Il nostro paesaggio

Approfitto della attuale disputa sulla questione eolica per parlare delle sorti del nostro paesaggio. E in essere nel nostro Salento (ma anche in Puglia in generale) una sorta di infido contrasto tra coloro che guardando alla sostenibilità ambientale ed energetica sono favorevoli alla istallazione delle pale eoliche, e coloro che vedono in queste, pur riconoscendone un innegabile ruolo energetico "pulito", una ulteriore sciagura per il nostro paesaggio.
Anche se può apparire paradossale che molti ambientalisti locali si muovano contro l'eolico (in particolare quello di grande taglia) tento di spiegare questo strano fenomeno che ritengo per nulla spirito di contraddizione ma oserei definire quasi una forma evoluta del pensiero ambientalista: non sarà un caso che ne siano portatori i militanti della prima ora che hanno seguito e sedimentato il lungo dibattito culturale sull'argomento.
Allargando necessariamente la visione del problema, la questione va posta in termini di equilibrio tra le valenze ecologiche e la qualità paesaggistica dell'ambiente. Vi è una consolidata corrente europea di pensiero che definisce questo equilibrio come lo specifico paesaggistico, cioè lo specifico approccio che a questi temi dà il paesaggista (figura professionale localmente misconosciuta e assai poco valorizzata). Questa interpretazione rimane probabilmente la chiave di volta per risolvere la dicotomia essendo sostenuta da settori corporativamente interessati (come i professionisti del paesaggio), ma anche da settori culturali estranei alla pratica professionale quotidiana. E' stato pubblicato qualche anno fa  uno straordinario saggio a cura del filosofo Paolo D'Angelo, L'estetica della natura, nel quale è ampiamente documentato, il danno provocato dalla rimozione del valore estetico della natura e del paesaggio.
In alcuni passi di questo saggio, nei quali l'autore, che è Professore di Estetica di Roma 3, con un piglio di straordinaria praticità, citando leggi ed esempi concreti, dimostra i danni che questo atteggiamento culturale ha provocato.
"..bisogna dire che in questa incapacità di pensare il paesaggio, cioè l'ambiente nella sua dimensione estetica, quindi con i suoi legami alla storia e all'arte, i teorici dell'ambientalismo sono tutt'altro che soli, anzi sono in larghissima compagnia. Perché la critica al concetto di paesaggio, la condanna di esso come residuo passatistico ed estetistico, è un dato massiccio della più recente letteratura sull'ambiente.."
Ed in altro capitolo il filosofo continua: "non si tratta di opporre il paesaggio in senso estetico all'ambiente, ma di comprendere che l'uno non è riducibile all'altro".
"Non si tratta, insomma, di mettere in questione il diritto dell'ecologo di parlare di ambiente, ma rivendicare il diritto dell'estetologo, dello storico dell'arte, del paesaggista a parlare, fondatamente e seriamente, del valore estetico di esso. Bisogna arrivare a pensare il paesaggio come identità estetica dei luoghi".
Forse non ci rendiamo conto che questa è una straordinaria arma in più per la difesa della natura, che per secoli era stata valutata anche nella sua dimensione estetica e che soltanto da due secoli a questa parte, come ben dimostrato nel saggio sopra citato, è stata espropriata, nella attuale visione culturale dominante, di questa valenza.

Bruno VAGLIO