Comparisce poi lo scudo di
BONAVENTURA BALSAMO
La famiglia Balsamo di Gallipoli gode di antichissima nobiltà generosa. Ella proviene dalla cittadinanza messinese; e se entrar si volesse nell’origine di questa illustre prosapia, dovremmo svolgere molti scrittori che ne han favellato. Ma noi al solito toccando sobriamente le cose principali diciamo, che Teodoro ed Antonio Balsamo insigni letterati fiorirono nel 324; che Ademaro Balsamo dall’Imperatore Ottone intitolato Marchese, viene creato Principe di Capua e Duca di Benevento nell’anno 999, e che Anselmo IV di questo casato nel 1101 fu Arcivescovo e Principe di Milano.
Si assicura, che la famiglia in discorso dalla Grecia passata fosse in Sicilia facendo parte del parlamento di quel Reame; ch’essa si divise in più rami; che imparentossi con la Casa allor regnante d’Angiò, perciocchè una figlia dei Re Carlo 1° fu consorte di Ansaldo Balsamo Cavalier Messinese fratello di Costanzo e di Perrone passati in servigio degli Angiojni nel 1274, per la qual cosa Messina ritardò a seguire la rivolta rattenuta dal nominato Costanzo.
Fra i discendenti di costoro fuvvi Raffaele Balsamo familiare, e commensale del Re Ferdinando d’Aragona. Egli ebbe molte concessioni, e singolarmente l’esenzione da ogni Foro, rimanendo soltanto soggetto al Gran Siniscalco del Regno, come risulta dal privilegio speditogli da Castelnuovo in data degli 8 Aprile 1484, in cui fra le altre cose si legge quanto siegue:
“Haec itaque in persona spectabilis viri, magnifici, devoti, et dilecti nostri Raphaelis Balsamo Civis et Militis de Neapoli, oriundi de Messana Regni Siciliae ultra Pharum, filii legitimi et naturalis spectabilis et magnifici viri Ioannis Antonii Balsamo, et magnificae Catherinae dell’Aquila” ec. ec.
Nell’anno 1510 l’accennato Raffaele acquistò in questa Provincia i Feudii di Cardigliano, Reggio, e S.Niccola de’ Caraccioli, e il figlio suo Antonio servì da Capitan de’ cavalli l’Imperatore Carlo V. Allorchè nel 1528 scoppiò la guerra con Francia, Antonio Balsamo seguì il Vicerè Moncada per combattere la flotta di Filippo Doria. Moncada restò sconfitto nelle acque di Salerno, i sopravviventi fatti prigionieri furon condotti in Genova, e fra costoro trovavasi il nostro Antonio. Ma siccome Moncada volle combattere contro il parere del Generale in capo Principe d’Oranges fu dipinto appo l’Imperatore siccome ribelle, e con esso Antonio Balsamo. Carlo poi conosciuto il vero, dichiarò l’innocenza di Balsamo, gli restituì tutti gli averi, ed assegnò per lui e suoi discendenti annui ducati 500 da sopra i beni di Lanzilao d’Aquino, e se questi mancassero, da sopra le rendite fiscali de’ fuochi di questo Regno. Il diploma fa noto, che Balsamo avea servito in tutte le guerre d’Italia, e particolarmente nel conservare lo stato di Milano, e nel difendere e ricuperare il Reame di Napoli dalle armi Francesi. Ecco le parole del diploma:
“Cum superiori anno 1528 Gallis una cum aliis hostibus nostris, Regnum nostrum Siciliae Citerioris invadentibus, Lanzilaus de Aquino defunctus cum marchio quaratae, ita in Nos et statum nostrum deliquerit, ut omnia bona feudalia etiam titulata et burginsatica per diffinitivam sententiam nostrae regiae Curiae et Fisco nostro regio fuerint aperta, devoluta, adquisita, de hisque liberum nobis sit arbitria nostro disponere; animadvertentes quo studio Magnifico et Nobili Viro Antonio Balsamo militi et capitaneo equitum sub ductu illustris Francisci, de Rupt Domini de Bauri Consiliarii et Camerarii nostri, qui quidem Antonius in omnibus Italiae bellis inservierit, et praecipue in conservatione Status Mediolani, defensioneque et recuperatione nostri Citerioris Siciliae Regni, dum a Gallis hostibus nostris, eorumque federatis invaderentur, non modo res nostras arduas tractando, et hinc inde quam multis itineribus emensis, et multiores peragrato mari dirigendo, verum etiam se ipsum hostibus obijsciendo, ita ut praeter alla multa eius in nos fidei et virtutis documenta, ab ipsis hostibus in navali praelio captus fuit, dum eos ab ipsius Regni litoribus profligare student: quo fit ut merito eum dignuam judicemus, cui ea quae suis culpis Lanzilaus amisit, Nos liberissime concedamus eidem Antonio tanta bona burgensatica de praedictis, quae reddere possint annuos ducatos quincentes ec.ec.”
Antonio Balsmo intestossi i Feudi di Cardigliano, Reggio, e S.Niccola de’ Caraccioli pagandone il relevio, e ciò dopo la morte del genitore. Ebbe in consorte Antonia Arcella de’ Baroni di Tiggiano, con la quale procreò Cesare, Pompeo, e Scipione, l’ultimo de’ quali morì senza figliuoli. Cesare ebbe Orazio e Vittoria, la quale in secondo letto sposò Vincenzo Pirelli Barone di Neviano. Pompeo secondogenito di Antonio ebbe per figliuolo Andrea, da cui nacquero Girolamo, Carlo, Giuseppe, Francesco, e Vittoria. Orazio figlio del primogenito Cesare vedendosi privo di figli vendè il Feudo di Cardigliano. Girolamo, Giuseppe, e Francesco non ebbero figliuoli. Carlo solatanto procreò Giuseppe Antonio e Bonaventura, e due figliuole Marianna e Lucrezia, consorte quella Niccolò Vito, e questa di Marcello fratelli d’Elia. Giuseppe Antonio fu Barone di Specchia Normandia, e procreò Carlo Saverio. Bonaventura ebbe un figlio a nome Francesco Salvadore padre dell’attuale D.Bonaventura. Da Carlo Saverio secondo Barone di Specchia Normandia nacquero Giuseppe Antonio e Bonaventura Luigi. Di Giuseppe Antonio è figlio l’attuale Marchese D.Carlo, e di Bonaventura Luigi l’attual Cavaliere a nome anche D.Carlo.
D. Carlo Saverio essendo Barone di Specchia Normandia ebbe il titolo di Marchese conferitogli con real diploma del 24 Giugno 1797, che gli fu comunicato dal Ministro nel seguente tenore: ”Avendo la real Camera di Santa Chiara contestato, che la famiglia di V.S. Illustrissima sia nobile antica originaria messinese, che da tre secoli porta l’abito Gerosolimitano, che abbia avuto antico possesso di Feudi, e che ora abbia quello di Specchia Normandia con aver resi numerosi servigii alla corona in cariche distinte, è venuto il Re ad accordare alla V.S. Illustrissima il titolo di Marchese, ed io gliene do l’avviso, acciò faccia accudire per la spedizione del real Diploma. Palazzo 24 Giugno 1797. Al marchese D.Carlo Balsamo. Saverio Simonetti.”
Assai nobili furono altresì le parentele contratte da questa famiglia, cioè con Arcella de’ Baroni di Tiggiano, con Pirelli de’ Baroni di Neviano, con Randachi de’ Baroni di Casamassella e di Alimini, con Lucognano de Goio de’ Baroni di Lucognano, con Lobello de’ Baroni di S.Cassiano, Serrano, e Vernole, con la famiglia de’ Conti de Ildaris, con Capece de’ Baroni di Corsano e Barbarano, con d’Elia, d’Ospina, Vernazza de’ Duchi di Castrì e Marchesi dell’Acaja e Palmariggi, con Cicala de’ Baroni di Sternazia, con Caracciolo de’ Duchi di Lauriano, con Aragona, con del Tufo, della cui splendidissima Casa a distesa ne parla Scipione Ammirato, con di Sangro, Frisari, de Tomasi, e con moltissime altre. Per lo spazio di 300 anni ebbe varii Cavalieri gerosolimitani di giustizia, e D.Bonaventura figlio dell’attual Marchese D.Carlo, che nobilmente or dimora in Napoli, è uno di tali Cavalieri.
Nel 1767 i nostri Balsamo furono reintegrati nella nobiltà di Messina, come discendenti in linea retta dell’accennato Raffaele, e per decreto della regia Camera Carlo Saverio testè mentovato, qual nobile messinese già trovavasi ammesso agli onori del baciamano.
Il Cavaliere D.Bonaventura Luigi, e la sorella D.Marianna moglie di D.Andrea d’Ospina, come pure le nipoti D.Nicoletta e D. Livia furono tenute al sacro fonte battesimale dal caro congiunto di Sicilia D.Francesco Marchese Balsamo Principe di Castellaci.
Francesco Balsamo genitore dell’attuale D.Bonaventura fu esimio e gentil poeta, scrisse varii componimenti in versi, e fu membro dell’Arcadia di Napoli, da cui ebbe in guiderdone un giglio di oro.
Ma perdere non possiamo la memoria dell’egregio e benemerito signor Cavaliere gerosolimitano D.Bonaventura Luigi Balsamo ornamento e decoro della Città nostra. Egli di amabili costumi, e d’integra morale, seppe attirarsi le simpatie di tutti per il nobile suo procedere, per l’amore verso le belle arti e le scienze, per l’incoraggiamento verso coloro, che intendevano rendersi utili a qualche cosa, e pien d’affetto per la patria costruì a proprie spese quel pubblico Teatro, che forma adesso un monumento di gloria per questa Città.
Le armi di quest’antichissima famiglia si compongono da uno scudo bipartito orizzontalmente. Nella parte inferiore in campo celeste evvi un Leone di oro portante un vaso di bronzo di forma etrusca, e simboleggiante la forza e l’antichità della prosapia. La parte superiore è bipartita verticalmente: nella dritta giace interzata in campo d’oro un aquila nera coronata dinotante la sovranità di antichi Feudi posseduti col mero e misto impero: nella sinistra giace in campo di argento conserto un ricco padiglione rosso forse allusivo alla nobiltà messinese. Gli scrittori Ansalone, Bonfiglio, e Costanzo ci assicurano che lo stemma di Balsamo testè descritto vedesi nella Chiesa di S.Sofia in Costantinopoli, nella Metropolitana di Messina, nella Cappella gentilizia, ed in varii pubblici luoghi, come pure trovasi nell’altare della Chiesa di Specchia Normandia, e nel Casale di Cardigliano, ove dimorarono quali Feudatari, nel sepolcro gentilizio entro la nostra Cattedrale, ed in fine nel proprio palazzo in Gallipoli.
Il Monastero de’ padri Domenicani con la Chiesa esistente a Specchia Normandia fu fondata da Scipione Balsamo in un giardino di sua proprietà accanto alle mura, e davanti alla porta della piazza di quel paese. Noi abbiamo letto l’atto di fondazione rogato dal Notaio Raffaele Cippo a 6 aprile 1600. In quel Monastero ed in quella Chiesa pur anche veggonsi le armi della famiglia Balsamo.
Parecchi Sindaci abbiamo di questo casato: Bonaventura nel 1734, 1742; Carlo nel 1748, 1749,1769, 1770; Francesco nel 1774; ed il Cavaliere Bonaventura Luigi nel 1800 e 1801.
Appare poscia lo scudo
ANTONIO TRICARICO
Le memorie da noi conservate ci accennano che la famiglia Tricarico sia nobile gallipolina, ma non si scorge d’onde emerga tale sua nobilità. Ella per altro doveva esserlo, avvegnacchè altrimenti non avrebbe potuto ascendere al sindacato. Si estinse questa famiglia nella persona di Bonaventura, e ben dobbiamo guardarci di confonderla con le altre molte di simil cognome, le quali sono di basso lignaggio.
Essa dal Lumaga si dice originaria di Pistoia; diè due sacerdoti alla nostra Chiesa, cioè Bonaventura e Leonardo, contrasse parentele con Stradiotti, Coppola, e Zacheo. Antonio Tricarico fu Sindaco nel 1760, impalmò Agata Fersini, di cui vedovato, unissi in secondo matrimonio con Luisa della nobile famiglia de’ Marchesi Romanelli di Monopoli.
Dicesi che un antico ascendente de’ Tricarico ottenuto avesse onorevole Diploma dalla Corte Austriaca di rinunerazione di servigi resi; ma s’ignora come, quando, e chi lo abbia ottenuto.
Il suo scudo ci presenta in campo celeste un Leone rampante, con tre stelle di oro sul vertice, forse alludenti alla forza ed allo splendore di quella prosapia. Nel cappellone grande della Chiesa de’ Riformati esiste la tomba de’ Tricarico chiusa da lapide marmorea. Dalla iscrizione latina risulta, che Giuseppe Cellini di Lucera affine di Bonaventura Tricarico patrizio gallipolino apponeva quel monumento in attestato di benemerenza.
Si scorge ora lo stemma di
FILIPPO BRIGANTI
Noi pronunziamo con venerazione il nome di Briganti, ornamento non solo della nostra Città, ma della repubblica letteraria ancora. Questa famiglia, in cui sempre fiorirono gli studii legali, la filosofia, e le lettere è antica di questa università, nobile per sé medesima, per le cariche distinte che ha occupato, e per le parentele da lei contratte. I Briganti Conti di Panico nel Bolognese furono partigiani di Francesco 1°. Dopo la pace abbandonate da quel Re le Città italiane, Carlo V fe sentire il peso di sua vendetta, e però que’ Conti furon banditi. Un di essi pervenne in questa Provincia, acquistò beno in Racole, e poscia sù i principi del 1600 Domenico Briganmti passò in Gallipoli, e fu ricevuto nel patriziato. Egli dotto giureconsulto occupò la carica di regio Giudice. Da lui e dalla sua consorte di famiglia Capano nacquero il giureconsulto Francesco Antonio canonico preposto di questa Cattedrale, provicario generale, ed esaminatore sinodale mandato Vicario apostolico in Alessano, e morto in odore di santità; il Capitan di cavalli Giuseppe a’ stipendi del Re Cattolico Filippo IV; di lui si ha un poemetto in istampa intitolato “Vienna liberata dalle armi ottomane”; un altro sacerdote a nome Giovanni; e finalmente il giureconsulto Tommaso Fausto, nome distinto negli annali del Foro. Costui dopo l’elementari discipline apprese in patria, andò in Napoli, ove perfezionossi in tutte le branche dell’umano sapere, ed esercitò l’onorevole carriera di Avvocato, nella quale si distinse per eloquenza e per dottrina. Anche in Roma fece sentir la sua voce in quei Tribunali ed ammirare la sua eloquenza alla posterità de’ Tulli e degli Ortensi, come scrivea il figlio di lui Filippo ad un suo amico. Reduce in patria esercitò la carica di regio giudice, occupandosi altresì alle cause più importanti, che venivangli affidate dalla intera Provincia. Ebbe in consorte Fortunata Mayro, con cui procreò quattro figliuoli a nome Filippo, Domenico, Ernesto, ed Attanasio. I due ultimi abbracciorono lo stato ecclesiastico. Ernesto fu arciprete di questa Cattedrale morto poco dopo nominato Vescovo di Ugento. Attanasio fu tra i padri Gerolimini di Napoli, passato poi alla Congregazione de’ Padri della Missione, ove morì da Superiore. Filippo e Domenico furono dal genitore diretti alla scienza legale, e per essi Tommaso Fausto scrisse la famosa pratica criminale delle Corti Regie e Baronali del Regno di Napoli, opera sublime questa, che, sebbene la giurisprudenza oggidì abbia subito notevoli riforme, pur tuttavia si studia, perciocchè le opere che han per base la scienza non periscono giammai; e se Beccaria menò tanto grido per la sua opera contro la Tortura, Briganti pria di quello avea aperto l’adito a questo argomento appo di noi, trattato antecedentemente a costoro da’ Pontefici romani, che avean gridato e scritto contro l’uso barbaro di questo mezzo di prova; scrisse pure la pratica civile rimasta inedita, un dotto volume di disciplina ecclesiatica, e precisamente sulle ricchezze monastiche, in quale opera si ammira un fiume di scienza canonica, ed in ultimo un volumetto di eleganti di poesie latine. Ma Filippo figlio di lui dovea elevarsi a voli più sublimi. La sua biografia fu scritta dal Dottor Bandassarre Papadia di Galatina, e dal nostro concittadino Giambattista de Tomasi, cui rimandiamo i nostri leggitori, ma ciò non vieta di aggiungersi qualche cosa anche da noi. Egli educato da un così dotto genitore, studiò le leggi sulle basi della religione e della sana filosofia. I classici furon la sua guida; la morale e la fede le sorgenti del suo sapere. Conobbe quell’uomo insigne, che riunir le leggi de’ diversi popoli formate a piacimento degl’imperanti niun principio universale di giurisprudenza potea acquistarsi, poiché questa sintesi ad altro non menarebbe, se non se ad accumulare principii indigesti non adatti per ogni popolo e per ogni nazione, e che la vera fonte di un principio generale legislativo deriva dal Creatore principio eterno di ogni giurisprudenza universale adeguata per tutt’i popoli, scrisse quell’opera famosa con un metodo del tutto contrario, e che intitolò Esame analitico del sistema legale, e risalendo dal creato al Creatore ci dimostra chi sia l’autor della Legge, in che consista l’autorità legislativa, qual sia il principio ed il fine della legislazione, chi il soggetto e quale l’effetto della Legge di natura. Ricca di cognizione, e di ricerche metafisiche, di nozioni di storia antica e moderna, di erudizioni aggiunte non per pompa ma per scovrire gli arcani della verità, di confutazioni logiche contro i corifei dell’ateismo, e del materialismo di quel secolo, quest’opera diè un profondo slancio alla giurisprudenza universale, in modo che tutto svolge il ragionamento all’uopo e nulla lascia a desiderare, e quel che più lo manifesta grande si è che il dotto scrittore fin da quel tempo seppe congiungere nell’investigazione del vero i due metodi oggi chiamati nelle scuole obbiettivo e subbiettivo da far comprendere fin d’allora, siccome adesso finalmente si è compreso, che l’uno non può andare dall’altro disgiunto senza incorrere a gravi e perniciosissimi errori. Intanto questo celebre scritto non può intendersi da chi non sia ben corredato di nozioni metafisiche, della conoscenza del diritto naturale e pubblico, degli scritti de’ filosofi del 17° e 18° secolo, della storia antica e moderna. In esso si collegano in modo il principio col mezzo, ed il mezzo col fine di ogni proposizione, che se una cosa sola sfugge, la lettura non può seguirsi, si perde il filo delle idee, e nulla più si comprende. Ecco perché a pochi è concesso di gustare le bellezze del Filosofo Briganti, ed ecco perché la colossale opera di lui è rimasta quasi nell’obblio. Scrisse egli pure l’esame economico del sistema civile, un opuscolo sull’arte oratoria del Foro, gli atti di pietà capolavoro in questo genere, varii sonetti sopra soggetti greci e romani, alcuni componimenti poetici, ed eseguì una bella ed elegante traduzione di Lucio Floro accompagnata da riflessioni sulle quattro età del popolo romano. Ebbe due mogli Caterina Briganti sua cugina, e poi Vincenza Rocci Cerasoli dama gallipolina; né con l’una, né con l’altra procreò figli, per il che tolse moglie suo fratello Domenico.
Coetaneo di Filippo Briganti era Giovanni Presta autore dell’opera “degli ulivi e delle ulive”. Amici entrambi non tralasciavano ragionar fra loro sovra scientifici argomenti. Accadde che qui pervenisse la letterata Elisabetta Camine attrice assai rinomata, la cui oratoria trasse l’ammirazione di Presta e di Briganti. Non mancarono maligni a denigrar la stima di quell’artista con folli ed inette satire, quando i nostri filosofi imposero silenzio con la celebre risposta che incomincia
Satira un'altra volta! Signor no,
Sirocchia mia non vò cantar così
Non la m’ inzeppi questa volta oibò
S’ingrugni pure Marno in questo dì,
Ch’io non vò metter della stoppia in aja
Né spippolar con questi versi qui ec.ec
Fu l’altro figlio di Tommaso Fausto l’accennato Domenico Briganti anche giureconsulto di rinomanza, fecondo oratore, e di memoria portentosa dotato. Bello è l’elogio funebre, ch’egli recitò in occasione de’ funerali di Giuseppe 2° e bellissima quella memoria da presentarsi alla Serenissima Repubblica Veneta per il naufragio della nave di alto bordo nomata la Sirena avvenuto a 27 Novembre 1793. Egli dimostrando che il difetto della carte fu cagione, che il Capitano Comandante naufragasse, sviluppò gravi dottrine di nautica e di astronomia, e loberollo dalle pene che quel governo comminava contro i colpevoli e negligenti in siffatti casi. Scrisse pur anche l’Elogio di Carlo III di Borbone, una storia della rivoluzione di Francia del 1783, che bruciò alla prima invasione fatta del nostro Reame dalle armi Francesi, altra opera infine intitolata saggio sul secolo di Caterina seconda Imperatrice di Russia, rimasta inedita, e che si conserva con gli altri autografi delle opere de’ scrittori di questa famiglia da’ discendenti della stessa.
Figlio di Domenico, e di Anna Scolmafora fu Tommaso, ch’ebbe in consorte Raffaela Pappalettere di Barletta Dama adorna di tutte le virtù. Di Tommaso abbiamo inedita la traduzione dal Francese de’ viaggi in Palestina del sig. de Villemont e qualche poesia.
L’attuale D.Domenico Briganti non degenere dalla nobilità, religiosità, e morale de’ suoi illustri antenati, sposato alla Dama D.Candida Basurto de’ Duchi di Racale, è tutto intento alla educazione de’ propri figliuoli, ed amantissimo di questi studi, che sempre fiorirono nella sua famiglia, non tralascia di arricchire la sua bell’anima di novelle, peregrine, e dotte cognizioni.
I Sindaci, che diè questa famiglia a Gallipoli sono i mentovati D.Filippo nel 1764, e D. Domenico nel 1767, ed il vivente D.Domenico lo fu negli anni 1842, 1843, 1844, e 1851.
Lo scudo di Briganti dipinto nella sala del Palazzo comunale è diviso orizzontalmente in due. Nella parte inferiore in campo celeste giace un Leone rampante, che si eleva nella metà superiore in campo di argento irradiato da uno splendido sole, e col motto “nullum ius habuere nocendi” e ben si addice quel sole, che illumina il mondo letterario di tante dottrine, e di così vasta, robusta, ed incalzante filosofia simboleggiata da quel Leone.
Dopo questo si scorge lo scudo di
NICOLA DOXI STRACCA
La famiglia Doxi Stracca esisteva in Gallipoli nel 1719, poiché in quell’anno Antonio Doxi Stracca con scrittura per Notar Misciali comprava da Leonardo Venneri un’annua rendita di ducati 36. Ma con l’andar degli anni essa divenne ricchissima, e l’ultimo a nome Niccola lasciò un asse di D. 300mila. Gallipoli accolse fra i suoi patrizii questa prosapia, che imparentò con Moschettini di Taviano, con Cicala di Lecce, con de Tomasi e Zacheo di Gallipoli. Il dottor di Leggi Pasquale cinque volte quì fu regio Giudice. Numerosi erano i predii rustici ed urbani di questo casato. Il suo sepolcro gentilizio esiste entro la Chiesa di questi Padri Domenicani. Dicesi che i Doxi Stracca fossero oriundi da nobili genovesi. Vero è che Niccolò Sindaco nel 1765 fu un personaggio molto ragguardevole, da tutti amato per gentilezza del suo procedere, per l’elemosine che diffondeva a’ poveri, e per benefizii che impartiva quando ne veniva richiesto. Tutti alla sua morte il compiansero, poiché perderono un protettore.
Lo scudo è bipartito verticalmente. Alla dritta in campo celeste evvi un candido giglio, che simboleggia la sincerità. Alla manca una fascia aurata, su cui poggia una nera colomba, ed alla parte inferiore una stella pure aurata; simboli di altre famiglie, con le quali i Doxi Stracca avean contratto parentele.
Quindi scorgiamo lo scudo di
ANGELO SERAFINI SAULI
Si asserisce che la famiglia Serafini sia originaria di Modena, e che da colà abbia esulato per discordie civili solite in quei tempi ad accadere nelle Città d’Italia per gli opposti partiti che in se racchiudevano. Or vediamo i Serafini stabilirsi in questa Provincia, ed in quella regione propriamente chiamata il Capo di Leuca, ove il giureconsulto Angelo dimorante in Salve nel 1645 comprava dalla famiglia Gallone il Casale di Tiggiano, ed i Feudi di Marigliano e Celle in questa Provincia. Angelo adunque fu il primo Barone di Tiggiano, Marigliano, e Celle. Da lui nacquero Giuseppe secondo Barone, che impalmò Aurelia Paladini di Lecce, Tommaso che stabilì un altro casato in Otranto imparentando con Basalù, ed Alessandro che addivenne Abbate. Da Giuseppe nacquero Oronzio terzo Barone, e Barbara maritata a Cesare Paladini con la dote del Feudo di Celle. Il Barone Oronzo menò consorte Elena Pievesauli di Gallipoli, la quale ereditò i beni di sua famiglia trasferendoli in casa del marito insieme al cognome Sauli, perché unica superstite di quel casato come osservammo parlando di Pievesauli. Dal mentovato Oronzio nacque Ippazio quarto Barone, che sposò Chiara Mureti di Taranto, e procreò un altro Oronzio, che fu il quinto Barone di Tiggiano assumento il cognome di Serafini Sauli, e fu fratello d’Ippazio divenuto Abbate. L’accennato quinto Barone Oronzio impalmò Lucia d’Elia di Gallipoli, e procreò Ippazio che fu il sesto Barone sposato a Gabriela Vernazza de’ Duchi di Castrì, da cui nacquero Ippazio Cavalier di Malta di divozione, ed Oronzo Amadeo secondogenito che divenne il settimo Barone, nonchè Gaetano, Giambattista, e Pasquale. I discendenti di questo settimo Barone ora esistono in Tiggiano conservando i titoli ed i beni de’ loro antenati.
Dal menzionato quinto Barone Oronzio con la d’Elia nacquero ancora Giuseppe e Bartolomeo entrambi abbati della ricca abbazia di patronato di famiglia, di cui gli altri sacerdoti di questo casato n’erano stati investiti durante la vita loro, come pure nacquero Niccolò Vito ed Angelo, e quest’ultimo stabilissi in Gallipoli sposando Aurelia Balsamo, da cui ebbe Bonaventura, che fu Cavaliere di Malta. Vedovato impalmò sua nipote per nome Rachele, con cui procreò due figlie le attuali Dame Donna Elena e Donna Gabriela. Pasquale Sauli fratello del 7° Barone di Tiggiano non ha guari è morto in Lecce col grado di Maggiore delle Guardie d’Onore, e Presidente del Consiglio di Guerra.
Angelo Serafini Sauli fu Sindaco di Gallipoli nel 1771 e 1778. Egli fu ammesso agli onori del baciamano, come dal seguente documento, che noi trascriviamo, dal quale si rileva la nobilità del casato in discorso.
“A bene adempiere il sovrano comando stimò la real Camera scrivere all’Uditore dell’Acqua, affinchè avesse riferito se la famiglia del ricorrente sia aggregata tra le famiglie nobili della Città di Lecce e da quanto tempo; se possieda Feudi nobili; se sia antica o surta di recente; se abbia congiunti nobili; e finalmente dir tutte le qualità e circostanze di tal famiglia.
In vista di un tale incarico ha esso Uditore riferito, che nella Città di Lecce non vi sia sedile chiuso, né aggreagazioni con privilegio alla nobiltà, ma che si distinguono i cittadini in tre Ceti, nobili, civili, ed artieri; che tra il primo ceto vi sono diversi Titolati e possessori di Feudi nobili, e tra questi la famiglia del ricorrente, la quale da più secoli andò in quella Città, ove un tal D.Angelo, avendo fatto molti acquisti, comprò nell’anno 1645 la Terra e Feudo di Tiggiano, che tuttavia si possiede da’ suoi discendenti; che dal Libro della menzionata Città, in cui si notano i Sindaci, che hanno amministrato da più secoli in quà si rileva, che tra le antiche famiglie nobili del primo Ceto vi sia quella di Serafini, e che nell’anno 1583 fu eletto general Sindaco il Dottor Tommaso Serafini, nell’anno 1634 Angelo di Alessandro Serafini, nel 1646 il Barone D.Angelo Serafini, nel 1659 Giuseppe Serafini. Ha inoltre riferito che il nominato D. Angelo Serafini compratore di Tiggiano ebbe un solo figlio chiamato Giuseppe, il quale nel 1686 prese in moglie D.Carolina Paladini delle famiglie più distinte di Lecce; che poi fu divisa in due rami, quella del secondigenito si fissò in Otranto, ed apparentò con la Casa Basalù residente in detta Città, che si dice essere delle nobili veneziane, e con la casa Guarini di Lecce, ch’è pure della primaria nobiltà, e che detto ramo stà per estinguersi; e l’altro ramo del primogenito si fissò in Tiggiano proprio Feudo dove attualmente risiede il Barone, che ha per moglie D.Gabriela Vernazza de’ Duchi di Castrì; che il ricorrente D.Angelo fa casa in Gallipoli, ove si ha preso in moglie D.Aurelia de’ Baroni Balsamo, quale famiglia ha imparentato con diverse delle nobili della Città di Lecce; anche esso D.Angelo ha esercitato in Gallipoli varii ufficj appartenenti al primo Ceto di quel pubblico; e finalmente ha lo stesso Uditore riferito, che la linea del suddetto primogenito imparentò con la famiglia Sauli, che si dice esser nobile genovese, e che si trovava in Gallipoli per accidente, e che non avendo avuto l’ultimo di tal famiglia Sauli eredi lasciò tutti i proprii beni a’ suddetti Serafini, col peso di assumere il di lui cognome, per cui si dicono Serafini Sauli. Avendo intanto la real Camera presente quanto ha riferito il mentovato Uditore dell’Acqua, e verificato con documenti da esso ricorrente D.Angelo Serafini Sauli umiliati alla M.V. non incontra perciò riparo, che V.M. possa degnarsi di accordargli la grazia di essere ammesso al baciamano ne’ giorni di gala = Eccellentissimo Signore = Informato il Re della nobilità, qualità, e circostanze che concorrono nella persona e famiglia di D.Angelo Serafini Sauli di Lecce, è benignamente venuto ad accordargli la grazia di potere intervenire a’ baciamani, alle tavole, ed alle pubbliche funzioni del Palazzo. Nel real nome lo partecipo a V.E. per sua intelligenza, e per uso che convenga. Portici 26 Aprile 1784 = Eccellentissimo Sig. Principe di Belmonte. Il Marchese della Sambuca certifica come Segretario del Re N.S. e della Maggiordomia Maggiore, che la presente copia è dell’original dispaccio, che si conserva nella Segreteria della Maggiordomia Maggiore. Napoli 2 Luglio 1784 Giuseppe de Navas”.
Lo scudo di Serafini rappresentava in campo celeste inquartati quattro serafini allusivi al cognome del casato, ma quando aggiunse quello di Sauli riunì a questi e propriamente a dritta l’aquila in campo di argento di Pievesauli, scambiando però i colori, poiché l’aquila fu collocata in campo celeste, ed i serafini in campo di argento. Or si presenta lo scudo di
GIUSEPPE GRUMESI
Dall’albero geneaologico di questa famiglia rileviamo essere stato il ceppo Emilio Grumesi vivente verso il 1280. Antichissima è dunque la sua origine, e si confonde nella oscurità de’ tempi. Si conosce per altro ch’ella abbia contratto ragguardevoli parentele, e propriamente con Gorgoni Baroni di origine, con Perez, co’ Baroni Casotti, con Muzi, con Zacheo, d’Aprile, Pizzarco nobilissima famiglia spagnola, con Sergio, e con altre. Ricca di beni rustici ed urbani sempre si mantenne dignitosamente. Apparteneva al patriziato gallipolino e per ciò scorgiamo Gaspare Grumesi sindaco nell’anno 1776, e Giuseppe negli anni 1790, 1791, 1792.
Un sepolcro di antico patronato possiede questa famiglia nella Chiesa di questi padri Domenicani vicino all’altare di S.Domenico. Una lapide di marmo soprafino lo ricuopre. Giuseppe Grumesi (colui che avea sposato una dama di casa d’Aprile) eregeva quel monumento per se, e per i suoi posteri, ricordevole della caducità delle cose umane, come si legge nella semplice e forbita iscrizione incisa su di quel marmo.
Null’altro possiamo aggiungere intorno a questo casato per mancanza di memorie, sebbene fosse esistente. Il suo stemma ci rappresenta in campo ceruleo un rigoglioso albero di quercia dinotante l’antichità di sua origine, ed appiè dello stesso una nera colomba forse allusiva a qualche sventura che gli sarà sopraggiunta. Appare poscia lo scudo del Barone
FRANCESCO FRISULLI
Feudataria era la famiglia Frisulli. Fioravante figlio di Damiano possedeva il Feudo di S.Niccola de’ Caraccioli nelle vicinanze di Torrepaduli, e che poi nel 1568 fu venduto al Barone Giacomo Antonio Baldovino. Fioravante ebbe un figlio a nome Giovanni che fu Dottor di Leggi, e procreò Giacomo. Costui procrea Giovanni, il quale abbandona il paese natio, e si stabilisce in Gallipoli, che lo accoglie nel suo patriziato. Figlio di Giovanni fu Francesco giurecolsulto di grido, che impalmò Caterina d’Elia, e per due volte quì fu regio Giudice.
Egli aveva un fratello a nome Baldassarre sposato con una di Casa Corciola, la quale recò in dote un vistoso podere che tuttavia conserva il nome della proprietaria. Aveva Baldassarre procreato con la Corciola cinque figlie, belle oltre ogni creder, formanti la delizia e la gioia del casato. Andando a diporto sul mare in una bella giornata di Maggio, quell’infido elemento turbossi a un tratto, travolse ne’ suoi gorghi la barchetta, e le infelici rimasero preda delle onde. Compassionevole avvenimento! Tutti le compiansero, tutti verzaron lagrime al miserando caso delle cinque giovanette Frisulli.
Il mentovato Francesco per la moglie Caterina d’Elia fu Barone di Sant’Andrea. Gli nacque un figlio nomato Baldassarre, che fu il 2° Barone di Sant’Andrea. Procreò costui con Antonia de Blasi Francesco, Gaspare, Melchiorre, e Baldassarre. Il terzo fu Alfiere dopo essere stato guardia del Corpo, e l’ultimo dotto Arciprete di questa Cattedrale. Francesco 3° Barone con Teresa Camaldari ebbe Giovanni 4° Barone, e Luigi che morì da Commissario di polizia stato Sindaco in Gallipoli nel 1821, ed in lui si estinse la famiglia. Nel 1777 fu Sindaco Francesco Frisulli.
Il 4° Barone Giovanni con la Dama Leccese Irene Bernardini non ebbe maschi. Lasciò tre figlie Concetta moglie di Onofrio Prato di Lecce defunti entrambi in giovane età lasciando due figlie, che conservano l’occhio nero ed attraente della bellissima loro genitrice; Giovanna morta suora professa in questo Monastero di S.Chiara, e Maria or domicilia in Lecce con la madre.
Lo stemma di Frisulli consiste in una fascia aurata orizzontale in campo celeste, che divide in due parti lo scudo. Alla superiore sonvi tre stelle ed una quarta all’inferiore, aurate anch’esse, e simboleggianti un casato che traeva origine da distinti Cavalieri.
Vedesi ora lo scudo di
GIROLAMO ARAGONA
Era la famiglia Aragona originaria di Gagliano paesetto non molto lungi dal Capo di Santa Maria di Leuca. Vantava ella nobiltà ed antichità di natali, poiché rileviamo da vetuste memorie, che Giannantonio Orsino Principe di Taranto possente Signore delle due Pronvicie di Bari e Lecce (zio d’Isabella di Chiaromonte la quale fu consorte del Re Ferdinando d’Aragona) moltissimo predilegeva questa famiglia esentandola da pagamenti fiscali, come si rileva da un diploma rilasciato da esso Principe, e che conservavasi da’ discendenti di quella, in dove fra le altre cose si leggeva “per virum nobilem Iacobum Aragona de Gagliano vassallum, et ad praesens Castellanum nostrum Castri Lytii”.
Fu dunque Giacomo Aragona Castellano di Lecce, e quando nel 1463, moriva in Altamura il Principe Orsino, tutte le Città de’ suoi stati innalzarono la bandiera del Re, meno Lecce comandata dall’Aragona, che perciò caduto in disgrazia di Ferdinando, dovè a sommo favore ritirarsi nelle sue terre di Salignano.
Aveva il Principe Orsino creato un Ordine cavalleresco intitolato della Luna crescente. Giuravano i componenti fedeltà al Signore, di aiutarlo in ogni circostanza e con armi, e con pecunia, congregandosi intorno a lui taluni giorni in segnale di ubbidienza. Lo stemma di quest’ordine di Cavalieri era una candida Luna crescente in campo celeste, simbolo di un principio di potenza. Giacomo Aragona creato Cavaliere della Luna crescente inquartolla nel suo antico scudo, che avea tre stelle di oro a cinque raggi dinotanti lo splendore del suo casato.
Questa famiglia contrasse nobili parentele, cioè con Balsamo de’ Baroni di Cardigliano, con Mancarella di Lecce, e con Fersini di Presicce. Molti anni passarono quando Giuseppe Antonio Aragona venduti i suoi beni di Corsano e di altri luoghi di quella contrada fermò positiva stanza in Gallipoli, e quì comprò predii urbani, e dalla famiglia Coppola una ricca ed estesa Masseria nelle vicinanze di Tuglie con ampii vigneti, territorii, ed oliveti, e contrasse matrimonio con Giuditta Zacheo, da cui ebbe Francesco, che sposò Lucrezia Elia. Da costoro nacque Girolamo che fu Sindaco nel 1784, 1803, 1804.
Ebbe questo casato due suore professe nl Convento di Santa Chiara di quì, e varii individui dottorati in Legge. Visse sempre onorevolmente, e con molta dignità, e dopo la morte di Giuseppe, fratello del mentovato Girolamo, ultimo rampollo della prosapia, l’asse dovizioso che lasciò anche in argenti tutto rimase distrutto e sperperato.
Scorgiamo di seguito lo scudo di
VINCENZO TAFURI
Varie sono le opinioni intorno all’origine dell’antica famiglia Tafuri, conciossiacchè chi la crede originaria di Spagna congiunta in parentela coi Conti di Wurtimberg, e chi dell’Albania, ove i suoi componenti erano grandi signori. Vero è non per tanto, che in questo Regno essa esisteva fin dal 1238, e singolarmente si era in Lecce stabilita, poiché ivi in quell’anno rinveniamo un Praefectus Arcis aulae Taphurus, e nel regio archivio della zecca folio 69 let.B si leggeva, che nel 1340 Bernardino Tafuri vendeva alcuni beni feudali.
Lo storico Summonte ci narra le sventure ricadute sovra Galasso Tafuri, poi perdonato dalla Regina Giovanna 2°. Francesco Tafuri fu nel 1482 Ambasciatore di Alfonso d’Aragona allor Duca di Calabria. Il Ferrari nella paradossica Apologia parla di Gio.Luigi Tafuri Barone di Pompiniano. Un tal Rinaldo del casato istesso morì in Lecce nel 1494. Il de Giorgi scrivendo delle famiglie Leccesi, ed elogiando la famiglia Tafuri fa menzione di un Cavalier di Malta appartenente a questa prosapia. L’Ammirato nella vita di Acquaviva loda l’amico di costui Bartolo Tafuri, e nella vita del marchese di Polignano III fa cenno di Antoniano Tafuri. Finalmente ritroviamo in Otranto il dottor di Leggi Raffaele Tafuri nel 1519.
Questa famiglia estendendosi con le ragguardevoli parentele contratte noi la ritroviamo in parecchi luoghi di questa Provincia decorosamente collocata. Uno a nome Michele fu Vescovo di Scala e Ravello. Gaetano Tafuri Tenente Colonnello del Reggimento di Otranto fu marito della Dama Marianna d’Aprile di Gallipoli, ed un Oronzio fu Colonnello e Comandante de’ volontarii di questa Pronvicia. I discendenti di costoro occuparono altresì superiori cariche militari.
Ma ritornando ad epoche più remote rinveniamo questa prosapia stabilita in Soleto, ed ivi nomansi Goffredo Tafuri Barone di Sant’Elia e di Sant’Agata; Francesco che fu Colonnello, e morì in guerra nelle Fiandre, e più Matteo celebre filosofo, matematico insigne, e naturalista, il quale fu dottorato in Parigi, insegnò nell’Università di Salamanca, per l’acquisto delle scienze peregrinò in tutto il mondo allor conosciuto, e quindi per amor del suolo nativo si ridusse in patria. Egli è da riguardarsi come il promotore in queste nostre regioni del risorgimento delle scienze e delle lettere. Furono molte le opere da lui scritte sopra svariati argomenti. Ma per la sua somma perizia nelle cose Fisiche l’ignara e credula plebe tenea per negromante. E pure questo medesimo pregiudizio del volgo valse alla memoria di Matteo onore singolarissimo, perocchè in un anno del secolo trascorso fu tenuta in Lecce solenne conclusione pubblicata quindi per le stampe sotto gli auspicii di Monsignor Sozi Carafa, nel fine di assodare, che il dottissimo Matteo era stato nella dottrina costantemente ortodosso, nelle pratiche e nelle azioni illibato e virtuoso. Or continuando a parlare de’ Tafuri di Soleto diciamo, che durante l’assenza di Giovanni di Brenna partito in Oriente per le Crociate, e che poi fu Re titolare di Gerusalemme, i Tafuri tenevano il governo di Soleto a nome di esso Giovanni che n’era in Conte, e che conservava Soleto come luogo di appoggio e di conforto. Essi furono i fondatori del Monastero de’ minori convenuali di Salerno. Quindi veggiamo un discendente di costoro a nome Onofrio dimorante in Matino per le possidenze di sua moglie Anna Saraceno, ereditiera di una brama di quel nome, dottorato in Roma con qualifiche onorevoli leggendosi nel Diploma “Clericus Honofrius Taphurus de Soleto filius Excellentissimi Doctoris Francisci clarissimo genere ortus”.
Fratello di Onofrio fu Domenico Tafuri dottorato in giurisprudenza, morto in Napoli nel 1699 Procuratore della Cesarea Maestà, ed ivi creò un altra famiglia. Poscia i discendenti di Onofrio si tramutarono in Gallipoli, dove fiorì il rinomatissimo Giureconsulto Donatantonio, che fu pure Principe perpetuo di una Accademia di scienze e lettere fiorente allora in Gallipoli, e così scorgiamo Sindaco nel 1789 Vincenzo Maria, ed annoverata la sua famiglia tra le patrizie di questa Città.
I Tafuri di Gallipoli contrassero parentele con Coppola di quì, con Basalù di Otranto, con Indelli di Monopoli, con Pappalettere di Barletta, e con altre nobilissime e distinte famiglie, tra le quali vogliam nominate le già estinte in Casa Tafuri, cioè la delle Castelle, la Curchi, e l’altra de’ Conti Arcudi, benemerita questa delle lettere, specialmente per le opere di Silvio, di Monsignor Francisco, e di Alessandro; opere che si conservano presso i Tafuri di Gallipoli. D.Vincenzo Tafuri Avvocato presso la Corte Suprema di Giustizia forma ora l’ornamento della repubblica letteraria per le sue alte cognizioni di giurisprudenza, di filosofia, di lingua greca e latina, storia, letteratura, teologia, e di ogni branca dell’umano sapere; di morale illibata, e distinto per allegazioni scritte a tutela de’ suoi clienti. Il saggio di prelezioni istorico giuridiche, che non ha guari pubblicò con le stampe, e le cui nozioni attinse dalle vere e pure sorgenti, chiaro palesano la verità di quanto noi diciamo.
Avea per antico stemma la casa Tafuri un albero di quercia in campo celeste. I due fulmini, che contro gli si scagliano e non lo percuotono simboleggiano l’avvenimento di Galasso Tafuri. In seguito lo scudo si vide quadripartito verticalmente ed orizzontalmente, e vi si frapposero una torre, un altro albero con due Leoni rampanti di oro, ed una fascia aurata da dritta a manca con in sù un’astra con tre cappelli rossi, stemmi questi improntati da altre famiglie, con le quali i Tafuri si congiunsero in parentele.
Ora veggiamo lo scudo di
FRANCESCO DI PAOLA SERGIO
La famiglia Sergio di Gallipoli trae origine da Soleto. Il giureconsulto Giuseppe dimorante in Martano impalmò la Dama Marianna Mazzuci di Benedetto, e per tal maritaggio fermò sua stanza in Gallipoli, e fe parte di questo patriziato. Pare dallo stemma ch’essa sia prosapia Romana. Le iniziali S.C. impresse sullo scudo palesano che appartenesse all’ordine Senatorio. In Roma esisteva la Casa Sergia. Foss’ella mai sopravanzata al torrente di tanti secoli, ed al ferro inesorabile de’ Barbari, che mieterono tante vite Romane? Il suo scudo propriamente è inquartato. Ne’ due quarti a manca in campo di argento sonvi due fascie aurate trasversali. Negli altri in campo celeste sono impressi all’inferiore un Leone rampante da dritta a manca, ed al superiore le iniziali accennate S.C. Tali simboli sono chiari distintivi di nobiltà, di ordine senatorio romano, di ordine cavalleresco del medio evo.
Dal mentovato Giuseppe nacquero Angelica, Concetta, e Francesco di Paola. Le due prime passarono in Casa di Rocci Cerasoli. Francesco di Paola impalmò Luisa Tafuri figlia del colonello Oronzio e d’Isabella Paredes de’ Baroni di Mollone. Egli ebbe un figlio a nome Ferdinando, cui diede in consorte Pascalina de’ Baroni Calò di Galatina. L’accennato Francesco di Paola fu Sindaco di Gallipoli negli anni 1801 e 1802.
Finalmente scorgiamo lo scudo di
GIOVANNI VALENTINI
L’Imperadore Carlo V con diploma del 12 Agosto 1548 crea suo domestico, familiare, e commensale Epaminonda Valentino di Calabria per i molti servigii resi nell’ultime guerre di Germania. Venuto Epaminonda in questa Provincia concede a suo figlio Carlo in isposa Giovanna Sambiasi Dama Leccese. Carlo divenuto Barone instituisce erede del suo Feudo di Castrì il primogenito Luca Giovanni, che acquista nel 1567 un altro Feudo detto di Affre ne’ dintorni di Campi, e colloca in matrimonio la sorella Girolama col gentiluomo Sertorio Capece Zurlo. Gli succede il figlio Giovan Pietro, che vende Castrì ed Affre, impalma Elisabetta Ventura, e procrea un figlio nomato Luca Giovanni, che congiunge in matrimonio con la nobil Casa spagnola della Cueva Castellana di Otranto. Dopo varie discendenze in linea retta, veggiamo i Valentini imparentar con Mezio nobil prosapia di Galatina, e finalmente Carlo Emanuele stabilirsi in Gallipoli, e collocarsi in matrimonio con la Dama Caterina de Tomasi, che reca al marito la pingue dote di Ducati 60mila in beni immobili. Carlo Emanuele procrea cinque maschi Giovanni, Epaminonda, Antonio, Alessandro, e Vito; il primo e l’ultimo divengono giurisperiti, Epaminonda ed Antonio monaci celestini dotti oltremodo, ma della scuola Volteriana, Alessandro Canonico di questa Cattedrale. Vito ebbe per figlio Epaminonda giovane di gran cuore, beneficente insino alla prodigalità, di squisita educazione, ed amabile sotto ogni riguardo; soffrì persecuzioni per vicende politiche, e la sua salute deteriorossi in modo che cessò di vivere nell’età più robusta. Egli lasciò un figlio in età giovanile a nome Francesco, da cui potrà riprodursi la nobil famiglia Valentini.
Il mentovato Giovanni Valentini fu Sindaco di Gallipoli negli anni 1822, 1823.
Lo stemma di questo casato è un Leone rampante coronato in campo celeste avente una spada nel destro pie’davanti; emblema di Epaminonda Valentini simboleggiante essere un guerriero dell’Imperador Carlo V, e che avea reso servigii alla possente Corona di quello.
CONCLUSIONE
Quì finiscono gli stemmi dell’antico patriziato Gallipolino. Ma udiamo intorno una voce: A qual pro’ tante ciance? Ove sta più quel patriziato? Ove le famiglie che lo componevano? Che valgono più quelle larve di scudi dipinti nella sdrucita sala del Comune?
Al che noi rispondiamo. Ov’è Palmira col suo tempio nel sole, con quelle fabbriche ammirabili per stile ed esecuzione, profuse d’orientali ornamenti, e che dava vita ad un immenso deserto? A qual pro’ Dawkins e Vood ne diedereo la descrizione e gli esatti disegni? Ove sono gli archi di trionfo, le statue, le iscrizioni, le mille quattrocento cinquanta colonne, i portici che guidavano a magnifiche tombe di marmo bianco rilevati a figure, e rabeschi? Oggi poche famiglie occupano capanne di fango fra il recinto del tempio di Palmira con intorno avanzi di grande rimembranza, di cui ignorano l’incommensurabile pregio, in mezzo ai quali Volney intuonava le sue Elegie, descrivendo i popoli come razza, che or si estolle ed or perisce sospinta dal caso, dalla forza, o dall’impostura.
Fine della 10° parte