Il porto di Gallipoli, un processo storico travagliato

Parte I

Con le note seguenti si vorrebbe proporre e condividere con i lettori di ANXA le risultanze del lavoro di ricerca da me condotto circa le vicende storiche del porto di Gallipoli.
La ricerca predetta scaturì dalle scelte per gli argomenti della mia tesi di laurea e dallo sviluppo di un precedente lavoro, avviato qualche anno fa, circa la compilazione di una scheda di catalogazione riguardante il faro dell’isola di S. Andrea di Gallipoli, valido esempio di archeologia industriale costiera presente sul territorio.
Partendo dal faro, il discorso si è naturalmente ampliato includendo anche il porto di Gallipoli, che rappresenta anch’esso un valido esempio di archeologia industriale costiera addirittura di rilevanza provinciale.
Pertanto con questo scritto si vorrebbe accendere i riflettori su questa importante realtà territoriale, promuoverne gli aspetti culturali ad essa connessi, stimolare eventuali strategia di recupero strutturali e di immagine, per rinverdire le passate opulenze storiche ed invitare a riflettere per cercare di smuovere l’attuale situazione di quasi totale stasi .
Buona parte del lavoro di ricerca (che, ovviamente, riguardava anche altri aspetti) è stata dedicata alla storia e alla ricostruzione delle fasi progettuali ed esecutive delle opere del porto che hanno, nel corso del tempo, cambiato la fisionomia della struttura, sino ad arrivare all’esecuzione dell’ultimissimo progetto che ha interessato l’ambito portuale della “Città Bella” e che gli ha conferito l’aspetto attuale: sarà della parte storica che traccerò una sintesi, sperando di non risultare noiosa, limitando l’escursus agli avvenimenti principali accaduti tra il XIIIV ed il XIX secolo.

Le premesse per la costruzione del porto

La carrellata storica che si propone, ovviamente, non può tralasciare alcune considerazioni sul contesto storico/ambientale che furono, come vedremo, le premesse determinanti dello sviluppo delle vicende storiche a tale contesto strettamente connesse.
Il porto di Gallipoli, prima che i vari lavori ne cambiassero la morfologia, era costituito semplicemente da un tratto di spiaggia di sabbia (un’idea sufficientemente realistica di quale potesse essere lo stato dei luoghi all’epoca è suggerita dalla situazione relativa all’odierna spiaggia della Purità), il cui lido si estendeva per meno di 100 metri di lunghezza e la cui superficie si sviluppava  per meno di 3.000 mq. (Fig. 1)
Essendo privo di banchina o di pontili non lo si poteva considerare un porto vero e proprio ma un semplice approdo. Nonostante ciò, nella sua rada si svilupparono imponenti traffici commerciali, tanto che esso fu compreso fra i più grandi empori del bacino del mediterraneo, centro di esportazione di tutti i prodotti della penisola salentina.
Dopo il porto di Brindisi quello di Gallipoli era il più importante porto della regione per quanto riguardava i rapporti con i paesi levantini, nonché per i collegamenti con la Spagna e con il Nord Africa; ma, verso la fine del XVIII secolo, rispetto al porto brindisino aveva una media di esportazioni 8 volte superiore e rispetto al porto di Taranto 5 volte superiore.
Il lavoro delle maestranze portuali era continuo e non si fermava mai, neanche durante i giorni festivi!
Persino la Casa Reale volle tributare a Gallipoli i meritati onori, e Carlo III, dopo l’istituzione del consolato del mare a Napoli capitale, decretò per Gallipoli analogo privilegio, unica città del Regno a ricevere questo attributo.
Come riferisce il Galanti(1), il Regno di Napoli nella seconda metà del Settecento si trovava impegnato in uno sforzo tendente a promuovere un’economia di mercato di ampio respiro che coinvolgeva agricoltura e commercio a livello internazionale.
Gli strumenti deliberati a sostegno di tale nuova politica economica/commerciale si concretizzarono attraverso interventi di risanamento degli scali del Regno, quasi tutti interrati ed impraticabili, ed il potenziamento del naviglio, quasi esclusivamente di piccolo/medio cabotaggio, ritenuto più idoneo alle vocazioni commerciali della realtà contingente.  

Tali ambiziosi progetti furono però frustrati e fortemente condizionati dalla scarsezza di fondi statali, che neanche il provvedimento di abolizione delle franchigie sulle gabelle agli enti ecclesiastici e i particolari dazi che i commercianti si auto-imposero riuscirono ad alleviare.  
La condizione di enorme precarietà e disaggio derivante dalle circostanze predette, si rendeva particolarmente evidente in Terra d’Otranto, dove, specialmente in Gallipoli, si accentrava la produzione e la commercializzazione dell’olio (d’oliva) lampante.
Infatti, quando il Galanti visita Gallipoli verso la fine del ‘700, vi trova circa 30 bastimenti di diverse nazioni del nord Europa che attendono di effettuare il carico sopra una spiaggia resa insicura dai venti di maestrale (Fig. 2).
Infatti l’Autore così riferisce: “[…] Le difficoltà per il carico e lo stivaggio sono enormi. Ordinariamente caricano sei bastimenti in un mese, ma a volte bisogna attendere sei mesi. […]”.(1)

Pressanti, furono le richieste della popolazione locale per ottenere strutture portuali adatte a supportare lo sviluppo della produzione e commercializzazione dell’olio e di altri prodotti dell’economia rurale del territorio, ma a lungo inascoltate sebbene il Governo (siamo intorno alla metà del ‘700) percepisse da 5000 a 7000 ducati per ogni carico, per un ammontare complessivo stimato su base annua di 600.000 ducati. (2)
Alle esigenze di ordine economico si aggiungevano, poi, le necessità correlate con la sicurezza dello scalo.
Vari furono i naufragi nella rada, che offriva praticamente solo un piccolo riparo ai vascelli:
I bastimenti erano costretti ad ancorarsi distanti dalla costa infida, per la presenza di scogli e bassi fondali, e provvedere al carico e scarico delle merci con imbarcazioni più piccole che facevano la spola tra la spiaggia dinanzi alle mura della Città e le navi.
Circa la pericolosità degli approdi, tra i tanti naufragi, quello avvenuto il 22 dicembre 1792 fu particolarmente terrificante e di esso rimane la magistrale descrizione fatta da Filippo Briganti(3) che scriveva:
“[…] dal fondo  del  golfo agitato  da  scirocco libeccio cominciò  a  sentirsi  un  terribile
ruggito di tristo annunzio del gran disastro che si andava preparando.
Ma venne a disputargli l’impero del mare un impetuoso maestro, che da un altro punto dell’orizzonte si scatenò con furia stupenda.      Quindi nell’aria scossa dal contrasto di due forze moventi venne a formarsi un turbine che mise in rivolta il mare.
Spuntò l’alba ed apparve un teatro di sciagure, di rovine incomprensibili. I bastimenti nazionali e stranieri in buona parte carichi del prezioso fluido (N.d.R. – olio), divenuti scherno delle onde, minacciavano di dissipare in un momento il ricolto di più anni.
Il porto coverto di naufraghi navigli presentava un oggetto di desolazione.[…]”.(4)
Dunque, la necessità di avere un porto sicuro, che potesse ospitare e proteggere i bastimenti che in questa località giungevano da ogni parte d’Europa, era di grande interesse per la Città, che sin dal medioevo vantava scambi commerciali assai intensi: con l’intensificarsi dei traffici, si fece sempre più incalzante la veemenza delle suppliche che dettero origine, come vedremo, al susseguirsi delle numerose proposte, ipotesi e progetti che furono formulati per cercare di rendere il luogo di attracco sicuro e vantaggioso.

Cronologia delle ipotesi progettuali per la realizzazione del porto di Gallipoli
Come già riferito, la città di Gallipoli aveva numerose volte reclamato al governo del Regno di Napoli il bisogno di avere un porto vero e proprio inviando molteplici suppliche, quasi mai recepite dal governo borbonico, che sembrava interessato unicamente ad incamerare tasse e gabelle provenienti dal florido commercio dell’olio.
Una di queste suppliche, particolarmente accorata, venne avanzata nel 1769 dal sindaco Balsamo al re Ferdinando IV, che, rimasto particolarmente colpito dalle efficaci argomentazioni del sindaco della città, inviò a Gallipoli l’ing. Barone D’Ogemont con l’incarico di studiare i luoghi, redigere un progetto pienamente rispondente alle necessità ed individuare le risorse necessarie alla realizzazione dell’opera.
Il progetto presentato nel 1773, come può evincersi dall’illustrazione di fig. 3, contiene elementi di assoluta modernità e soluzioni funzionali che solo molto tempo dopo saranno riprese e realizzate.     
Dall’esame delle ipotesi progettuali, spicca evidente, infatti, l’idea di voler realizzare un bacino ben protetto, con la creazione di opere a terra consistenti in un molo previsto lungo le mura cittadine, ed opere a mare consistenti in un molo esterno che, diramandosi dal torrione S. Giorgio e inglobando il prospiciente scoglio della Nave, si sviluppa in direzione Nord-Est ed, a coronamento del nuovo bacino, l’altro molo che a partire dagli scogli delle Uccolette si dirama in direzione Nord.  
A protezione del molo esterno, poi, si evidenziano le opere di difesa ad Ovest, consistenti nella messa in opera di una controscogliera appoggiata al vicino baluardo di S. Benedetto (fig. 3), che contribuiva a formare, tra il predetto molo esterno ed il molo sotto le mura, un ulteriore seno ben riparato dai marosi, antesignano del porticciolo di S. Giorgio.
Il Governo di Napoli ordinò alla città che si provvedesse a reperire i mezzi occorrenti a finanziare l’opera e tale incarico fu affidato a Filippo Briganti, che in una sua memoria indirizzata alle Autorità governative indicò una manovra economico-finanziaria da mettere in atto tramite una tassazione a carico dei beneficiari dell’opera, ossia armatori, commercianti, proprietari e fisco.
Ma il progetto del Barone D’Orgemont venne abbandonato per gli elevati costi di realizzazione.
In occasione della visita del re Ferdinando IV alla città di Gallipoli nell’aprile del 1797, il Briganti consegnò al re la Relazione sulla necessità della costruzione del porto, descrivendo i disastri provocati dal naufragio avvenuto nel 1792.
Il Re promise la realizzazione del porto, e al suo rientro a Napoli, assegnò all’ing. Carlo Pollio di Brindisi l’incarico di redigere un nuovo progetto per il porto di Gallipoli.(5)
Ma neanche questo progetto ebbe seguito.
Durante la parentesi napoleonica; poi, anche il Murat visiterà la città e farà promesse non mantenute.
Seguirà la restaurazione del Congresso di Vienna con il quale Ferdinando IV ritornò sul trono del Regno delle Due Sicilie con il nome di Ferdinando I.
Nel 1821 la Real Segreteria di Stato del Regno delle Due Sicilie accolse favorevolmente le ipotesi  avanzate dal Consiglio Provinciale di Terra d’Otranto per un nuovo progetto per il porto di Gallipoli.
La redazione di questo progetto, da eseguirsi sulla base delle soluzioni auspicate dal Consiglio Provinciale, fu assegnata all’ing. Capo del Ministero di Ponti e Strade ing. De Fazio,(6) che, dopo opportuna valutazione delle problematiche, congiuntamente al Ministero delle Finanze, bocciò le proposte (in fig. 4 la stato dei luoghi all’epoca).
L’ing. De Fazio, infatti, giunse alle seguenti conclusioni:
1)    le opere ipotizzate con le istanze avanzate dal Consiglio Provinciale di Terra d’Otranto, consistenti in un molo che, partendo dal bastione di S. Giorgio, andava a chiudere lo spazio intercorrente tra questo e lo scoglio della Nave(7) e dallo scoglio della Nave si prolungava in direzione nord-est, avrebbero provocato l’interramento del nuovo porto;
2)    il nuovo porto sarebbe risultato eccessivamente grande, di gran lunga superiore ai bisogni della città, e pertanto troppo dispendioso.
Lo stesso ing. De Fazio contrappose un suo progetto che era costituito da, (si riportano le parole e la descrizione dello stesso De Fazio) “[…] un molo presso a poco della figura di un quadrante che partisse dalla dritta delle mura della città, sarebbe bastante a difendere l’attuale porto dai venti del Nord e del Nord-Ovest […]”.(8)
In altre parole, il De Fazio proponeva di creare un molo che partendo dallo scoglio cosiddetto delle Uccolette (N.d.R. - attualmente occupato dall’edificio che ospita la Capitaneria di Porto e dall’edificio del ristorante Marechiaro) si sarebbe protratto all’interno della rada di Gallipoli in direzione nord.
Evidentemente con questo progetto l’ing. De Fazio intendeva ridimensionare drasticamente l’area portuale e lo sviluppo eccessivo di moli, per evitare di intraprendere un’impresa troppo costosa ma anche per accelerare i tempi di realizzazione del progetto stesso.
Ma a parte queste considerazioni, nel 1826, il progetto venne decisamente avversato dal Consiglio Provinciale di Terra d’Otranto, che continuava a ritenere la propria proposta la più idonea e commisurata alle esigenze della città di Gallipoli.

Tuttavia le regie Autorità rimasero ferme nell’intento di realizzare opere portuali di minore portata, e l’incarico per un nuovo studio venne affidato all’ing. Giura(9) che produceva un progetto simile, se pur non identico, a quello precedentemente ideato dall’ing. De Fazio.
Questo progetto, che soddisfaceva le esigenze economiche del governo borbonico ma che poco concedeva alle aspettative della città, venne approvato, con impegno di spesa di 105.000 ducati, con atto del Consiglio di Stato del 1830.(10)
Intanto saliva al trono del Regno delle due Sicilie Ferdinando II (8 novembre 1830).
Il ministro degli Affari Interni decise di ripartire l’importo di spesa predetto in quattro anni; erogò gli stanziamenti iniziali a copertura delle spese di progetto, ma subito dopo, per grave dissesto delle finanze pubbliche, sospese i fondi che vennero poi definitivamente bloccati nel 1835.
Ancora una volta le aspettative della città venivano frustrate.
La realizzazione delle opere del porto fu sospesa sino a quando nel 1842 il Direttore Generale di Acque e Strade, su ordine del Ministro degli Affari Interni, con Uffizio del 11 maggio 1842 n°1027(11) affidò all’ing. Ercole Lauria l’incarico di redigere un nuovo progetto definitivo, più ampio e migliorativo, che potesse risultare soddisfacente per le esigenze più volte espresse dalle Autorità cittadine.
In particolare, con il nuovo incarico, l’ing. Lauria doveva eseguire una perizia con la quale avrebbe dovuto indicare, oltre alle soluzioni di progetto, i lavori più urgenti da realizzare in modo da dare subito avvio all’opera.
Le suppliche del popolo gallipolino alla regia autorità del Regno Borbonico, rimaste sino a quel momento quasi inascoltate, trovarono nuovo slancio in occasione della visita in Gallipoli di Ferdinando II, avvenuta in data 16 settembre 1844.       
Il sovrano, costatando di persona le difficoltà di sbarco ed imbarco connesse con i bassi fondali del porto-rada e gli ulteriori ostacoli determinati dal lido sabbioso, al suo rientro in Napoli, promosse fattivamente lo sviluppo del progetto per la costruzione dell’agognato porto, da realizzarsi in massima parte con fondi da reperirsi localmente.
Allo scopo fu costituito, in data 7 aprile 1847, un Consorzio Provinciale per “l’Opera del Porto di Gallipoli”, costituito da alcuni rappresentanti della Deputazione Provinciale, un rappresentante dell’Intendente, dall’Intendente di Finanza di Terra d’Otranto, dal sindaco di Gallipoli ed alcuni sindaci dell’hinterland gallipolino.(12)
Alla sua costituzione, il Consorzio poteva usufruire di un fondo di 10.000 ducati.
Inoltre, venne stabilito che alla spesa per la costruzione del porto dovessero partecipare, come soci del consorzio, 46 comuni del circondario di Gallipoli e 16 comuni di quello di Brindisi.(20)
Nella riunione del Consiglio di Stato tenutasi il 10 maggio 1847, re Ferdinando II decretava la costruzione del porto di Gallipoli secondo il progetto dell’ing. Lauria, stanziando per l’opera la somma di 18.000 ducati.(13)
Al diffondersi della notizia, in principio fu diffidenza e dubbio, poi, avuta conferma certa della cosa, la città letteralmente esplose in chiassose espressioni di gioia.  
La gente, raccontano concordi tutti i cronisti e gli storici, si riversò per le strade a formare un lungo corteo che andava per la città mentre le campane di tutte le chiese di Gallipoli suonavano a festa.
FINALMENTE DOPO CIRCA UN SECOLO DI SUPPLICHE E DI PROMESSE FATTE E NON MANTENUTE, LA CITTA’ DI GALLIPOLI AVREBBE AVUTO IL SUO AGOGNATO PORTO.

(1) G. M. Galanti – “Della descrizione geografica e politica delle Sicilie” - a cura di F. Assante e D. DeMarco - Napoli, E.S.I. 1969
(2)  A. Mozzillo  “Gli approdi del Sud, Porti del regno visti da Philipp Hackert(1789-1793)”, p. 58;  Capone editore 1999
(3)  Filippo Briganti, patrizio “gallipolitano” (come amava definirsi) giurista e filosofo
(4)  F. BRIGANTI “Miscellanei”  Napoli  1818; dalla relazione presentata a Ferdinando IV con la quale si chiedeva la costruzione di un porto sicuro
(5)  da documenti della collezione/archivio privato di Vitantonio Vinci; F.Natali ”Gallipoli nel regno di Napoli, dai Normanni
      all’unità d’Italia”, Tomo I . p. 397; Congedo  Editore 2007    
(6)  D. De Rossi  ”Gli antichi porti del Salento e il loro sviluppo” p. 73 - Tipografia cav. Salvatore Martano, Lecce luglio 1968
(7)  Il predetto scoglio deve il suo toponimo alle circostanze che il bastimenti più grandi qui trovavano riparo e fondale  sufficiente
      per poter sostare in condizioni relativamente sicure.
(8)  D. De Rossi  ”Gli antichi porti del Salento e il loro sviluppo” p. 76 e 77 - Tipografia cav. Salvatore Martano, Lecce luglio 1968
(9)  da documenti della collezione/archivio privato di Vitantonio Vinci
(10)  da documenti della collezione/archivio privato di Vitantonio Vinci
(11)  Archivio di Stato di Lecce, Fondo del Genio Civile – b. 146, f. 830
(12)  D. De Rossi,”Gli antichi porti del salento e il loro sviluppo” p. 85;Tipogr. del cav. Martano, Lecce 1968
(13)  F. Natali – “Gallipoli nel Regno di Napoli, dai Normanni all’Unità d’Italia”, Tomo II p. 733; Congedo Editore 2007

Caterina MINERVA