, e fu
fratello d’Ippazio divenuto Abbate. L’accennato quinto Barone Oronzio
impalmò Lucia d’Elia di Gallipoli, e procreò Ippazio che fu il sesto
Barone sposato a Gabriela Vernazza de’ Duchi di Castrì, da cui nacquero
Ippazio Cavalier di Malta di divozione, ed Oronzo Amadeo secondogenito
che divenne il settimo Barone, nonchè Gaetano, Giambattista, e
Pasquale. I discendenti di questo settimo Barone ora esistono in
Tiggiano conservando i titoli ed i beni de’ loro antenati.
Dal
menzionato quinto Barone Oronzio con la d’Elia nacquero ancora Giuseppe
e Bartolomeo entrambi abbati della ricca abbazia di patronato di
famiglia, di cui gli altri sacerdoti di questo casato n’erano stati
investiti durante la vita loro, come pure nacquero Niccolò Vito ed
Angelo, e quest’ultimo stabilissi in Gallipoli sposando Aurelia
Balsamo, da cui ebbe Bonaventura, che fu Cavaliere di Malta. Vedovato
impalmò sua nipote per nome Rachele, con cui procreò due figlie le
attuali Dame Donna Elena e Donna Gabriela. Pasquale Sauli fratello del
7° Barone di Tiggiano non ha guari è morto in Lecce col grado di
Maggiore delle Guardie d’Onore, e Presidente del Consiglio di Guerra.
Angelo
Serafini Sauli fu Sindaco di Gallipoli nel 1771 e 1778. Egli fu ammesso
agli onori del baciamano, come dal seguente documento, che noi
trascriviamo, dal quale si rileva la nobilità del casato in discorso.
“A
bene adempiere il sovrano comando stimò la real Camera scrivere
all’Uditore dell’Acqua, affinchè avesse riferito se la famiglia del
ricorrente sia aggregata tra le famiglie nobili della Città di Lecce e
da quanto tempo; se possieda Feudi nobili; se sia antica o surta di
recente; se abbia congiunti nobili; e finalmente dir tutte le qualità e
circostanze di tal famiglia.
In vista di un tale incarico ha esso
Uditore riferito, che nella Città di Lecce non vi sia sedile chiuso, né
aggreagazioni con privilegio alla nobiltà, ma che si distinguono i
cittadini in tre Ceti, nobili, civili, ed artieri; che tra il primo
ceto vi sono diversi Titolati e possessori di Feudi nobili, e tra
questi la famiglia del ricorrente, la quale da più secoli andò in
quella Città, ove un tal D.Angelo, avendo fatto molti acquisti, comprò
nell’anno 1645 la Terra e Feudo di Tiggiano, che tuttavia si possiede
da’ suoi discendenti; che dal Libro della menzionata Città, in cui si
notano i Sindaci, che hanno amministrato da più secoli in quà si
rileva, che tra le antiche famiglie nobili del primo Ceto vi sia quella
di Serafini, e che nell’anno 1583 fu eletto general Sindaco il Dottor
Tommaso Serafini, nell’anno 1634 Angelo di Alessandro Serafini, nel
1646 il Barone D.Angelo Serafini, nel 1659 Giuseppe Serafini. Ha
inoltre riferito che il nominato D. Angelo Serafini compratore di
Tiggiano ebbe un solo figlio chiamato Giuseppe, il quale nel 1686 prese
in moglie D.Carolina Paladini delle famiglie più distinte di Lecce; che
poi fu divisa in due rami, quella del secondigenito si fissò in
Otranto, ed apparentò con la Casa Basalù residente in detta Città, che
si dice essere delle nobili veneziane, e con la casa Guarini di Lecce,
ch’è pure della primaria nobiltà, e che detto ramo stà per estinguersi;
e l’altro ramo del primogenito si fissò in Tiggiano proprio Feudo dove
attualmente risiede il Barone, che ha per moglie D.Gabriela Vernazza
de’ Duchi di Castrì; che il ricorrente D.Angelo fa casa in Gallipoli,
ove si ha preso in moglie D.Aurelia de’ Baroni Balsamo, quale famiglia
ha imparentato con diverse delle nobili della Città di Lecce; anche
esso D.Angelo ha esercitato in Gallipoli varii ufficj appartenenti al
primo Ceto di quel pubblico; e finalmente ha lo stesso Uditore
riferito, che la linea del suddetto primogenito imparentò con la
famiglia Sauli, che si dice esser nobile genovese, e che si trovava in
Gallipoli per accidente, e che non avendo avuto l’ultimo di tal
famiglia Sauli eredi lasciò tutti i proprii beni a’ suddetti Serafini,
col peso di assumere il di lui cognome, per cui si dicono Serafini
Sauli. Avendo intanto la real Camera presente quanto ha riferito il
mentovato Uditore dell’Acqua, e verificato con documenti da esso
ricorrente D.Angelo Serafini Sauli umiliati alla M.V. non incontra
perciò riparo, che V.M. possa degnarsi di accordargli la grazia di
essere ammesso al baciamano ne’ giorni di gala = Eccellentissimo
Signore = Informato il Re della nobilità, qualità, e circostanze che
concorrono nella persona e famiglia di D.Angelo Serafini Sauli di
Lecce, è benignamente venuto ad accordargli la grazia di potere
intervenire a’ baciamani, alle tavole, ed alle pubbliche funzioni del
Palazzo. Nel real nome lo partecipo a V.E. per sua intelligenza, e per
uso che convenga. Portici 26 Aprile 1784 = Eccellentissimo Sig.
Principe di Belmonte. Il Marchese della Sambuca certifica come
Segretario del Re N.S. e della Maggiordomia Maggiore, che la presente
copia è dell’original dispaccio, che si conserva nella Segreteria della
Maggiordomia Maggiore. Napoli 2 Luglio 1784 Giuseppe de Navas”.
Lo
scudo di Serafini rappresentava in campo celeste inquartati quattro
serafini allusivi al cognome del casato, ma quando aggiunse quello di
Sauli riunì a questi e propriamente a dritta l’aquila in campo di
argento di Pievesauli, scambiando però i colori, poiché l’aquila fu
collocata in campo celeste, ed i serafini in campo di argento. Or si
presenta lo scudo di
GIUSEPPE GRUMESI
Dall’albero
geneaologico di questa famiglia rileviamo essere stato il ceppo Emilio
Grumesi vivente verso il 1280. Antichissima è dunque la sua origine, e
si confonde nella oscurità de’ tempi. Si conosce per altro ch’ella
abbia contratto ragguardevoli parentele, e propriamente con Gorgoni
Baroni di origine, con Perez, co’ Baroni Casotti, con Muzi, con Zacheo,
d’Aprile, Pizzarco nobilissima famiglia spagnola, con Sergio, e con
altre. Ricca di beni rustici ed urbani sempre si mantenne
dignitosamente. Apparteneva al patriziato gallipolino e per ciò
scorgiamo Gaspare Grumesi sindaco nell’anno 1776, e Giuseppe negli anni
1790, 1791, 1792.
Un sepolcro di antico patronato possiede questa
famiglia nella Chiesa di questi padri Domenicani vicino all’altare di
S.Domenico. Una lapide di marmo soprafino lo ricuopre. Giuseppe Grumesi
(colui che avea sposato una dama di casa d’Aprile) eregeva quel
monumento per se, e per i suoi posteri, ricordevole della caducità
delle cose umane, come si legge nella semplice e forbita iscrizione
incisa su di quel marmo.
Null’altro possiamo aggiungere intorno a
questo casato per mancanza di memorie, sebbene fosse esistente. Il suo
stemma ci rappresenta in campo ceruleo un rigoglioso albero di quercia
dinotante l’antichità di sua origine, ed appiè dello stesso una nera
colomba forse allusiva a qualche sventura che gli sarà sopraggiunta.
Appare poscia lo scudo del Barone
FRANCESCO FRISULLI
Feudataria
era la famiglia Frisulli. Fioravante figlio di Damiano possedeva il
Feudo di S.Niccola de’ Caraccioli nelle vicinanze di Torrepaduli, e che
poi nel 1568 fu venduto al Barone Giacomo Antonio Baldovino. Fioravante
ebbe un figlio a nome Giovanni che fu Dottor di Leggi, e procreò
Giacomo. Costui procrea Giovanni, il quale abbandona il paese natio, e
si stabilisce in Gallipoli, che lo accoglie nel suo patriziato. Figlio
di Giovanni fu Francesco giurecolsulto di grido, che impalmò Caterina
d’Elia, e per due volte quì fu regio Giudice.
Egli aveva un fratello
a nome Baldassarre sposato con una di Casa Corciola, la quale recò in
dote un vistoso podere che tuttavia conserva il nome della
proprietaria. Aveva Baldassarre procreato con la Corciola cinque
figlie, belle oltre ogni creder, formanti la delizia e la gioia del
casato. Andando a diporto sul mare in una bella giornata di Maggio,
quell’infido elemento turbossi a un tratto, travolse ne’ suoi gorghi la
barchetta, e le infelici rimasero preda delle onde. Compassionevole
avvenimento! Tutti le compiansero, tutti verzaron lagrime al miserando
caso delle cinque giovanette Frisulli.
Il mentovato Francesco per la
moglie Caterina d’Elia fu Barone di Sant’Andrea. Gli nacque un figlio
nomato Baldassarre, che fu il 2° Barone di Sant’Andrea. Procreò costui
con Antonia de Blasi Francesco, Gaspare, Melchiorre, e Baldassarre. Il
terzo fu Alfiere dopo essere stato guardia del Corpo, e l’ultimo dotto
Arciprete di questa Cattedrale. Francesco 3° Barone con Teresa
Camaldari ebbe Giovanni 4° Barone, e Luigi che morì da Commissario di
polizia stato Sindaco in Gallipoli nel 1821, ed in lui si estinse la
famiglia. Nel 1777 fu Sindaco Francesco Frisulli.
Il 4° Barone
Giovanni con la Dama Leccese Irene Bernardini non ebbe maschi. Lasciò
tre figlie Concetta moglie di Onofrio Prato di Lecce defunti entrambi
in giovane età lasciando due figlie, che conservano l’occhio nero ed
attraente della bellissima loro genitrice; Giovanna morta suora
professa in questo Monastero di S.Chiara, e Maria or domicilia in Lecce
con la madre.
Lo stemma di Frisulli consiste in una fascia aurata
orizzontale in campo celeste, che divide in due parti lo scudo. Alla
superiore sonvi tre stelle ed una quarta all’inferiore, aurate
anch’esse, e simboleggianti un casato che traeva origine da distinti
Cavalieri.
Vedesi ora lo scudo di
GIROLAMO ARAGONA
Era la
famiglia Aragona originaria di Gagliano paesetto non molto lungi dal
Capo di Santa Maria di Leuca. Vantava ella nobiltà ed antichità di
natali, poiché rileviamo da vetuste memorie, che Giannantonio Orsino
Principe di Taranto possente Signore delle due Pronvicie di Bari e
Lecce (zio d’Isabella di Chiaromonte la quale fu consorte del Re
Ferdinando d’Aragona) moltissimo predilegeva questa famiglia
esentandola da pagamenti fiscali, come si rileva da un diploma
rilasciato da esso Principe, e che conservavasi da’ discendenti di
quella, in dove fra le altre cose si leggeva “per virum nobilem Iacobum
Aragona de Gagliano vassallum, et ad praesens Castellanum nostrum
Castri Lytii”.
Fu dunque Giacomo Aragona Castellano di Lecce, e
quando nel 1463, moriva in Altamura il Principe Orsino, tutte le Città
de’ suoi stati innalzarono la bandiera del Re, meno Lecce comandata
dall’Aragona, che perciò caduto in disgrazia di Ferdinando, dovè a
sommo favore ritirarsi nelle sue terre di Salignano.
Aveva il
Principe Orsino creato un Ordine cavalleresco intitolato della Luna
crescente. Giuravano i componenti fedeltà al Signore, di aiutarlo in
ogni circostanza e con armi, e con pecunia, congregandosi intorno a lui
taluni giorni in segnale di ubbidienza. Lo stemma di quest’ordine di
Cavalieri era una candida Luna crescente in campo celeste, simbolo di
un principio di potenza. Giacomo Aragona creato Cavaliere della Luna
crescente inquartolla nel suo antico scudo, che avea tre stelle di oro
a cinque raggi dinotanti lo splendore del suo casato.
Questa
famiglia contrasse nobili parentele, cioè con Balsamo de’ Baroni di
Cardigliano, con Mancarella di Lecce, e con Fersini di Presicce. Molti
anni passarono quando Giuseppe Antonio Aragona venduti i suoi beni di
Corsano e di altri luoghi di quella contrada fermò positiva stanza in
Gallipoli, e quì comprò predii urbani, e dalla famiglia Coppola una
ricca ed estesa Masseria nelle vicinanze di Tuglie con ampii vigneti,
territorii, ed oliveti, e contrasse matrimonio con Giuditta Zacheo, da
cui ebbe Francesco, che sposò Lucrezia Elia. Da costoro nacque Girolamo
che fu Sindaco nel 1784, 1803, 1804.
Ebbe questo casato due suore
professe nl Convento di Santa Chiara di quì, e varii individui
dottorati in Legge. Visse sempre onorevolmente, e con molta dignità, e
dopo la morte di Giuseppe, fratello del mentovato Girolamo, ultimo
rampollo della prosapia, l’asse dovizioso che lasciò anche in argenti
tutto rimase distrutto e sperperato.
Scorgiamo di seguito lo scudo di
VINCENZO TAFURI
Varie
sono le opinioni intorno all’origine dell’antica famiglia Tafuri,
conciossiacchè chi la crede originaria di Spagna congiunta in parentela
coi Conti di Wurtimberg, e chi dell’Albania, ove i suoi componenti
erano grandi signori. Vero è non per tanto, che in questo Regno essa
esisteva fin dal 1238, e singolarmente si era in Lecce stabilita,
poiché ivi in quell’anno rinveniamo un Praefectus Arcis aulae Taphurus,
e nel regio archivio della zecca folio 69 let.B si leggeva, che nel
1340 Bernardino Tafuri vendeva alcuni beni feudali.
Lo storico
Summonte ci narra le sventure ricadute sovra Galasso Tafuri, poi
perdonato dalla Regina Giovanna 2°. Francesco Tafuri fu nel 1482
Ambasciatore di Alfonso d’Aragona allor Duca di Calabria. Il Ferrari
nella paradossica Apologia parla di Gio.Luigi Tafuri Barone di
Pompiniano. Un tal Rinaldo del casato istesso morì in Lecce nel 1494.
Il de Giorgi scrivendo delle famiglie Leccesi, ed elogiando la famiglia
Tafuri fa menzione di un Cavalier di Malta appartenente a questa
prosapia. L’Ammirato nella vita di Acquaviva loda l’amico di costui
Bartolo Tafuri, e nella vita del marchese di Polignano III fa cenno di
Antoniano Tafuri. Finalmente ritroviamo in Otranto il dottor di Leggi
Raffaele Tafuri nel 1519.
Questa famiglia estendendosi con le
ragguardevoli parentele contratte noi la ritroviamo in parecchi luoghi
di questa Provincia decorosamente collocata. Uno a nome Michele fu
Vescovo di Scala e Ravello. Gaetano Tafuri Tenente Colonnello del
Reggimento di Otranto fu marito della Dama Marianna d’Aprile di
Gallipoli, ed un Oronzio fu Colonnello e Comandante de’ volontarii di
questa Pronvicia. I discendenti di costoro occuparono altresì superiori
cariche militari.
Ma ritornando ad epoche più remote rinveniamo
questa prosapia stabilita in Soleto, ed ivi nomansi Goffredo Tafuri
Barone di Sant’Elia e di Sant’Agata; Francesco che fu Colonnello, e
morì in guerra nelle Fiandre, e più Matteo celebre filosofo, matematico
insigne, e naturalista, il quale fu dottorato in Parigi, insegnò
nell’Università di Salamanca, per l’acquisto delle scienze peregrinò in
tutto il mondo allor conosciuto, e quindi per amor del suolo nativo si
ridusse in patria. Egli è da riguardarsi come il promotore in queste
nostre regioni del risorgimento delle scienze e delle lettere. Furono
molte le opere da lui scritte sopra svariati argomenti. Ma per la sua
somma perizia nelle cose Fisiche l’ignara e credula plebe tenea per
negromante. E pure questo medesimo pregiudizio del volgo valse alla
memoria di Matteo onore singolarissimo, perocchè in un anno del secolo
trascorso fu tenuta in Lecce solenne conclusione pubblicata quindi per
le stampe sotto gli auspicii di Monsignor Sozi Carafa, nel fine di
assodare, che il dottissimo Matteo era stato nella dottrina
costantemente ortodosso, nelle pratiche e nelle azioni illibato e
virtuoso. Or continuando a parlare de’ Tafuri di Soleto diciamo, che
durante l’assenza di Giovanni di Brenna partito in Oriente per le
Crociate, e che poi fu Re titolare di Gerusalemme, i Tafuri tenevano il
governo di Soleto a nome di esso Giovanni che n’era in Conte, e che
conservava Soleto come luogo di appoggio e di conforto. Essi furono i
fondatori del Monastero de’ minori convenuali di Salerno. Quindi
veggiamo un discendente di costoro a nome Onofrio dimorante in Matino
per le possidenze di sua moglie Anna Saraceno, ereditiera di una brama
di quel nome, dottorato in Roma con qualifiche onorevoli leggendosi nel
Diploma “Clericus Honofrius Taphurus de Soleto filius Excellentissimi
Doctoris Francisci clarissimo genere ortus”.
Fratello di Onofrio fu
Domenico Tafuri dottorato in giurisprudenza, morto in Napoli nel 1699
Procuratore della Cesarea Maestà, ed ivi creò un altra famiglia. Poscia
i discendenti di Onofrio si tramutarono in Gallipoli, dove fiorì il
rinomatissimo Giureconsulto Donatantonio, che fu pure Principe perpetuo
di una Accademia di scienze e lettere fiorente allora in Gallipoli, e
così scorgiamo Sindaco nel 1789 Vincenzo Maria, ed annoverata la sua
famiglia tra le patrizie di questa Città.
I Tafuri di Gallipoli
contrassero parentele con Coppola di quì, con Basalù di Otranto, con
Indelli di Monopoli, con Pappalettere di Barletta, e con altre
nobilissime e distinte famiglie, tra le quali vogliam nominate le già
estinte in Casa Tafuri, cioè la delle Castelle, la Curchi, e l’altra
de’ Conti Arcudi, benemerita questa delle lettere, specialmente per le
opere di Silvio, di Monsignor Francisco, e di Alessandro; opere che si
conservano presso i Tafuri di Gallipoli. D.Vincenzo Tafuri Avvocato
presso la Corte Suprema di Giustizia forma ora l’ornamento della
repubblica letteraria per le sue alte cognizioni di giurisprudenza, di
filosofia, di lingua greca e latina, storia, letteratura, teologia, e
di ogni branca dell’umano sapere; di morale illibata, e distinto per
allegazioni scritte a tutela de’ suoi clienti. Il saggio di prelezioni
istorico giuridiche, che non ha guari pubblicò con le stampe, e le cui
nozioni attinse dalle vere e pure sorgenti, chiaro palesano la verità
di quanto noi diciamo.
Avea per antico stemma la casa Tafuri un
albero di quercia in campo celeste. I due fulmini, che contro gli si
scagliano e non lo percuotono simboleggiano l’avvenimento di Galasso
Tafuri. In seguito lo scudo si vide quadripartito verticalmente ed
orizzontalmente, e vi si frapposero una torre, un altro albero con due
Leoni rampanti di oro, ed una fascia aurata da dritta a manca con in sù
un’astra con tre cappelli rossi, stemmi questi improntati da altre
famiglie, con le quali i Tafuri si congiunsero in parentele.
Ora veggiamo lo scudo di
FRANCESCO DI PAOLA SERGIO
La
famiglia Sergio di Gallipoli trae origine da Soleto. Il giureconsulto
Giuseppe dimorante in Martano impalmò la Dama Marianna Mazzuci di
Benedetto, e per tal maritaggio fermò sua stanza in Gallipoli, e fe
parte di questo patriziato. Pare dallo stemma ch’essa sia prosapia
Romana. Le iniziali S.C. impresse sullo scudo palesano che appartenesse
all’ordine Senatorio. In Roma esisteva la Casa Sergia. Foss’ella mai
sopravanzata al torrente di tanti secoli, ed al ferro inesorabile de’
Barbari, che mieterono tante vite Romane? Il suo scudo propriamente è
inquartato. Ne’ due quarti a manca in campo di argento sonvi due fascie
aurate trasversali. Negli altri in campo celeste sono impressi
all’inferiore un Leone rampante da dritta a manca, ed al superiore le
iniziali accennate S.C. Tali simboli sono chiari distintivi di nobiltà,
di ordine senatorio romano, di ordine cavalleresco del medio evo.
Dal
mentovato Giuseppe nacquero Angelica, Concetta, e Francesco di Paola.
Le due prime passarono in Casa di Rocci Cerasoli. Francesco di Paola
impalmò Luisa Tafuri figlia del colonello Oronzio e d’Isabella Paredes
de’ Baroni di Mollone. Egli ebbe un figlio a nome Ferdinando, cui diede
in consorte Pascalina de’ Baroni Calò di Galatina. L’accennato
Francesco di Paola fu Sindaco di Gallipoli negli anni 1801 e 1802.
Finalmente scorgiamo lo scudo di
GIOVANNI VALENTINI
L’Imperadore
Carlo V con diploma del 12 Agosto 1548 crea suo domestico, familiare, e
commensale Epaminonda Valentino di Calabria per i molti servigii resi
nell’ultime guerre di Germania. Venuto Epaminonda in questa Provincia
concede a suo figlio Carlo in isposa Giovanna Sambiasi Dama Leccese.
Carlo divenuto Barone instituisce erede del suo Feudo di Castrì il
primogenito Luca Giovanni, che acquista nel 1567 un altro Feudo detto
di Affre ne’ dintorni di Campi, e colloca in matrimonio la sorella
Girolama col gentiluomo Sertorio Capece Zurlo. Gli succede il figlio
Giovan Pietro, che vende Castrì ed Affre, impalma Elisabetta Ventura, e
procrea un figlio nomato Luca Giovanni, che congiunge in matrimonio con
la nobil Casa spagnola della Cueva Castellana di Otranto. Dopo varie
discendenze in linea retta, veggiamo i Valentini imparentar con Mezio
nobil prosapia di Galatina, e finalmente Carlo Emanuele stabilirsi in
Gallipoli, e collocarsi in matrimonio con la Dama Caterina de Tomasi,
che reca al marito la pingue dote di Ducati 60mila in beni immobili.
Carlo Emanuele procrea cinque maschi Giovanni, Epaminonda, Antonio,
Alessandro, e Vito; il primo e l’ultimo divengono giurisperiti,
Epaminonda ed Antonio monaci celestini dotti oltremodo, ma della scuola
Volteriana, Alessandro Canonico di questa Cattedrale. Vito ebbe per
figlio Epaminonda giovane di gran cuore, beneficente insino alla
prodigalità, di squisita educazione, ed amabile sotto ogni riguardo;
soffrì persecuzioni per vicende politiche, e la sua salute deteriorossi
in modo che cessò di vivere nell’età più robusta. Egli lasciò un figlio
in età giovanile a nome Francesco, da cui potrà riprodursi la nobil
famiglia Valentini.
Il mentovato Giovanni Valentini fu Sindaco di Gallipoli negli anni 1822, 1823.
Lo
stemma di questo casato è un Leone rampante coronato in campo celeste
avente una spada nel destro pie’davanti; emblema di Epaminonda
Valentini simboleggiante essere un guerriero dell’Imperador Carlo V, e
che avea reso servigii alla possente Corona di quello.
CONCLUSIONE
Quì
finiscono gli stemmi dell’antico patriziato Gallipolino. Ma udiamo
intorno una voce: A qual pro’ tante ciance? Ove sta più quel
patriziato? Ove le famiglie che lo componevano? Che valgono più quelle
larve di scudi dipinti nella sdrucita sala del Comune?
Al che noi
rispondiamo. Ov’è Palmira col suo tempio nel sole, con quelle fabbriche
ammirabili per stile ed esecuzione, profuse d’orientali ornamenti, e
che dava vita ad un immenso deserto? A qual pro’ Dawkins e Vood ne
diedereo la descrizione e gli esatti disegni? Ove sono gli archi di
trionfo, le statue, le iscrizioni, le mille quattrocento cinquanta
colonne, i portici che guidavano a magnifiche tombe di marmo bianco
rilevati a figure, e rabeschi? Oggi poche famiglie occupano capanne di
fango fra il recinto del tempio di Palmira con intorno avanzi di grande
rimembranza, di cui ignorano l’incommensurabile pregio, in mezzo ai
quali Volney intuonava le sue Elegie, descrivendo i popoli come razza,
che or si estolle ed or perisce sospinta dal caso, dalla forza, o
dall’impostura.
Fine della 1° parte
Vitantonio VINCI