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LE ZONE A TRAFFICO LIMITATO

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L’intensa circolazione veicolare all’interno dei centri urbani costituisce, indubbiamente, una problematica condivisa dalla quasi totalità delle amministrazioni comunali, le quali sono giuridicamente legittimate a regolarne i flussi, sulla base delle caratteristiche topografiche della città e delle proprie eterogenee esigenze.
In tale ottica, dunque, la soluzione sovente adottata, principalmente dalle grandi città, è stata quella di creare delle “zone a traffico limitato” (Z.T.L.), ovvero di limitare l’accesso (perpetuamente od entro determinate fasce orarie) in alcuni quartieri, prevalentemente centrali, ad un numero ristretto di persone (residenti, possessori di specifiche autorizzazioni, appartenenti a date categorie, ecc.); in alcuni casi, peraltro, determinate zone vengono totalmente private della presenza di autoveicoli, trasformandole in aree pedonali.
Le ragioni di questi interventi si ricollegano sostanzialmente alla tutela della salute pubblica, alla sicurezza stradale, alla salvaguardia del patrimonio artistico, nonché, in molte città, anche alla promozione del turismo.
A questo genere di interessi collettivi, però, si contrappongono quelli individuali di coloro (residenti o lavoratori) i quali reclamano di poter raggiungere, con i propri veicoli, le zone interessate da tali provvedimenti amministrativi.
La predisposizione di limiti alla circolazione veicolare, allorquando discenda dall’esigenza di tutelare il patrimonio storico – artistico, la salute pubblica od altri interessi superiori, appare oggettivamente condivisibile, sempreché non si traduca in un sistema meccanico attraverso il quale le amministrazioni comunali rimpinguano le proprie casse.
Se l’obiettivo fosse effettivamente quello di ridurre la presenza di autoveicoli in determinati periodi della giornata, difatti, sarebbe sufficiente, ad esempio, prevedere la presenza di agenti di Polizia Municipale sul posto, specialmente per le Z.T.L. non contraddistinte da molteplici accessi:  il rispetto del divieto d’accesso sarebbe senz’altro favorito.
I sistemi di video-ripresa realizzati allo scopo di monitorare gli accessi alle Z.T.L., viceversa, non possono per loro natura avere carattere dissuasivo, ma si innestano necessariamente in una logica prettamente punitiva: lo scopo dovrebbe essere quello di prevenire la circolazione dei veicoli non autorizzati ed, ovviamente, non quello di vendicarsi successivamente nei confronti di chi ha circolato.
Per tali motivi, il D.P.R. 22 giugno 1999, n. 250, il quale regolamenta l’installazione e l’esercizio di dispositivi per la rilevazione degli accessi di veicoli ai centri storici e alle Z.T.L., ha dettato analitiche disposizioni concernenti le modalità di esercizio dell’impianto, il funzionamento delle apparecchiature, l’omologazione e l’approvazione dei prototipi.
Di conseguenza, il mancato rispetto, anche di una sola di tali prescrizioni, rende il sistema di rilevazione irregolare, ai fini della contestazione dell’infrazione (tutto ciò assume grande importanza se si pensa che, la maggior parte dei dispositivi utilizzati dalle amministrazioni comunali per rilevare gli accessi alle Z.T.L., risulta inadeguata sotto molteplici profili).
I dispositivi di rilevamento che eseguono video-ripresa o video-registrazione, in particolare, non rispondono ai requisiti richiesti dall’art. 3 del D.P.R. n. 250/1999, il quale parla di “documentazione per immagini” e richiede espressamente che la raccolta dei dati avvenga “rilevando immagini solamente in caso di infrazione”.
Anche per l’accertamento di questo genere di infrazioni, dunque, specie con riferimento all’utilizzo di sistemi tecnologici, è richiesta una specifica interrelazione tra il comportamento stradale e la verifica della violazione. Le eventuali infrazioni, pertanto, dovrebbero essere immediatamente contestate ai trasgressori, poiché l’art. 200 del Codice della strada (C.d.S.)., comma 1 bis, lett. g., consente di omettere l’immediata contestazione solo nei casi di rilevazione degli accessi attraverso i dispositivi elettronici previsti dall’art. 17 della legge n. 127 del 1997 e, quindi, quelli aventi le caratteristiche delineate dal D.P.R. n. 250 del 1999.
La rilevazione dell’infrazione eseguita a posteriori, senza che vi sia stata contestazione immediata, inoltre, pone una serie di interrogativi anche sotto il profilo della prova della violazione. In questi casi, infatti, la sanzione viene irrogata sulla scorta della semplice presunzione di colpevolezza dell’automobilista, il quale potrebbe essere stato costretto ad accedere nella Z.T.L. da un determinato evento od in quanto autorizzato da norme indipendenti da quella amministrativa che ha disposto la limitazione del traffico (la quale non è stabilita “erga omnes”, potendo essere derogata da una serie di eccezioni relative a taluni soggetti o ad alcune situazioni).
Pertanto, poiché il nostro ordinamento non permette di elevare sanzioni sulla mera presunzione che, forse, il soggetto fosse obbligato al rispetto di una determinata norma giuridica, la contravvenzione non può essere considerata legittima (nel caso di specie, infatti, l’onere probatorio della mancanza dei requisiti autorizzativi non spetta al trasgressore, bensì all’organo accertatore, così come confermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione – sentenze n. 5095/99, 1122/99 e 3471/99).
L’uso di queste tecniche, pertanto, non può adattarsi alla previsione normativa, trattandosi di dispositivi che filmano e registrano in modo continuativo (prima, durante e dopo le contestate infrazioni) tutto quanto il traffico interessante l’accesso alla Z.T.L e, dunque, non acquisiscono singole immagini fotografiche delle targhe dei veicoli, come richiesto.  Del resto, tale soluzione risulta necessaria in assenza un controllo contestuale del veicolo (senza il quale, la verifica dell’eventuale assenza di autorizzazione alla circolazione nella zona a traffico limitato, è possibile solo a posteriori).
Siffatti meccanismi di accertamento, comportano una procedura di irrogazione delle sanzioni evidentemente innaturale, poiché le infrazioni vengono rilevate attraverso la  visione a posteriori dei filmati registrati da parte del personale preposto.
Occorre mettere in evidenza, peraltro, che i sistemi di video-ripresa e videoregistrazione, “catturando” tutto il traffico (anche pedonale), fanno sorgere perplessità anche in tema di tutela della privacy (in riferimento all’assunzione non autorizzata di dati personali).
In conclusione, la predisposizione di zone a traffico limitato deve ritenersi estremamente utile e funzionale, in quanto finalizzata alla miglior usufruibilità di zone cittadine non progettate per contenere un numero illimitato di autoveicoli (come i centri storici, per i quali il traffico è deleterio sotto diversi profili) ovvero di strade nelle quali è necessario garantire maggior sicurezza stradale (come nelle vicinanze di scuole o di altri luoghi in cui affluiscano molti pedoni). Le stesse considerazioni, al contrario, non possono valere ove le finalità perseguite dalle amministrazioni comunali si rivelino diverse, sia che si tratti di difformità dirette (non essendo finalità meritevoli di tutela), sia che si tratti di difformità indirette (prestandosi maggiore attenzione alla fase della sanzione piuttosto che a quella del contenimento delle violazioni).

Giuseppe VINCI