In un’epoca remota in cui nacque e si sviluppò la prima Lega Messapica, frutto di una coesione non solo politica ma anche economica e culturale dell’antico Salento, l’insediamento di Orra, che faceva parte della giurisdizione territoriale della Dodecapoli, rivestiva già un ruolo strategico fondamentale nell’ambito della civiltà japigia.
Secondo Erodoto, la città di Orra fu fondata dai Cretesi che le attribuirono il toponimo Hyrìa. I colonizzatori minoici, che erano scampati miracolosamente ad un naufragio mentre erano di ritorno dalla spedizione punitiva contro Càmico in Sykelia, si rifugiarono lungo i litorali salentini e fondarono un importante centro abitato unendosi con gli originali abitanti del luogo. La loro città divenne ben presto un caposaldo dell’intera regione peninsulare. Alcuni secoli dopo sopraggiunsero gli Illiri, che dettero all’antico insediamento maggiore importanza valorizzando la sua posizione strategica e la sua preminenza nell’ambito degli scambi commerciali che si propagarono sia all’interno del territorio salentino, sia all’esterno di esso. Hyrìa fu il crocevia della Terra di Mezzo (Metapa - Terra fra i due mari o meglio Terra oltre il mare). Nella “Corografia……di Terra d’Otranto”, l’Arditi parla di Oria come di una sede di re messapi e la definisce capitale della Messapia anche se Antonio Profilo, confutando tale tesi, sostenne che se c’era una città che meritava quel ruolo era certamente Tyrea, posta tra Orra e Mesania, rasa al suolo dai Goti nel VI sec. d.C. Facendo affidamento alla sua posizione geografica, la Tyrea del Profilo corrisponderebbe probabilmente all’attuale sito archeologico di Muro Tenente, riportato da alcune fonti epigrafiche come la messapica Skamnion.
È pur vero, comunque, che Orra fu una delle città più forti e meglio organizzate della Dodecapoli Messapica, se si pensa che la sua monumentale reggia era ancora imponente nell’età augustea.
Lo stesso castello federiciano poggia le sue basi sulle fondamenta dell’antico palazzo del re curione o dýnastes di Orra. La posizione geografica di questa città fu determinante nello sviluppo dei traffici mercantili lungo l’istmo Brindisi-Taranto. La frequentatissima Via Appia (la messapica Via Brentyria) ne testimoniò ampiamente la sua importanza.
Un altro percorso viario passava un po’ più a sud di Orra; si trattava dell’antica via interna del Salento, detta anche da qualche studioso Via Acheorum, una strada che aveva origine nei pressi di Torre S. Stefano, vicino ad Otranto, e attraversava quasi tutta la penisola lambendo Cavallino (Sybar), Rhudia, la stessa Orra e Mesochoron (Grottaglie) per arrivare a Metaponto. Una sezione di essa, sulla cui direttiva era sorta la stessa Rhudia e successivamente Lupiae ed altri insediamenti minori, fu poi utilizzata, ricorda Stradone, come un’utile scorciatoia per raggiungere rapidamente la Via Appia. Nei secoli successivi, lo stesso tratto fu fortificato per essere inglobato nel cosiddetto Limitone dei Greci.
Si può costatare, quindi, che Orra fu il centro nodale dei transiti da e per il Salento e costituiva un vero punto di riferimento nell’assetto viario dell’antica Messapia. Come ho già affermato, essa ebbe indubbiamente un ruolo prioritario in seno alla Confederazione delle Dodici Città. L’Errico, parlando di Orra e della Foresta Oritana, sosteneva che il territorio circostante era immenso ed interessava una vasta area del versante nord-occidentale. Orra, comunque, rimase per lungo tempo una grande città messapica che seppe arginare l’espansione tarantina verso la penisola salentina. Le fonti storiche antiche e moderne ed i rinvenimenti archeologici riferiscono sì di rapporti commerciali con il mondo magno-greco e l’Ellade stessa, ma costituiscono, nello stesso tempo, testimonianza dell’indipendenza e dell’autonomia di questa grande città-stato della Messapia.
Orra fu inoltre meta di molti pellegrini che seguivano il culto di Damatra Orrana. I riti tesmoforici, connessi con la ciclicità della vegetazione, con la forza rigeneratrice e quindi con la rinascita, richiedevano un’adeguata partecipazione ed una supina fedeltà dei visitatori alla divinità. Il complesso rituale misterico era noto per aver portato buoni frutti non solo materiali, ma anche spirituali a tutti coloro che lo praticavano. I partecipanti recavano torce crociate e nastrini variopinti annodati alle loro chiome. Lo jerofante li accoglieva davanti alla statua della dea e poi li destinava alla tabara per l’iniziazione, che poteva essere individuale o di gruppo. A coloro che erano ritenuti idonei ad approfondire i misteri damatriaci era concesso di addentrarsi in un ambiente oscuro sotterraneo o katabasion per un contatto più diretto con la divinità. La pratica ritualistica tendeva, secondo i diversi gradi d’iniziazione, a far concepire la risalita di Persephone al mondo superiore come la promessa della resurrezione. I praticanti, consapevoli che l’anima, priva di coscienza, avrebbe conosciuto il segreto della vita e della morte, si sottoponevano, quindi, al processo di purificazione attraverso una trance controllata dagli adepti. Essi erano poi risvegliati dalla tabara con un efficace antidoto. Quasi tutti quelli che uscivano da quel viaggio provavano un senso di sollievo ed una rinnovata fiducia nella vita. Silvio Cataldi in “Atene e l’Occidente: trattati e alleanze dal 433 al 424” dagli “Atti del Convegno Internazionale di Atene, 25-27 maggio 2006”, mette in rilievo l’importanza che ebbe un decreto, firmato dallo stratega Lampone, in merito alla tutela e alla valorizzazione dei siti cultuali dedicati a Demetra e Kore in chiave antipeloponnesiaca. L’intera ordinanza era di fatto intesa a promuovere la centralità del culto attico della dea delle messi, soprattutto in zone e città costituenti punti chiave del conflitto, oltreché in regioni, come l’Italia meridionale e la Sicilia, dove il teatro bellico minacciava di estendersi. È ovvio che, secondo una tale ottica politica, Orra era considerata come un invalicabile baluardo cultuale antitarantino.
L’antica reggia di Orra è stata, inoltre, considerata da alcuni illustri studiosi come la vera sede di re Arthas. Una tale ipotesi potrebbe essere vera, ma le fonti epigrafiche riportano il suo nome in diverse altre città. Il Messapíon Basileús (il re dei Messapi) o l’Artas mégas kaì lampròs (Arthas grande e splendido dal Lessico di Esichio) avrà probabilmente avuto più di una dimora regale, se le fonti parlano di un dýnastes dell’intera Messapia. La sua dignità di signore delle genti messapiche fu palese in qualità di Athenaíon Xénos alle isole Kéradi (che secondo alcuni ricercatori farebbero corrispondere all’Isola Grande e Isola di Sant’Andrea di Gallipoli), dove egli dette il benvenuto ai navarchi ateniesi Alcibiade, Nicia, Làmaco, Demostene ed Eurimedonte nel 415 e nel 413 a.C. Arthas sostenne la loro campagna militare contro Siracusa con adeguati reparti di lanciatori di giavellotto e scorte di viveri in abbondanza. È da supporre, quindi, che il re messapico estendeva la propria giurisdizione su territori ben più vasti per potersi arrogare il diritto di agire in prima persona e con l’autorità che competeva solo ad un grande egemone della Messapia.
È pur vero che non ci sono attestazioni documentali che farebbero pensare ad Arthas come ad un re assoluto dell’intera Messapia, ma, sulla base di quanto narrato da Tucidide nella “Guerra del Peloponneso”, fu senza dubbio il capo più carismatico, una figura simbolica per tutti gli abitanti della Sallentina. La sua sovranità fu riconosciuta dai massimi esponenti della politica ateniese di fine V sec. che onorarono, insieme a lui, quell’antico patto di amicizia (palaià philía) che legava i Messapi e gli abitanti della capitale attica da diverso tempo.
La collocazione topografica dei rinvenimenti dell’antroponimo Arthas è varia. Le epigrafi più evidenti sono quelle provenienti da Ugento, Alezio, Brindisi, Mesagne, Oria e Manduria. Queste città messapiche furono in un certo modo tutte collegate con il famoso dinasta e certamente ne perpetuarono la sua fama nel tempo attribuendo il suo nome ad altri suoi discendenti.
È indubbio, comunque, che ulteriori studi e nuove ricerche archeologiche potrebbero gettare luce sulla veridicità del più importante personaggio della storia messapica e dei suoi rapporti con le città del Koinòn messapico, compresa la vetustissima Orra.
Fernando SAMMARCO