La coscienza cosmica dell'uomo II parte

Modelli archetipici
La precoce tendenza ad un coordinamento di tutti gli aspetti della natura, intesa come manifestazioni terrena di un’unica origine, di un’immutabile ed irriducibile essenza dell’universo, scaturiva da una mente evoluta di un uomo che, pertanto, si auto-eleggeva ad un essere capace di possedere le condizioni necessarie per il superamento delle situazioni, anche terrifiche, presenti nel mondo fisico. Egli, dal momento in cui era riuscito ad acquisire la coscienza di sé, che gli aveva permesso di non sottostare totalmente alle forze soverchianti della natura, aveva cominciato ad elaborare anche una logica necessaria a rendere intelligibile il mondo, a conoscerlo.

Riferendosi ad un ideale modello archetipico dopo i momenti più distruttivi poteva tentare di riordinarlo, di riparare le conseguenze del caos, fino a convincersi, così, di poter governare il caos stesso. L’essere umano si proiettava, in tal modo, mentalmente nel “luogo” in cui aveva coscienza di possedere anche una “coscienza ordinatrice”, una “peculiarità morale” tendente alla formazione dei valori, tanto di natura fisica quanto spirituale, tanto esterni quanto interni al sé.

L’elaborazione del mito e la diffusione degli archetipi cosmici servivano a rendere possibile la conoscenza e la spiegazione dei fenomeni, rappresentavano il segno tangibile del riferimento alle verità dell’origine, la concretizzazione dell’ideale che permetteva il superamento della soglia esistente tra la molteplicità degli aspetti sensibili della natura e il suo principio originario.
Il modello archetipico dell’universo assumeva, in questo processo, la funzione iniziatico-sacrale, il punto fisso di riferimento cui tendere, simbolo terreno di un ideale universale. Il percorso implicava l’evoluzione degli stadi di quella coscienza umana ordinatrice, tesa ad imitare l’operato, visibile sul piano del molteplice, dell’originaria Coscienza Creatrice, pur sapendo che questa corrispondeva all’inimitabile ed irraggiungibile prerogativa dell’assoluta, unica Singolarità di natura divina.

Una coscienza ordinatrice relativa
Risalire, oggi, agli albori della civiltà, recuperando i modelli cosmici di riferimento nelle varie epoche, non rappresenta un rifugio per sfuggire ad una realtà degradata ed invivibile, ma un mezzo per sviluppare le proprie potenzialità e porre la propria coscienza cosmica, tendenzialmente ordinatrice, al servizio dell’umanità.
Se non si è fatta tabula rasa di una millenaria cultura che ci appartiene e le cui informazioni sono criptate nel nostro DNA, vi è la possibilità di raggiungere la consapevolezza che in ognuno di noi vi sono delle facoltà naturali più estese di quelle che normalmente impieghiamo. Se possiamo accedere ad un sapere millenario che ci appartiene per diritto, abbiamo la consapevolezza di essere privilegiati e, facendo tesoro delle conoscenze acquisite sin dalle più remote civiltà, possiamo attualizzarle e promuovere stadi di avanzamento di idee e di esperienze, in un momento come questo, in cui molte certezze sono venute meno. Ritrovare una pienezza di vita del proprio essere attraverso il patrimonio culturale e spirituale della società cui apparteniamo significa acquisire la dignità propria, individuale e di gruppo, e su quella fare leva per il riscatto nei momenti di regresso della civiltà, in un’epoca come la nostra definita “Antropocene” dal noto chimico dell’atmosfera Paul J. Crutzen, per il grave impatto negativo che l’uomo ha avuto sulla natura, alterando la vita degli eco-sistemi e prevalendo sugli andamenti naturali armonici, propri delle condizioni dell’interglaciale Olocene.

Raggiunta una tale consapevolezza individuale e collettiva ogni individuo ha il dovere morale di confrontare le proprie azioni con i principi superiori universalmente convalidati nel tempo. Sono regole che governano l’essere umano, in quanto parte integrante di un inscindibile Tutto. Che l’uomo debba relazionarsi con l’universo cui appartiene è ormai idea acquisita, ma il concetto che ogni sua azione abbia ripercussioni su tutto il sistema risulta difficile accettarlo.
La consapevolezza che se continuiamo a modificare arbitrariamente l’ordine precostituito di una natura che ci governa dall’esterno e dall’interno o che se perseguiamo obiettivi circoscritti e personalistici, favorevoli solo a pochi individui o nazioni, rischiamo di essere travolti tutti senza scampo in un caos irreversibile dovrebbe farci convincere, invece, che è necessario modificare la rotta. Le metafore che paragonano l’operato del singolo individuo ad una goccia d’acqua che, unita alle altre, forma un oceano o ad un granello di sabbia, che insieme alla moltitudine di altri granelli costituisce un esteso deserto, trovano oggi corrispondenza nei principi fondamentali della Scienza del caos, espressi con funzioni matematiche e con dimostrazioni scientifiche proprie del linguaggio della più moderna conoscenza. Si tratta della teoria con la quale si sancisce che ogni elemento è un universo, partecipe attivo nel mutamento che interessa tutti gli infiniti universi a diversa scala dimensionale, con i quali esso è in relazione per un continuo, reciproco, adattamento. Tutti interagiscono tra loro armonicamente, ma quando in essi s’instaura un ordine caotico anche infinitesimale, il processo da semplice si trasforma in complesso ed è tale che, raggiunto un bivio, una biforcazione, risulta incontrollabile e il caos instaurato diventa irreversibile.

In tale scenario ogni sistema complesso vive in uno stato di equilibrio precario, dipendente dalle modificazioni, anche impercettibili, che incidono su di esso creando interazioni interne ed esterne che lo rendono partecipe delle sue sorti e del tutto ad esso interconnesso, dalle micro alle macrostrutture. Tali regole valgono in ogni campo, poiché ogni sistema dinamico complesso è aperto, tendente ad un equilibrio reso precario dall’instabilità che lo governa, la cui caratteristica lo fa oscillare tra i due poli di positività e negatività in risposta alle qualità degli elementi aggiunti o sottratti al sistema. Lo stesso vale per l’interferenza che il modello di riferimento determina sugli altri sistemi, adiacenti e lontani, nella reciproca coesistenza, pacifica o conflittuale, poiché l’influenza delle interazioni tra sistemi complessi in stato di equilibrio precario è estesa fino a limiti dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande.

La coscienza ordinatrice individuale
Se io sono qui, in casa mia e curo il “mio orticello” penso di non interferire con chi cura il “proprio” in casa sua e dormo sonni tranquilli nella beata inconsapevolezza di quanto il sistema universo paga in termini di energia, trasformata in entropia, a causa della mia pur legittima vita dinamica che mi è dato vivere su questa terra. La consapevolezza che siamo una goccia d’acqua che insieme alle altre forma un oceano deve stimolare, pertanto, la nostra coscienza ordinatrice, che se pur non ci permette di bloccare il processo irreversibile dell’entropia recuperando dal calore l’energia dissipata, ci esorta ad impiegare bene quella risorsa primaria, poiché quando il limite è colmo, la china verso il caos è irrevocabile e il sistema sfugge di mano a tutti. L’uomo può pensare che vi sono problemi che oggi non lo toccano, ma lo riguarderanno direttamente quando sarà raggiunto un punto critico di non ritorno, se non si prevengono le conseguenze arginando l’inesorabile andamento caotico instaurato nel sistema, prima che raggiunga la biforcazione-limite.

Se il mare inquinato sembra lontano non posso prenderne le distanze, perché non vi sono insormontabili barriere in un bacino fluido, come non ve ne sono nell’atmosfera per le particelle inquinanti. Se l’acqua dolce oggi è “salata” nel prezzo, domani potrebbe non essere necessario pagare ciò che non esiste più, essendo impossibile usufruire a lungo di quella fondamentale risorsa primaria della terra. Prima che l’andamento caotico delle cose e delle persone raggiunga il punto critico è necessario coordinare piani di sopravvivenza globale e agire oggi con maturità e lungimiranza, applicando una regola che è nella stessa natura, quella che annulla la miopia a favore della presbiopia nella fase di età avanzata dell’uomo, quella coincidente con la maturità dell’individuo, che non sempre, però, corrisponde ad un’accorta avvedutezza e ad una profonda, consapevole, cosciente e coscienziosa saggezza.

Marisa GRANDE