Andrej Rublev, un pittore russo a Gallipoli

    Collegandomi a quanto da me espresso nell’articolo precedente sulla pittura, desidero qui presentare e trattare un particolare pensiero pittorico sul problema filosofico –teologico  della  icona sulla Trinità dell’artista russo Andrej Rublëv.
    Il dogma trinitario è stato rappresentato dal santo monaco iconografo nel 1411 in un famoso dipinto per la cattedrale del monastero fondato da S. Sergio di Radonez a Zagorsk e oggi alla Tret’jakov di Mosca. Ma, senza andare tanto lontano, possiamo ammirare una copia del capolavoro rubleviano nelle nostre chiese di Gallipoli, ad esempio, sopra il tabernacolo della parrocchia di S. Antonio o nel corridoio presso la sacrestia di S. Gerardo Maiella, oppure nell’ufficio parrocchiale del S. Cuore al di sopra di varie altre icone.
    Ora, quanti si saranno chiesto: “Cosa significa questo dipinto? Chi sono quei tre personaggi raffigurati nell’icona?” Qui, appunto, cerchiamo di darne una chiara spiegazione.
    Fin dai primordi del Cristianesimo si è tentato di raffigurare visivamente il mistero della Trinità con simbolismi (triangolo equilatero, trifoglio, colomba, ecc.).Ma, neppure la scena del battesimo di Gesù  riusciva ad indicare sufficientemente la teofania trinitaria, fondamento della nostra fede. Fu allora che i Padri della Chiesa cominciarono a ravvisare le tre Persone della SS. Trinità nel racconto biblico di Genesi 18,1-15.
Secondo questa interpretazione neotestamentaria i tre angeli che si presentano ad Abramo e Sara promettendo loro un figlio ed una lunga discendenza, avrebbero incarnato le tre Persone divine. Rublev sintetizza i momenti chiave del brano in questione nella sua icona.  
      Tutto identifica la “personalità” dei tre misteriosi pellegrini: i loro volti, le aureole, il colore azzurro, i bastoni-scettro, segno di autorità, i troni su cui sono seduti. I tre angeli sono perfettamente uguali e tuttavia diversi: gli scettri identici simboleggiano appunto l’uguaglianza del potere. La diversità delle figure si compie nella separazione dei toni cromatici dei singoli angeli e dalla posizione delle vesti, ma soprattutto dall’ atteggiamento di ciascuno verso gli altri.
    Nell’angelo di sinistra è riconosciuta la figura del Padre, nell’angelo centrale quella del Figlio, e in quello di destra la figura dello Spirito Santo. Tutto converge verso il Padre; egli è diritto perché origine a se stesso, segno della maestà; la mano e lo sguardo sembrano affidare una missione al Figlio.
 La stola gialla del Figlio indica la missione vittoriosa del Cristo sacerdote; il corpo flesso e lo sguardo d’Amore rivolto verso il Padre indicano la docilità alla volontà paterna.  La figura dello Spirito, più curva sulla mensa, rivela un atteggiamento di ascolto, umiltà e docilità; egli è pronto ad essere inviato nel mondo a continuare l’opera del Figlio. I tre angeli sono racchiusi in un cerchio ad indicare pienezza e perfezione e a sottolineare la circolarità degli sguardi d’Amore.
    E’ proprio della SS. Trinità l’essere una e indivisibile. Conosciamo il Padre attraverso il Figlio (Giov 14,19), conosciamo il Figlio attraverso lo Spirito (I Cor 12, 3).
    Fu Tertulliano (155-222 d. C) che coniò ex novo il termine «Trinità», che, assieme all’unicità di Dio, secondo la Bibbia (Mt, 28,19), costituisce il mistero basilare del credo cristiano. Il Concilio Niceno I (325 d. C.) lo dichiarò articolo di fede, mentre il Concilio Niceno II (787 d.C) lo ha  ridefinito come dogma fondamentale della teologia cristiana. Già S. Agostino (354-430) aveva interpretato l’episodio di Mamre come apparizione delle tre Persone divine.
A Roma in S. Maria Maggiore (V sec.) e in  S. Vitale a Ravenna (VI sec.) i tre pellegrini sono raffigurati in un mosaico. Questa tradizione  fu conservata fino ai nostri giorni a Bisanzio e poi in Russia.
Nel 1551 il Concilio russo dei Cento Capitoli raccomandava agli iconografi di dipingere le icone della Trinità basandosi sul modello di Rublëv che definì l’icona delle icone e la proclamò icona protorivelata ispirata da Dio.
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    Come ogni icona anche questa di Rublëv è pensata e descritta secondo una precisa struttura geometrica in cui ogni sua parte dipende dal resto del dipinto e possiede un proprio significato e simbolismo. Tuttavia, qualsiasi icona risulta libera da ogni canone estetico e prospettico.
L’arte iconica costituisce una testimonianza di fede e un contenuto teologico che funge da nutrimento spirituale del fedele; non si deve, quindi, apprezzare solo come un’opera artistica, ma piuttosto come riflesso dell’Incarnazione, della Rivelazione e come strumento della Grazia.
    L’icona del monaco russo celebra qui la cena eucaristica, come sta ad indicare il calice sulla tavola-altare, quindi ripete il rinnovarsi del sacrificio del Cristo. Giustamente, infatti, essa è stata posta al di sopra del tabernacolo del SS. Sacramento a S. Antonio.
    L’ospitalità generosa di Abramo nei confronti del pellegrino straniero è segno della  pronta accoglienza del Patriarca e del suo riconoscimento del volto di Dio nel bisognoso. E ne fu premiato. E’ un esempio da seguire.
    Massimo Cacciari nel suo pamphlet Tre Icone (Adelphi Edizioni, Milano, 2007) commenta: “Questa immagine viene certamente dal cielo.” E poi, parafrasando le parole di Gesù: “Questo dice l’icona: Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete pace per le vostre anime.” Infatti, spiega il docente veneziano:”Lo sguardo del Salvatore è …preghiera… e pazienza per la miseria dei figli cui si rivolge. Nessuna immagine del Cristo ha più compiutamente espresso come Egli non sia venuto a giudicare.”

Giuseppe MARINO