Illustrazione sugli Stemmi

Or si presenta lo scudo di
GIUSEPPE GRUMESI

Dall’albero geneaologico di questa famiglia rileviamo essere stato il ceppo Emilio Grumesi vivente verso il 1280. Antichissima è dunque la sua origine, e si confonde nella oscurità de’ tempi. Si conosce per altro ch’ella abbia contratto ragguardevoli parentele, e propriamente con Gorgoni Baroni di origine, con Perez, co’ Baroni Casotti, con Muzi, con Zacheo, d’Aprile, Pizzarco nobilissima famiglia spagnola, con Sergio, e con altre. Ricca di beni rustici ed urbani sempre si mantenne dignitosamente. Apparteneva al patriziato gallipolino e per ciò scorgiamo Gaspare Grumesi sindaco nell’anno 1776, e Giuseppe negli anni 1790, 1791, 1792.
Un sepolcro di antico patronato possiede questa famiglia nella Chiesa di questi padri Domenicani vicino all’altare di S.Domenico. Una lapide di marmo soprafino lo ricuopre. Giuseppe Grumesi (colui che avea sposato una dama di casa d’Aprile) eregeva quel monumento per se, e per i suoi posteri, ricordevole della caducità delle cose umane, come si legge nella semplice e forbita iscrizione incisa su di quel marmo.
Null’altro possiamo aggiungere intorno a questo casato per mancanza di memorie, sebbene fosse esistente. Il suo stemma ci rappresenta in campo ceruleo un rigoglioso albero di quercia dinotante l’antichità di sua origine, ed appiè dello stesso una nera colomba forse allusiva a qualche sventura che gli sarà sopraggiunta. Appare poscia lo scudo del Barone
FRANCESCO FRISULLI

Feudataria era la famiglia Frisulli. Fioravante figlio di Damiano possedeva il Feudo di S.Niccola de’ Caraccioli nelle vicinanze di Torrepaduli, e che poi nel 1568 fu venduto al Barone Giacomo Antonio Baldovino. Fioravante ebbe un figlio a nome Giovanni che fu Dottor di Leggi, e procreò Giacomo. Costui procrea Giovanni, il quale abbandona il paese natio, e si stabilisce in Gallipoli, che lo accoglie nel suo patriziato. Figlio di Giovanni fu Francesco giurecolsulto di grido, che impalmò Caterina d’Elia, e per due volte quì fu regio Giudice.
Egli aveva un fratello a nome Baldassarre sposato con una di Casa Corciola, la quale recò in dote un vistoso podere che tuttavia conserva il nome della proprietaria. Aveva Baldassarre procreato con la Corciola cinque figlie, belle oltre ogni creder, formanti la delizia e la gioia del casato. Andando a diporto sul mare in una bella giornata di Maggio, quell’infido elemento turbossi a un tratto, travolse ne’ suoi gorghi la barchetta, e le infelici rimasero preda delle onde. Compassionevole avvenimento! Tutti le compiansero, tutti verzaron lagrime al miserando caso delle cinque giovanette Frisulli.
Il mentovato Francesco per la moglie Caterina d’Elia fu Barone di Sant’Andrea. Gli nacque un figlio nomato Baldassarre, che fu il 2° Barone di Sant’Andrea. Procreò costui con Antonia de Blasi Francesco, Gaspare, Melchiorre, e Baldassarre. Il terzo fu Alfiere dopo essere stato guardia del Corpo, e l’ultimo dotto Arciprete di questa Cattedrale. Francesco 3° Barone con Teresa Camaldari ebbe Giovanni 4° Barone, e Luigi che morì da Commissario di polizia stato Sindaco in Gallipoli nel 1821, ed in lui si estinse la famiglia. Nel 1777 fu Sindaco Francesco Frisulli.
Il 4° Barone Giovanni con la Dama Leccese Irene Bernardini non ebbe maschi. Lasciò tre figlie Concetta moglie di Onofrio Prato di Lecce defunti entrambi in giovane età lasciando due figlie, che conservano l’occhio nero ed attraente della bellissima loro genitrice; Giovanna morta suora professa in questo Monastero di S.Chiara, e Maria or domicilia in Lecce con la madre.
Lo stemma di Frisulli consiste in una fascia aurata orizzontale in campo celeste, che divide in due parti lo scudo. Alla superiore sonvi tre stelle ed una quarta all’inferiore, aurate anch’esse, e simboleggianti un casato che traeva origine da distinti Cavalieri.

Vedesi ora lo scudo di
GIROLAMO ARAGONA

Era la famiglia Aragona originaria di Gagliano paesetto non molto lungi dal Capo di Santa Maria di Leuca. Vantava ella nobiltà ed antichità di natali, poiché rileviamo da vetuste memorie, che Giannantonio Orsino Principe di Taranto possente Signore delle due Pronvicie di Bari e Lecce (zio d’Isabella di Chiaromonte la quale fu consorte del Re Ferdinando d’Aragona) moltissimo predilegeva questa famiglia esentandola da pagamenti fiscali, come si rileva da un diploma rilasciato da esso Principe, e che conservavasi da’ discendenti di quella, in dove fra le altre cose si leggeva “per virum nobilem Iacobum Aragona de Gagliano vassallum, et ad praesens Castellanum nostrum Castri Lytii”.
Fu dunque Giacomo Aragona Castellano di Lecce, e quando nel 1463, moriva in Altamura il Principe Orsino, tutte le Città de’ suoi stati innalzarono la bandiera del Re, meno Lecce comandata dall’Aragona, che perciò caduto in disgrazia di Ferdinando, dovè a sommo favore ritirarsi nelle sue terre di Salignano.
Aveva il Principe Orsino creato un Ordine cavalleresco intitolato della Luna crescente. Giuravano i componenti fedeltà al Signore, di aiutarlo in ogni circostanza e con armi, e con pecunia, congregandosi intorno a lui taluni giorni in segnale di ubbidienza. Lo stemma di quest’ordine di Cavalieri era una candida Luna crescente in campo celeste, simbolo di un principio di potenza. Giacomo Aragona creato Cavaliere della Luna crescente inquartolla nel suo antico scudo, che avea tre stelle di oro a cinque raggi dinotanti lo splendore del suo casato.
Questa famiglia contrasse nobili parentele, cioè con Balsamo de’ Baroni di Cardigliano, con Mancarella di Lecce,  e con Fersini di Presicce. Molti anni passarono quando Giuseppe Antonio Aragona venduti i suoi beni di Corsano e di altri luoghi di quella contrada fermò positiva stanza in Gallipoli, e quì comprò predii urbani, e dalla famiglia Coppola una ricca ed estesa Masseria nelle vicinanze di Tuglie con ampii vigneti, territorii, ed oliveti, e contrasse matrimonio con Giuditta Zacheo, da cui ebbe Francesco, che sposò Lucrezia Elia. Da costoro nacque Girolamo che fu Sindaco nel 1784, 1803, 1804.
Ebbe questo casato due suore professe nl Convento di Santa Chiara di quì, e varii individui dottorati in Legge. Visse sempre onorevolmente, e con molta dignità, e dopo la morte di Giuseppe, fratello del mentovato Girolamo, ultimo rampollo della prosapia, l’asse dovizioso che lasciò anche in argenti tutto rimase distrutto e sperperato.

Scorgiamo di seguito lo scudo di
VINCENZO TAFURI

Varie sono le opinioni intorno all’origine dell’antica famiglia Tafuri, conciossiacchè chi la crede originaria di Spagna congiunta in parentela coi Conti di Wurtimberg, e chi dell’Albania, ove i suoi componenti erano grandi signori. Vero è non per tanto, che in questo Regno essa esisteva fin dal 1238, e singolarmente si era in Lecce stabilita, poiché ivi in quell’anno rinveniamo un Praefectus Arcis aulae Taphurus, e nel regio archivio della zecca folio 69 let.B si leggeva, che nel 1340 Bernardino Tafuri vendeva alcuni beni feudali.
Lo storico Summonte ci narra le sventure ricadute sovra Galasso Tafuri, poi perdonato dalla Regina Giovanna 2°. Francesco Tafuri fu nel 1482 Ambasciatore di Alfonso d’Aragona allor Duca di Calabria. Il Ferrari nella paradossica Apologia parla di Gio.Luigi Tafuri Barone di Pompiniano. Un tal Rinaldo del casato istesso morì in Lecce nel 1494. Il de Giorgi scrivendo delle famiglie Leccesi, ed elogiando la famiglia Tafuri fa menzione di un Cavalier di Malta appartenente a questa prosapia. L’Ammirato nella vita di Acquaviva loda l’amico di costui Bartolo Tafuri, e nella vita del marchese di Polignano III fa cenno di Antoniano Tafuri. Finalmente ritroviamo in Otranto il dottor di Leggi Raffaele Tafuri nel 1519.
Questa famiglia estendendosi con le ragguardevoli parentele contratte noi la ritroviamo in parecchi luoghi di questa Provincia decorosamente collocata. Uno a nome Michele fu Vescovo di Scala e Ravello. Gaetano Tafuri Tenente Colonnello del Reggimento di Otranto fu marito della Dama Marianna d’Aprile di Gallipoli, ed un Oronzio fu Colonnello e Comandante de’ volontarii di questa Pronvicia. I discendenti di costoro occuparono altresì superiori cariche militari.
Ma ritornando ad epoche più remote rinveniamo questa prosapia stabilita in Soleto, ed ivi nomansi Goffredo Tafuri Barone di Sant’Elia e di Sant’Agata; Francesco che fu Colonnello, e morì in guerra nelle Fiandre, e più Matteo celebre filosofo, matematico insigne, e naturalista, il quale fu dottorato in Parigi, insegnò nell’Università di Salamanca, per l’acquisto delle scienze peregrinò in tutto il mondo allor conosciuto, e quindi per amor del suolo nativo si ridusse in patria. Egli è da riguardarsi come il promotore in queste nostre regioni del risorgimento delle scienze e delle lettere. Furono molte le opere da lui scritte sopra svariati argomenti. Ma per la sua somma perizia nelle cose Fisiche l’ignara e credula plebe tenea per negromante. E pure questo medesimo pregiudizio del volgo valse alla memoria di Matteo onore singolarissimo, perocchè in un anno del secolo trascorso fu tenuta in Lecce solenne conclusione pubblicata quindi per le stampe sotto gli auspicii di Monsignor Sozi Carafa, nel fine di assodare, che il dottissimo Matteo era stato nella dottrina costantemente ortodosso, nelle pratiche e nelle azioni illibato e virtuoso. Or continuando a parlare de’ Tafuri di Soleto diciamo, che durante l’assenza di Giovanni di Brenna partito in Oriente per le Crociate, e che poi fu Re titolare di Gerusalemme, i Tafuri tenevano il governo di Soleto a nome di esso Giovanni che n’era in Conte, e che conservava Soleto come luogo di appoggio e di conforto. Essi furono i fondatori del Monastero de’ minori convenuali di Salerno. Quindi veggiamo un discendente di costoro a nome Onofrio dimorante in Matino per le possidenze di sua moglie Anna Saraceno, ereditiera di una brama di quel nome, dottorato in Roma con qualifiche onorevoli leggendosi nel Diploma “Clericus Honofrius Taphurus de Soleto filius Excellentissimi Doctoris Francisci clarissimo genere ortus”.
Fratello di Onofrio fu Domenico Tafuri dottorato in giurisprudenza, morto in Napoli nel 1699 Procuratore della Cesarea Maestà, ed ivi creò un altra famiglia. Poscia i discendenti di Onofrio si tramutarono in Gallipoli, dove fiorì il rinomatissimo Giureconsulto Donatantonio, che fu pure Principe perpetuo di una Accademia di scienze e lettere fiorente allora in Gallipoli, e così scorgiamo Sindaco nel 1789 Vincenzo Maria, ed annoverata la sua famiglia tra le patrizie di questa Città.
I Tafuri di Gallipoli contrassero parentele con Coppola di quì, con Basalù di Otranto, con Indelli di Monopoli, con Pappalettere di Barletta, e con altre nobilissime e distinte famiglie, tra le quali vogliam nominate le già estinte in Casa Tafuri, cioè la delle Castelle, la Curchi, e l’altra de’ Conti Arcudi, benemerita questa delle lettere, specialmente per le opere di Silvio, di Monsignor Francisco, e di Alessandro; opere che si conservano presso i Tafuri di Gallipoli. D.Vincenzo Tafuri Avvocato presso la Corte Suprema di Giustizia forma ora l’ornamento della repubblica letteraria per le sue alte cognizioni di giurisprudenza, di filosofia, di lingua greca e latina, storia, letteratura, teologia, e di ogni branca dell’umano sapere; di morale illibata, e distinto per allegazioni scritte a tutela de’ suoi clienti. Il saggio di prelezioni istorico giuridiche, che non ha guari pubblicò con le stampe, e le cui nozioni attinse dalle vere e pure sorgenti, chiaro palesano la verità di quanto noi diciamo.
Avea per antico stemma la casa Tafuri un albero di quercia in campo celeste. I due fulmini, che contro gli si scagliano e non lo percuotono simboleggiano l’avvenimento di Galasso Tafuri. In seguito lo scudo si vide quadripartito verticalmente ed orizzontalmente, e vi si frapposero una torre, un altro albero con due Leoni rampanti di oro, ed una fascia aurata da dritta a manca con in sù un’astra con tre cappelli rossi, stemmi questi improntati da altre famiglie, con le quali i Tafuri si congiunsero in parentele.

Ora veggiamo lo scudo di
FRANCESCO DI PAOLA SERGIO

La famiglia Sergio di Gallipoli trae origine da Soleto. Il giureconsulto Giuseppe dimorante in Martano impalmò la Dama Marianna Mazzuci di Benedetto, e per tal maritaggio fermò sua stanza in Gallipoli, e fe parte di questo patriziato. Pare dallo stemma ch’essa sia prosapia Romana. Le iniziali S.C. impresse sullo scudo palesano che appartenesse all’ordine Senatorio. In Roma esisteva la Casa Sergia. Foss’ella mai sopravanzata al torrente di tanti secoli, ed al ferro inesorabile de’ Barbari, che mieterono tante vite Romane? Il suo scudo propriamente è inquartato. Ne’ due quarti a manca in campo di argento sonvi due fascie aurate trasversali. Negli altri in campo celeste sono impressi all’inferiore un Leone rampante da dritta a manca, ed al superiore le iniziali accennate S.C. Tali simboli sono chiari distintivi di nobiltà, di ordine senatorio romano, di ordine cavalleresco del medio evo.
Dal mentovato Giuseppe nacquero Angelica, Concetta, e Francesco di Paola. Le due prime passarono in Casa di Rocci Cerasoli. Francesco di Paola impalmò Luisa Tafuri figlia del colonello Oronzio e d’Isabella Paredes de’ Baroni di Mollone. Egli ebbe un figlio a nome Ferdinando, cui diede in consorte Pascalina de’ Baroni Calò di Galatina. L’accennato Francesco di Paola fu Sindaco di Gallipoli negli anni 1801 e 1802.

Finalmente scorgiamo lo scudo di
GIOVANNI VALENTINI

L’Imperadore Carlo V con diploma del 12 Agosto 1548 crea suo domestico, familiare, e commensale Epaminonda Valentino di Calabria per i molti servigii resi nell’ultime guerre di Germania. Venuto Epaminonda in questa Provincia concede a suo figlio Carlo in isposa Giovanna Sambiasi Dama Leccese. Carlo divenuto Barone instituisce erede del suo Feudo di Castrì il primogenito Luca Giovanni, che acquista nel 1567 un altro Feudo detto di Affre ne’ dintorni di Campi, e colloca in matrimonio la sorella Girolama col gentiluomo Sertorio Capece Zurlo. Gli succede il figlio Giovan Pietro, che vende Castrì ed Affre, impalma Elisabetta Ventura, e procrea un figlio nomato Luca Giovanni, che congiunge in matrimonio con la nobil Casa spagnola della Cueva Castellana di Otranto. Dopo varie discendenze in linea retta, veggiamo i Valentini imparentar con Mezio nobil prosapia di Galatina, e finalmente Carlo Emanuele stabilirsi in Gallipoli, e collocarsi in matrimonio con la Dama Caterina de Tomasi, che reca al marito la pingue dote di Ducati 60mila in beni immobili. Carlo Emanuele procrea cinque maschi Giovanni, Epaminonda, Antonio, Alessandro, e Vito; il primo e l’ultimo divengono giurisperiti, Epaminonda ed Antonio monaci celestini dotti oltremodo, ma della scuola Volteriana, Alessandro Canonico di questa Cattedrale. Vito ebbe per figlio Epaminonda giovane di gran cuore, beneficente insino alla prodigalità, di squisita educazione, ed amabile sotto ogni riguardo; soffrì persecuzioni per vicende politiche, e la sua salute deteriorossi in modo che cessò di vivere nell’età più robusta. Egli lasciò un figlio in età giovanile a nome Francesco, da cui potrà riprodursi la nobil famiglia Valentini.
Il mentovato Giovanni Valentini fu Sindaco di Gallipoli negli anni 1822, 1823.
Lo stemma di questo casato è un Leone rampante coronato in campo celeste avente una spada nel destro pie’davanti; emblema di Epaminonda Valentini simboleggiante essere un guerriero dell’Imperador Carlo V, e che avea reso servigii alla possente Corona di quello.

CONCLUSIONE
Quì finiscono gli stemmi dell’antico patriziato Gallipolino. Ma udiamo intorno una voce: A qual pro’ tante ciance? Ove sta più quel patriziato? Ove le famiglie che lo componevano? Che valgono più quelle larve di scudi dipinti nella sdrucita sala del Comune?
Al che noi rispondiamo. Ov’è Palmira col suo tempio nel sole, con quelle fabbriche ammirabili per stile ed esecuzione, profuse d’orientali ornamenti, e che dava vita ad un immenso deserto? A qual pro’ Dawkins e Vood ne diedereo la descrizione e gli esatti disegni? Ove sono gli archi di trionfo, le statue, le iscrizioni, le mille quattrocento cinquanta colonne, i portici che guidavano a magnifiche tombe di marmo bianco rilevati a figure, e rabeschi? Oggi poche famiglie occupano capanne di fango fra il recinto del tempio di Palmira con intorno avanzi di grande rimembranza, di cui ignorano l’incommensurabile pregio, in mezzo ai quali Volney intuonava le sue Elegie, descrivendo i popoli come razza, che or si estolle ed or perisce sospinta dal caso, dalla forza, o dall’impostura.

Vitantonio VINCI