14° parte
Scorgiamo di seguito lo scudo di
VINCENZO TAFURI
Varie sono le opinioni intorno all’origine dell’antica famiglia Tafuri, conciossiacchè chi la crede originaria di Spagna congiunta in parentela coi Conti di Wurtimberg, e chi dell’Albania, ove i suoi componenti erano grandi signori. Vero è non per tanto, che in questo Regno essa esisteva fin dal 1238, e singolarmente si era in Lecce stabilita, poiché ivi in quell’anno rinveniamo un Praefectus Arcis aulae Taphurus, e nel regio archivio della zecca folio 69 let.B si leggeva, che nel 1340 Bernardino Tafuri vendeva alcuni beni feudali.
Lo storico Summonte ci narra le sventure ricadute sovra Galasso Tafuri, poi perdonato dalla Regina Giovanna 2°. Francesco Tafuri fu nel 1482 Ambasciatore di Alfonso d’Aragona allor Duca di Calabria. Il Ferrari nella paradossica Apologia parla di Gio.Luigi Tafuri Barone di Pompiniano. Un tal Rinaldo del casato istesso morì in Lecce nel 1494. Il de Giorgi scrivendo delle famiglie Leccesi, ed elogiando la famiglia Tafuri fa menzione di un Cavalier di Malta appartenente a questa prosapia. L’Ammirato nella vita di Acquaviva loda l’amico di costui Bartolo Tafuri, e nella vita del marchese di Polignano III fa cenno di Antoniano Tafuri. Finalmente ritroviamo in Otranto il dottor di Leggi Raffaele Tafuri nel 1519.
Questa famiglia estendendosi con le ragguardevoli parentele contratte noi la ritroviamo in parecchi luoghi di questa Provincia decorosamente collocata. Uno a nome Michele fu Vescovo di Scala e Ravello. Gaetano Tafuri Tenente Colonnello del Reggimento di Otranto fu marito della Dama Marianna d’Aprile di Gallipoli, ed un Oronzio fu Colonnello e Comandante de’ volontarii di questa Pronvicia. I discendenti di costoro occuparono altresì superiori cariche militari.
Ma ritornando ad epoche più remote rinveniamo questa prosapia stabilita in Soleto, ed ivi nomansi Goffredo Tafuri Barone di Sant’Elia e di Sant’Agata; Francesco che fu Colonnello, e morì in guerra nelle Fiandre, e più Matteo celebre filosofo, matematico insigne, e naturalista, il quale fu dottorato in Parigi, insegnò nell’Università di Salamanca, per l’acquisto delle scienze peregrinò in tutto il mondo allor conosciuto, e quindi per amor del suolo nativo si ridusse in patria. Egli è da riguardarsi come il promotore in queste nostre regioni del risorgimento delle scienze e delle lettere. Furono molte le opere da lui scritte sopra svariati argomenti. Ma per la sua somma perizia nelle cose Fisiche l’ignara e credula plebe tenea per negromante. E pure questo medesimo pregiudizio del volgo valse alla memoria di Matteo onore singolarissimo, perocchè in un anno del secolo trascorso fu tenuta in Lecce solenne conclusione pubblicata quindi per le stampe sotto gli auspicii di Monsignor Sozi Carafa, nel fine di assodare, che il dottissimo Matteo era stato nella dottrina costantemente ortodosso, nelle pratiche e nelle azioni illibato e virtuoso. Or continuando a parlare de’ Tafuri di Soleto diciamo, che durante l’assenza di Giovanni di Brenna partito in Oriente per le Crociate, e che poi fu Re titolare di Gerusalemme, i Tafuri tenevano il governo di Soleto a nome di esso Giovanni che n’era in Conte, e che conservava Soleto come luogo di appoggio e di conforto. Essi furono i fondatori del Monastero de’ minori convenuali di Salerno. Quindi veggiamo un discendente di costoro a nome Onofrio dimorante in Matino per le possidenze di sua moglie Anna Saraceno, ereditiera di una brama di quel nome, dottorato in Roma con qualifiche onorevoli leggendosi nel Diploma “Clericus Honofrius Taphurus de Soleto filius Excellentissimi Doctoris Francisci clarissimo genere ortus”.
Fratello di Onofrio fu Domenico Tafuri dottorato in giurisprudenza, morto in Napoli nel 1699 Procuratore della Cesarea Maestà, ed ivi creò un altra famiglia. Poscia i discendenti di Onofrio si tramutarono in Gallipoli, dove fiorì il rinomatissimo Giureconsulto Donatantonio, che fu pure Principe perpetuo di una Accademia di scienze e lettere fiorente allora in Gallipoli, e così scorgiamo Sindaco nel 1789 Vincenzo Maria, ed annoverata la sua famiglia tra le patrizie di questa Città.
I Tafuri di Gallipoli contrassero parentele con Coppola di quì, con Basalù di Otranto, con Indelli di Monopoli, con Pappalettere di Barletta, e con altre nobilissime e distinte famiglie, tra le quali vogliam nominate le già estinte in Casa Tafuri, cioè la delle Castelle, la Curchi, e l’altra de’ Conti Arcudi, benemerita questa delle lettere, specialmente per le opere di Silvio, di Monsignor Francisco, e di Alessandro; opere che si conservano presso i Tafuri di Gallipoli. D.Vincenzo Tafuri Avvocato presso la Corte Suprema di Giustizia forma ora l’ornamento della repubblica letteraria per le sue alte cognizioni di giurisprudenza, di filosofia, di lingua greca e latina, storia, letteratura, teologia, e di ogni branca dell’umano sapere; di morale illibata, e distinto per allegazioni scritte a tutela de’ suoi clienti. Il saggio di prelezioni istorico giuridiche, che non ha guari pubblicò con le stampe, e le cui nozioni attinse dalle vere e pure sorgenti, chiaro palesano la verità di quanto noi diciamo.
Avea per antico stemma la casa Tafuri un albero di quercia in campo celeste. I due fulmini, che contro gli si scagliano e non lo percuotono simboleggiano l’avvenimento di Galasso Tafuri. In seguito lo scudo si vide quadripartito verticalmente ed orizzontalmente, e vi si frapposero una torre, un altro albero con due Leoni rampanti di oro, ed una fascia aurata da dritta a manca con in sù un’astra con tre cappelli rossi, stemmi questi improntati da altre famiglie, con le quali i Tafuri si congiunsero in parentele.
Ora veggiamo lo scudo di
FRANCESCO DI PAOLA SERGIO
La famiglia Sergio di Gallipoli trae origine da Soleto. Il giureconsulto Giuseppe dimorante in Martano impalmò la Dama Marianna Mazzuci di Benedetto, e per tal maritaggio fermò sua stanza in Gallipoli, e fe parte di questo patriziato. Pare dallo stemma ch’essa sia prosapia Romana. Le iniziali S.C. impresse sullo scudo palesano che appartenesse all’ordine Senatorio. In Roma esisteva la Casa Sergia. Foss’ella mai sopravanzata al torrente di tanti secoli, ed al ferro inesorabile de’ Barbari, che mieterono tante vite Romane? Il suo scudo propriamente è inquartato. Ne’ due quarti a manca in campo di argento sonvi due fascie aurate trasversali. Negli altri in campo celeste sono impressi all’inferiore un Leone rampante da dritta a manca, ed al superiore le iniziali accennate S.C. Tali simboli sono chiari distintivi di nobiltà, di ordine senatorio romano, di ordine cavalleresco del medio evo.
Dal mentovato Giuseppe nacquero Angelica, Concetta, e Francesco di Paola. Le due prime passarono in Casa di Rocci Cerasoli. Francesco di Paola impalmò Luisa Tafuri figlia del colonello Oronzio e d’Isabella Paredes de’ Baroni di Mollone. Egli ebbe un figlio a nome Ferdinando, cui diede in consorte Pascalina de’ Baroni Calò di Galatina. L’accennato Francesco di Paola fu Sindaco di Gallipoli negli anni 1801 e 1802.
Finalmente scorgiamo lo scudo di
GIOVANNI VALENTINI
L’Imperadore Carlo V con diploma del 12 Agosto 1548 crea suo domestico, familiare, e commensale Epaminonda Valentino di Calabria per i molti servigii resi nell’ultime guerre di Germania. Venuto Epaminonda in questa Provincia concede a suo figlio Carlo in isposa Giovanna Sambiasi Dama Leccese. Carlo divenuto Barone instituisce erede del suo Feudo di Castrì il primogenito Luca Giovanni, che acquista nel 1567 un altro Feudo detto di Affre ne’ dintorni di Campi, e colloca in matrimonio la sorella Girolama col gentiluomo Sertorio Capece Zurlo. Gli succede il figlio Giovan Pietro, che vende Castrì ed Affre, impalma Elisabetta Ventura, e procrea un figlio nomato Luca Giovanni, che congiunge in matrimonio con la nobil Casa spagnola della Cueva Castellana di Otranto. Dopo varie discendenze in linea retta, veggiamo i Valentini imparentar con Mezio nobil prosapia di Galatina, e finalmente Carlo Emanuele stabilirsi in Gallipoli, e collocarsi in matrimonio con la Dama Caterina de Tomasi, che reca al marito la pingue dote di Ducati 60mila in beni immobili. Carlo Emanuele procrea cinque maschi Giovanni, Epaminonda, Antonio, Alessandro, e Vito; il primo e l’ultimo divengono giurisperiti, Epaminonda ed Antonio monaci celestini dotti oltremodo, ma della scuola Volteriana, Alessandro Canonico di questa Cattedrale. Vito ebbe per figlio Epaminonda giovane di gran cuore, beneficente insino alla prodigalità, di squisita educazione, ed amabile sotto ogni riguardo; soffrì persecuzioni per vicende politiche, e la sua salute deteriorossi in modo che cessò di vivere nell’età più robusta. Egli lasciò un figlio in età giovanile a nome Francesco, da cui potrà riprodursi la nobil famiglia Valentini.
Il mentovato Giovanni Valentini fu Sindaco di Gallipoli negli anni 1822, 1823.
Lo stemma di questo casato è un Leone rampante coronato in campo celeste avente una spada nel destro pie’davanti; emblema di Epaminonda Valentini simboleggiante essere un guerriero dell’Imperador Carlo V, e che avea reso servigii alla possente Corona di quello.
Conclusione
Quì finiscono gli stemmi dell’antico patriziato Gallipolino. Ma udiamo intorno una voce: A qual pro’ tante ciance? Ove sta più quel patriziato? Ove le famiglie che lo componevano? Che valgono più quelle larve di scudi dipinti nella sdrucita sala del Comune?
Al che noi rispondiamo. Ov’è Palmira col suo tempio nel sole, con quelle fabbriche ammirabili per stile ed esecuzione, profuse d’orientali ornamenti, e che dava vita ad un immenso deserto? A qual pro’ Dawkins e Vood ne diedereo la descrizione e gli esatti disegni? Ove sono gli archi di trionfo, le statue, le iscrizioni, le mille quattrocento cinquanta colonne, i portici che guidavano a magnifiche tombe di marmo bianco rilevati a figure, e rabeschi? Oggi poche famiglie occupano capanne di fango fra il recinto del tempio di Palmira con intorno avanzi di grande rimembranza, di cui ignorano l’incommensurabile pregio, in mezzo ai quali Volney intuonava le sue Elegie, descrivendo i popoli come razza, che or si estolle ed or perisce sospinta dal caso, dalla forza, o dall’impostura.
Vitantonio VINCI