Una città incompiuta e il silenzio complice

Spesso siamo accusati di ospitare articoli lunghi e prolissi. Non solo. Quel che è peggio, si dice, soprattutto “retrospettivi”, scollegati dalla realtà contingente. E persino dalla politica, dal sociale. È d’obbligo una precisazione: il nostro periodico, voce ufficiale di un’associazione prettamente culturale, non si cura di cronaca né di sport e neppure di politica di partiti o di attualità spicciola da bar. Il suo interesse è al 90 % orientato esclusivamente a sensibilizzare le coscienze verso la promozione di Gallipoli e del suo territorio. E, se guardiamo al passato, intendiamo solo valorizzare l’eredità che i nostri avi ci hanno consegnato con un bagaglio di storia, cultura ed arte: quanto dovremmo conservare per affidarlo integro e rivalutato a coloro che verranno. Tralascio le lamentele dei pochi sempre alla finestra, pronti alla critica ingenerosa, distratti da ben altri interessi. Non so cosa leggano, se quotidiani o settimanali. La nostra rivista è bimestrale e c’è tempo per poterla sfogliare, anche per diletto, se non per cultura. È una delle migliori del Salento, per volerci limitare entro i nostri confini, senza presumere che sia perfetta. Ma chi ha esperienza sa di che si parla. È molto letta in provincia e i temi trattati sono apprezzati negli ambienti che contano, non solo intellettuali. Tra l’altro è l’unico giornale di Gallipoli, ma deve confrontarsi con facili denigratori, un antico difetto della nostra comunità.
Personalmente ho un vezzo: ogni tanto vado a ritroso nel tempo per spulciare tra le pagine pubblicate, per soffermarmi su alcune tematiche che mi hanno colpito maggiormente. Giusto per tentare anche un consuntivo. Ed è quello che ho fatto in questi ultimi giorni, ora che siamo alla fine del quinto anno di vita di Anxa news (il 2° per la rivista così come attualmente concepita e realizzata).
Gli appelli animosi ma tuttora inascoltati di Luigi Giungato, c’è da sperare, finiranno per smuovere le coscienze di quanti possiedono dignità, se sapranno recepire l’importanza e la gravità dell’amara denuncia. Nell’opinione pubblica solo un coro unanime di consensi, ma niente di più. L’immobilismo è generale, sovrana regna l’indifferenza o la superficialità. I cittadini si limitano a promettere la propria solidarietà, i politici non vanno oltre i complimenti comunque infruttuosi, se non fanno corpo unico a difesa dell’esistente.
Sarebbe preferibile tacere di fronte allo stallo della portualità (peschereccia, commerciale e turistica), al serio problema del mercato ittico visibilmente precario, oppure al degrado del centro storico, il cui emblema più drammatico è l’abbandono del castello sottratto alla pubblica utilità, peraltro soffocato e mortificato dal mercato coperto, addossato al torrione angioino? Caso unico in Italia, maledettamente farraginoso! Ma forse è quanto si merita la città, sulla quale pare incomba un misterioso anatema appena celato nell’orrido ghigno del Malladrone. Ma perché nessuno degli amministratori è stato capace di sposare ed affrontare adeguatamente la causa in oggetto per sensibilizzare i responsabili istituzionali ad offrire almeno un sollecito riscontro alle reiterate e motivate lagnanze peraltro formalizzate?
Gallipoli è una città ricchissima di storia con molteplici testimonianze di prestigio (cfr. tra l’altro gli stemmi araldici raccolti da Vitantonio Vinci, le personalità illustri ritratte da Luigi Parisi e le pagine della nostra storia patria illustrate da Maurizio Nocera); una città che vanta singolari bellezze naturali, paesaggistiche, artistiche, architettoniche, tradizioni popolari e riti d’incommensurabile fascino, così come da tanti scrittori è documentato. Una città però irrisolta, come denuncia Enrico Ancora, ossia strozzata dalla ferrovia a nord e persino violentata nel suo ambiente naturale dalla litoranea a sud dove sono a rischio macchia mediterranea e dune millenarie del parco regionale. Anzi, una città incompiuta. Quante risorse lasciate a metà! Il castello, il rivellino, il mercato coperto, la fontana antica, il teatro Garibaldi, la biblioteca comunale, il museo civico, le mura medievali, i bastioni, il basolato, il decoro architettonico, l’arredo urbano, la disciplina del piano traffico e dei parcheggi. Tutto quanto potrebbe essere la chiave di volta per il decollo auspicato del centro storico e per un’immagine rinnovata della città! Un’altra storia a parte, invece, interessa il nuovo borgo con le sue periferie e i villaggi residenziali su cui intervenire.
È il castello tuttavia che dovrà divenire l’anima della città che tutti sogniamo e che la politica silente o impotente, forse per insipienza di certuni oscuri mestieranti, ci ha negato non senza precise responsabilità.
Nel n. 9-10/06 di Anxa un articolo sul castello di Gallipoli mi ha suscitato amare considerazioni. La firma è di Giorgio De Giuseppe, senatore per più lustri del nostro collegio. Testualmente l’illustre magliese così si confessa:
“Il Castello, dunque. Dirò subito che, negli anni in cui ebbi l’onore di rappresentare Gallipoli in Senato, per un complesso di motivi, mi fu impossibile interessarmi della questione quando avevo già deciso di non riproporre la mia candidatura. Ho potuto, quindi, seguire per poco il problema”. La mia prima reazione: “Ma se il castello si fosse trovato a Maglie?!”. Poi mi sono ravveduto e dopo una cristiana riflessione ho ricordato che abbiamo pure goduto di segretari politici nazionali, di un capo di governo e persino di un ministro dei Beni Culturali, nostro concittadino! Se è colpa del destino malevolo, non ci resta che ricorrere alla satira non per atto di resa o rassegnazione ma in tono di sfida, come, tra il serio e il faceto, pare scherzare Fredy Salomone (Un nuovo master a Gallipoli) o come, con pungente sarcasmo, se la ride maliziosamente Luciano Scarpina (Idee per uno sviluppo armonico di Gallipoli).
Parlare del presente per salvare l’esistente è un nostro dovere e lo faremo contro opposizioni, proteste, ripicche, ricatti, senza guardare in faccia a nessuno, sia perché l’interesse pubblico deve prevalere su quello privato sia perché è un obbligo civico tutelare la memoria storica. Il grido di dolore di Elio Pindinelli (Io non ci sto!) dinanzi agli abusi o agli errori politici e amministrativi è pure il nostro. La coscienza civica e la dignità devono giustamente ribellarsi, non solo in occasione della svendita all’incanto dei “gioielli di famiglia”, monumenti del nostro glorioso passato.
Oggi un grave problema assilla la tranquillità della nostra gente. Un nuovo caso si presenta sul tavolo della discussione politica e della trattativa istituzionale: lo scarico dei reflui del depuratore consortile di Casarano (con Parabita-Matino), anch’esso pronto, dopo quello di Taviano (già attivo con Melissano-Racale), a sversare attraverso il canale del Raho nel canale dei Samari sfociante sul litorale della Baia Verde. Ossia a ridosso dei grandi alberghi, sull’arenile degli stabilimenti balneari, in zona SIC e ZPS che insiste sull’area marina protetta “Punta Pizzo-Isola S. Andrea”.
Quale la soluzione per garantire un mare pulito per la “perla dello Ionio” e per tutto il Salento? È assai generico parlare di una zona di spandimento per lo sversamento dei liquami senza precisare dell’urgente necessità di provvedere, sapientemente e a regola d’arte, alla realizzazione di un apposito parco acquatico o bacino di raccolta per un impianto di fitodepurazione (ossia per irrigazione). Se di inquinare la falda giustamente non se ne parla proprio (sanzione penale) sembra semplicistico e sbrigativo (solo una sanzione amministrativa!) utilizzare come corpo ricettore dei reflui depurati alcuni canali, esistenti invero per raccolta e smaltimento di sole acque piovane che raggiungono la costa. Ma il mare appartiene a tutti né, come ultima ipotesi, si può impunemente subire il divieto di balneazione. Chi può prevedere e quantificare i danni ambientali ed economici all’intero indotto turistico ed alla città? Già abbiamo i nostri guai. Da oltre quattro anni si aspetta la condotta sottomarina di 1 km promessa dall’AQP per il depuratore di Gallipoli (con Alezio, Sannicola e Tuglie) già sfociante a nord, in località San Leonardo, presso torre Sabea. E che dire del fetore che da via Scalelle invade l’area circostante sospinto dai venti?
La debolezza della politica a Gallipoli è lo specchio della città, penalizzata dalla mancanza di autorevolezza dei suoi rappresentanti, altrove affaccendati o disattenti. È necessaria dunque una battaglia di civiltà che possa andare oltre il comitato per il mare pulito e l’organizzazione per la raccolta delle firme necessarie a garantire i sacrosanti diritti. Il Coordinamento cittadino non è nato per mero campanilismo né intende disconoscere il rischio di una bomba ecologica. Il problema è a monte. Quando si avvia un progetto, nel realizzarlo occorre prevederne le giuste soluzioni, senza arrecare danni a terzi.
L’8 marzo 2007 la Conferenza di servizi della Provincia di Lecce (settore territorio e ambiente), tenuto debito conto delle reiterate prescrizioni imposte dall’AUSL-Servizio SISP, dall’ARPA per la Puglia (Agenzia regionale protezione ambientale) e dall’ATO Puglia, ha autorizzato lo scarico nel canale del Raho delle acque reflue urbane del depuratore di Casarano (con i soli voti sfavorevoli dei rappresentanti del Comune di Gallipoli e del Consorzio bonifica “Ugento-Li Foggi”). Il 30 novembre u.s., invece, il Consiglio Provinciale ha deliberato adottando sagge correzioni in merito. Ora spetta alla Regione e all’AQP mettere la parola fine al contenzioso, che tutti, è l’augurio, sono animati a risolvere per il bene comune.
Occorre tuttavia raddrizzare le antenne e stare vigili con gli occhi costantemente aperti. La città di Gallipoli, si sa, vive esclusivamente del suo mare! E se ne avvantaggia il suo territorio, ovvero l’intero hinterland che si affaccia sullo Ionio. Per i grandi problemi dobbiamo essere coesi senza distinzione di bandiere e di colori. Con l’auspicio che questo caso, almeno, ci abbia reso più esperti e scaltri, ma soprattutto valga come lezione per il futuro.

Gino SCHIROSI