Sono trascorsi pertanto ben cinque secoli da quel lontano 1508, evento che ha stretto legame con la comunità galatea ed è anniversario cinque volte secolare che coincide con l’altro importantissimo della composizione del De Situ Iapygiae di Antonio Galateo De Ferrariis in cui il condottiero macedone venne giustamente esaltato. Giovanni Granai Castriota, nato il 1468 da Bernardo e da Maria Zardari, era cresciuto alla corte aragonese di Ferrante I, Alfonso II, Ferrandino e Federico, nel periodo dei più aspri contrasti con i baroni, le invasioni turca e veneta del Salento, e signanter il decennio di guerriglia con i francesi di Carlo VIII, a cavallo dei secoli XV e XVI, maturando la sua potente personalità in mezzo a lotte, complotti, e tradimenti, ma anche in irresistibili alcove. Ben presto si era affermato quale brillante dongiovanni, cortigiano ed intrinseco della regina Giovanna, e compagno di adolescenza dell’ altra Giovanna, giovane figliastra della prima e vedova triste reyna bisognosa anch’ella d’affetto. Nominato vescovo di Mazara, Giovanni fu soprattutto audace condottiero e tenace difensore di Castellaneta, Gravina, Taranto da dove corse in aiuto di Gallipoli che poteva essere espugnata da un momento all’altro, e, rianimatala, la salvò,battendo ripetutamente gli assedianti che inseguì con successo fino quasi alle porte di Galatone.
L’umanista Antonio Galateo, che fu legato a quella casata, ricordò le imprese eroiche dei vari Castriota, e le vittorie di Giovanni nel citato De Situ Iapygiae e in due epistole dirette ai fratelli Alfonso e Giovanni, e a Pirro figlio di quest’ultimo.
Da Taranto indotta alla resa con l’inganno, l’intrepido Giovanni Granai era accorso, a Gallipoli, nonostante lo sconsigliassero da più parti, siccome la città ionica correva imminente pericolo di cadere in mani francesi, anche per la scelta discutibile del gran capitano Gonsalvo de Cordova di arroccarsi a Barletta. Gallipoli e dintorni rappresentano una pagina gloriosa e poco nota della storia nostra salentina di cui fu il Granai protagonista assoluto col suo provvidenziale arrivo che valse a salvarla in extremis e successivamente ad avviare la riscossa dai francesi e la liberazione di tutto il Salento. Galateo scrisse in proposito : << La città si trovava in una situazione estremamente critica, ma si rincuorò all’arrivo di Giovanni Castriota(…); questi<<aggregati a sé un certo numero di transfughi e fuoriusciti delle vicine città i quali seguivano le parti degli Aragonesi, spesso operò delle sortite da Gallipoli e inflisse ai Francesi diverse sconfitte, salvando la città >>.
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Il 1503, l’anno della celebre Disfida di Barletta e della conclusiva battaglia di Cerignola (28 aprile 1503), nella quale trovò la morte il comandante in capo dell’esercito francese Luigi d’Armignac duca di Nemours, anche Galatone, posta fra Gallipoli e Lecce, e stretta nella tenaglia francese dei Del Balzo di Nardò e di Parabita, era stata dapprima espugnata dai francesi e di lì a poco ripresa dalle forze del Cattolico. Si legge al riguardo:“E nel 1503 essendo venuta in potere di Ferdinando il Cattolico,gli fu tolta da Nemursio francese capitano di Ludovico XII re di Francia ,e dopo ripigliata dal Gran Capitano”. Dove colui che la ritolse ai francesi del Nemours fu, non il Gran Capitano, ma Giovanni Granai Castriota.
Questa impresa militare ed i pericoli ad essa connessi motivano la sua devozione e la dichiarata intenzione di fondare una chiesa in onore di San Sebastiano, in questa città a lui cara per ragioni affettive e signorili. A Galatone da una ragazza di Casa Mele era nato il figlio Pirro durante l’ invasione francese. Ma l’epigrafe posta sul tempio di San Sebastiano, che è datata 1500, ne esce smentita. Per l’ovvia ragione che un cantiere di edilizia sacra non poteva essere operoso durante l’infuriare della guerra nel contado, e mentre fazioni di cittadini si affrontavano in armi in un clima di guerra civile che investiva Lecce e provincia, la quale finì il 30 gennaio 1507 con l’indulto generale di Ferdinando il Cattolico. Nel 1500, al più, il Granai espresse nel pieno della guerra una promessa devozionale accompagnata da intenzioni fondative, ma il voto venne sciolto molti anni dopo, e non da lui.
Molto probabilmente lo sciolse sua figlia Maria la quale nel 1522 era diventata titolare della contea di Copertino, baronia di Galatone, e degli altri feudi paterni col sostegno di Pirro e del tutor -zio Alfonso Granai. Prima a Galatone, in seguito a Mesagne, la Casa Castriota volle immortalare,
nei rispettivi portali di due chiese domenicane, le gesta eroiche del proprio congiunto. L’iscrizione “CASTRIOTA DOMUS”, graffita in un cartiglio ma invisibile a occhio nudo, ce ne offre una prova consistente. Non è inverosimile che le spoglie del glorioso condottiero, circondate dall’aureola e dal mito, abbiano trovato l’ultima ospitalità in San Sebastiano, né che il fregio trionfale che sormonta il portale della chiesa abbia costituito il pannello di un eventuale sarcofago- mausoleo dell’eroe albanese. Ipotesi che aspettano conferma.
Quanto al bassorilievo è chiaramente la storia del trionfo del condottiero; un corteo in onore del vincitore che fa il proprio ingresso nella sua città dopo la vittoria riportata sui nemici francesi.
Osservandolo attentamente, si vede che esso è affollato da trentatre figure scolpite in rilievo che si snodano lungo un corteo trionfale che si muove da destra verso sinistra. Dopo aver attraversato un arco, o piuttosto una porta urbica, il corteo procede verso una struttura scandita in tre ordini, verosimilmente un castello; porta e castello appaiono configurate quali schematizzazioni emblematiche di monumenti dell’Urbe che rinviano allegoricamente all’arco di Costantino e al Colosseo; sicuramente il percorso classico dei trionfi dei Cesari.
Al centro della parata un carro tirato da due magnifici cavalli e, maestosamente assiso sul trono, al centro del carro, l’eroe cui il trionfo è dedicato, il quale impugna nella destra il bastone del comando. Nonostante le operazioni di smontaggio e rimontaggio fatte nel 1712, al tempo della ricostruzione della chiesa, il portale cinquecentesco di Galatone è uno dei prodotti migliori della scultura rinascimentale salentina, che fa pensare seriamente a Gabriele Ricciardi.
Un analogo portale sta a Mesagne nella chiesa domenicana dell’Annunziata, opera autografa di Francesco Bellotto di Nardò che lo eseguì nel 1555. Antonio Franco, nel 1960, vi colse forti analogie artistiche con quello di Galatone, tanto da attribuire anche quest’ultima opera allo scultore neretino.
Ma senza riuscire a spiegare con convinzione una divaricazione temporale di ben 55 anni, quanti ne sarebbero corsi appunto tra le due committenze domenicane di Galatone(1500) e di Mesagne(1555).
Secondo recentissimi studi, nostri e di altri, la forbice si può restringere di almeno una ventina d’anni, con la conseguente datazione del bassorilievo di Galatone al 1530-1535, e l’agevole superamento del problema di incompatibile longevità artistica del Bellotto. Studi supportati dagli avvenimenti storici coevi galatonesi e salentini. Ma ultimamente la studiosa Clara Gelao, attribuendogli la sgraziata Madonna in trono della chiesa galatea dell’ Odegitria, ha espresso fortissime riserve sulla valentia artistica di Bellotto e negato al neretino la paternità del sopraporta di S.Sebastiano. Francesco Bellotto o Gabriele Riccardi, o altrì, seppe richiamare nel fregio, ad ogni modo, la maniera di Andrea Mantegna e del suo poderoso modo di ricreare << in immagini verosimili e coerenti la potenza e la civiltà dell’ antica Roma>> con i suoi Trionfi di Cesare dipinti a Mantova per Ludovico
Gonzaga tra 1484 e 1499. L’autore del corteo galatonese, chiunque sia stato, aveva invece realizzato il lavoro, tenendo fra le mani un ciclo di disegni eseguiti nel 1503 da Benedetto Bordon, miniatore padovano operoso a Venezia, poi trasformati in xilografie dall’incisore Jacobus Argentatorensis, meglio noto come Jacobo da Strasburgo. Disegni che sono quasi sovrapponibili alle immagini lapidee tanto da far dire ad uno studioso recente che <<lo scultore nel momento in cui scolpiva, aveva proprio tra le mani o un repertorio di disegni tratti dalla serie, oppure l’intero ciclo xilografico dell’ Argentatorensis>>. Chiunque ne sia stato l’autore, egli ha legato il proprio nome al mito di Giovanni Granai Castriota, il prode barone albanese diventato barone di Galatone nel 1508, ponendo in ulteriore risalto un gioiello della scultura rinascimentale del Salento di cui la città di Galatone dovrebbe menar vanto, e custodire con orgoglio e gelosia.
Vittorio ZACCHINO