Spagna Marocco
“On ne voyage plus pour découvrir mais pour visiter”
Matthias Debureaux «De l’art d’ennuyer en racontant ses voyages»
Tutto procede bene poi, a 40km da Bari, noto un trafilamento d’olio sul tappetino nero della pedana;con un movimento maldestro del piede devo aver rotto la bolla di controllo del livello dell’olio del miscelatore. È una fortuna che me ne sia accorto in tempo: senza olio nella benzina il motore inevitabilmente si grippa. Da questo momento e per tutto il viaggio sarò costretto a fare la miscela manualmente. La sera, alle 18.30, sono a Roma. Trascorro la notte in un appartamento concessomi gentilmente da un amico. La Vespa è al riparo in un piccolo ristorante gestito da un salentino. All’alba, quando vado a prelevarla, il padrone mi dice che durante la notte dei ladri sono entrati nel locale attraverso la griglia che dà aria alla cantina ed hanno prelevato l’incasso del giorno prima. Col cuore in gola controllo se le mie cose sono al loro posto: nulla è stato toccato. Esprimo rammarico al mio gentile ospite per quello che è successo, lo saluto e parto alla volta di Civitavecchia. Ad un incrocio, benché io goda del diritto di precedenza, un ragazzo che guida una city car viene verso di me con la ferma volontà di farmi cadere; deve essere certamente sotto l’effetto di droghe; evito l’investimento per un pelo. Riverso sul ragazzo un fiume d’insulti e la mia collera è talmente tanta che gli romperei volentieri la faccia.A Civitavecchia mi imbarco per la Spagna; sulla nave, all’ora di cena , quattro camionisti seduti accanto al mio tavolo parlano dei problemi della categoria. Uno di loro dice di abitare a Gallipoli; mi presento e in nome della conterraneità intavolo una piacevole conversazione di qualche ora, per ingannare il tempo. Il 5 marzo, nel primo pomeriggio, sono a Barcellona. Pensavo di essere nella “caliente Spagna” ed invece mi ritrovo a dover viaggiare con un freddo bestiale. Indosso la calzamaglia, pantaloni invernali,un maglione pesante, la giacca da motociclista; proteggo le mani con guanti di pelle e, sotto il casco, ho un passamontagna, ma tutto si rivela inutile. Un vento glaciale mi sferza e non mi darà tregua per i 1200 km che mi separano da Gibilterra e che percorrerò in 2 giorni e mezzo. Trascorro la mia prima notte in Spagna su un’area di sosta dell’autostrada dove, tutto tremante di freddo, ho montato la tenda. La seconda notte preferisco passarla in un alberghetto di un paesino, a ridosso dell’autostrada. Quando la strada abbandona la costa per correre un po’ più all’interno, la cima delle montagne è ancora innevata; il vento sempre più gelido spazza violentemente la campagna, sradica grossi cespugli oramai rinsecchiti e li fa rotolare vorticosamente. Ad un certo punto, un gigantesco rovo mi attraversa la strada e mi si attacca al parabrezza, impedendomi la visuale. Qualcuno dietro di me lancia un grido di paura ed io mi vedo già per terra; una provvidenziale folata di vento spinge via il rovo che continua la sua folle ed inutile corsa in aperta campagna, sulla mia destra.
Ad Algeciras faccio il biglietto per il Marocco e la sera del 7 sono già a Tangeri. La città e il suo porto sono profondamente cambiati; chi vi arrivava appena 15 anni fa, era costretto a subire gli assalti di procacciatori d’affari , di false guide, di spacciatori e doveva, non senza fatica, tenere testa alle insistenti e decise richieste di denaro di poliziotti e doganieri. Ora, Tangeri è un porto tranquillo, ordinato e soprattutto ben organizzato. E’ buona regola in Africa non viaggiare di notte perchè i rischi di cadere per le cattive condizioni delle strade,di investire qualcuno o di essere investiti sono davvero reali. Decido quindi di trascorrere la notte a Tangeri. Scovo un piccolo albergo in una traversa del lungomare; la camera è arredata in modo semplice ma è pulita. Comunque, non mi fido delle lenzuola e stendo sul letto il mio telone da pioggia e il sacco a pelo (cosa che farò in tutti gli hotel nei quali mi fermerò per dormire nel corso del viaggio) poi esco per andare a mettere qualcosa sotto i denti in uno dei ristoranti del lungomare. Dopo una cena non entusiasmante, sarei tentato di vagabondare tra le stradine della medina per ritrovare il fascino della Tangeri di un tempo che tanto aveva colpito , a partire dagli anni ’30, artisti e scrittori del calibro di William Burroughs e Paul Bowles, i quali avevano portato avanti una folle ricerca estetica tra sfrenatezze e trasgressioni di ogni sorta.
Sono molto stanco e decido di ritornare in albergo. Nella hall ritrovo il portiere di notte, un simpatico vecchietto con il quale mi fermo a conversare e al quale chiedo se ha delle sigarette da vendermi. Mi dice che se voglio andrà a comprarmene un pacchetto. Gli dò dei dirhams e gli dico di comprare due pacchetti delle sigarette che preferisce, uno per me ed uno per lui.
Alle 7 del mattino, dopo un breve colazione sono già sulla strada per Meknès, prima grande città del Marocco distante da Tangeri 206 km. e dove mi fermerò per qualche giorno ospite di amici.Sono davvero felice di essere in Marocco, un paese che conosco molto bene avendolo percorso in lungo e largo nel corso degli ultimi 15 anni.E’ una terra meravigliosa caratterizzata da paesaggi di incredibile varietà e di straordinaria bellezza: le lunghe ed ampie spiagge della costa atlantica,le montagne dell’Alto e Medio Atlante, le dune di Merzouga ,le oasi fortificate e il deserto verso il confine algerino. Non meno affascinanti sono le città con le loro medine dalle strette stradine che formano veri e propri labirinti dove ci si smarrisce facilmente.Rabat, Fès,Meknès e soprattutto Marrakech suggeriscono al viaggiatore sensazioni odorose e visive che difficilmente dimenticherà. Ma quello che ti colpisce di più in Marocco è certamente la cordialità e il senso di ospitalità della sua gente, la quale ha verso lo straniero una specie di venerazione. Più di una volta, alla mia richiesta di informazioni circa un posto tranquillo dove poter montare la tenda per trascorrere la notte, mi è stato risposto:”a casa mia”.
Negli utimi 20 anni il Marocco ha fatto passi da gigante dal punto di vista economico e sociale ed i cambiamenti si vedono ad occhio nudo.Anche per quel che riguarda la democrazia e il rispetto dei diritti civili, il paese ha avuto enormi progressi. Tuttavia, dopo circa 40 anni di dittatura di Hassan II, il paese conserva ancora vivo il ricordo delle sue durissime repressioni..Hassan II giunge al potere il 3 marzo 1961,alla morte di Mohammed V. La trasformazione del suo governo in potere assoluto è immediata. Nel dicembre del 1962, fa adottare una costituzione su misura in cui il re ,“comandante dei credenti”, è una personalità inviolabile e sacra. Un’azione repressiva si abbatte sull’opposizione di sinistra, seguita, dopo le sommosse di Casablanca nel 1965, da un decennio di regime repressivo eccezionale. Il 29 ottobre dello stesso anno, Mehedi Ben Barka, capo dell’opposizione della sinistra e guida carismatica del terzomondismo, viene rapito da sicari inviati dal re e segretamente assassinato. In seguito il pericolo per Hassan II verrà dall’esercito. Il 10 luglio 1971,un primo tentativo di colpo di stato fa più di cento morti nel palazzo reale di Skhirat. Il 16 agosto il generale Mohammed Oufkir organizza un attacco aereo contro l’aereo del sovrano di ritorno in quel momento da un viaggio in Francia. Ogni volta il re si salva e la sua vendetta dà lavoro al boia e riempie le prigioni dello stato, ufficiali o segrete. Nel 1975, la “Marcia verde”,cioè l’occupazione pacifica da parte di migliaia di marocchini del Sahara occidentale gli forniscono l’occasione di rifare l’unità della nazione attorno alla sua figura,organizzando tra l’altro una sorta di culto della personalità. Bisogna aspettare gli anni novanta perché il regime cominci lentamente a liberalizzarsi. Le riforme costituzionali del 1992 e del 1996 attenuano il carattere assolutista della monarchia. Nel febbraio del 1998, infine, Hassan II nomina l’ oppositore di sempre,il socialista Abderrahaman El Yousoufi, al posto di Primo ministro col compito di assicurare l’alternanza. Temibile manovratore,sempre a suo agio nel gioco diplomatico regionale ed internazionale, Hassan II, al quale nulla era vietato, soprattutto i piaceri di una vita di lussi sfrenati, ha deciso a lungo,nel bene e nel male, sui destini di un intero popolo.
Modernizzatore e tradizionalista, feudale e politico accorto, fine stratega conciliante Occidente ed Oriente , ma capace anche di arbitri e di estrema crudeltà, Hassan II lascia a suo figlio, Mohammed VI, un Marocco ben organizzato ed unito. Ma anche un regno in cui le disparità sociali e le ineguaglianze restano vive. Contrastata e contestata la sua eredità farà sentire ancora per molti anni il suo peso.
La prime volta che avevo visitato il Marocco ero stato ammaliato dalle sue bellezze, dai suoi profumi,dal calore della sua gente. Mi era sembrato un paese pieno d’incanto ed in forte progresso, un paese destinato ad avvicinarsi rapidamente all’Occidente. Ma il mio iniziale entusiasmo si era smorzato quando m’era capitato tra le mani il libro- denuncia Notre ami le roi del giornalista francese Gilles Perrault, in cui si faceva il bilancio angosciante di 30 anni di regno e di torture di Hassan II, a due passi dall’Europa. Così scriveva Perrault nella presentazione del suo libro:” Il suo regno sarà ben presto trentennale, ed egli è l’amico della Francia, dei suoi dirigenti, dei suoi industriali, delle sue elite di destra come di sinistra. Re del Marocco, Hassan II simbolizza per molti occidentali il modernismo e il dialogo in terra d’Islam. Ma queste apparenze suggestive nascondono il giardino segreto del monarca, l’ombra dei complotti e dei prigionieri, delle torture e degli scomparsi, della miseria. Egli regna, padrone di tutti e di ciascuno, colpendo con la repressione, sporcando con la corruzione,imbrogliando con la frode, piegando con la paura. Se non ha inventato il potere assoluto, il suo genio è consistito nel rivestirlo di orpelli atti ad ingannare coloro tra gli stranieri che non chiedevano altro che quello. La sua “democrazia” conosce una media di quattro processi politici all’anno, più di cento dall’indipendenza, con, ogni volta, un’infornata di militanti condannati a morte o a secoli di carcere. Torture del derb Moulay Cherif (la famigerata centrale di polizia di Casablanca), i morti-viventi di Tzmamart (prigione segreta costruita in pieno deserto per rinchiudervi o, per meglio dire, per seppellirvi cinquantotto tra ufficiali e sottuficiali, soldati semplici ed aviatori implicati in un attentato al re )il calvario dei figli di Oufkir, la notte degli scomparsi sahraouis… La paura è l’armatura del sistema. Come l’inferno, essa ha i suoi cerchi. Chi vi è rinchiuso, qualunque sia la sua sorte, può star sicuro,che qualcun altro ha conosciuto di peggio.” Il libro di Perrault che avevo letto 3 volte aveva suscitato in me una fortissima impressione. Poi, per saperne di più, avevo letto le testimonianze dei sopravvissuti al terrore quali Tazmamart Cellule 10 di Ahmed Marzouki, in cui questi narra le sofferenze patite nei 18 anni trascorsi nella cella numero 10 di Tazmamart.Ritenuto colpevole di aver partecipato al complotto ordito per uccidere il re a Skhirat, così racconta Marzouki il suo arrivo a l bagno di Tazmamart: “ Non appena la pesante porta di ferro fu chiusa l’angoscia che avevamo provato nell’oscurità e l’isolamento delle nostre celle fu immensa. Minuti atroci durante i quali la maggior parte di noi furono presi dal panico o invasi da una disperazione infinita che nulla poteva attenuare. Gli uni avevano l’impressione di essere stati scaraventati in fondo ad un baratro, mentre altri trovarono che la loro cella somigliasse stranamente alla famigerata “Habs-Kara”, una prigione costruita a Meknès da Moulay Ismail, in cui coloro che vi entravano non avevano alcuna speranza di uscirvi.. Altri ancora pensavano che li si stesse seppellendo ancora vivi.” Marzouki descrive la sua cella:”…probabilmente esse erano tutte della stessa grandezza, misurando approssimativamente tre metri di lunghezza per tre di larghezza. Il soffitto era a circa 4 metri dal suolo. A ridosso del muro opposto alla porta della cella, cioè ad una distanza di 2,5 metri, era stata costruita una grande lastra di cemento alta e larga un metro. Su questo parallelepipedo duro e freddo avremmo trascorso più di 6550 notti.
Nel paese dell’arbitrio, a Tazmamart si poteva finire da innocenti e senza conoscere mai il motivo della propria condanna. I fratelli Bourequat conducevano un’esistenza calma ed agiata nel regno del Marocco degli anni ’70; parenti del re, godevano a corte di un certo credito che utilizzavano per i propri ed altrui affari. Per aver ricevuto il segreto di un complotto contro il sovrano, progettato da Dlimi,l’uomo forte del regime e temutissimo capo della polizia,con l’appoggio di un gruppo di politici e di militari , per averne avvisato il re, prove alla mano, furono consegnati nelle mani di uomini di un’infinita crudeltà. Al di là di ogni aspettativa, Hassan II preferì non punire il traditore, ma neutralizzarlo coinvolgendolo maggiormente nel governo del Marocco dopo avergli rivelato tutto ciò che aveva saputo. E, come premio della sua magnanimità reale,egli gli affidò la sorte di coloro che l’avevano denunciato. Da alleati della corona, i Bourequat divennero dunque criminali e delatori. Abbandonati da colui che volevano salvare, subirono l’odio feroce di chi voleva assassinarlo. Per vent’anni Midhat René Bourequat e suo fratello Alì Auguste furono rinchiusi nelle prigioni segrete del regno e nella colonia penale di Tazmamart.Tutt’e due racconteranno la loro terribile vicenda in due libri che sono la testimonianza di quanto l’uomo possa essere crudele verso i propri simili.In “Mort vivant” così Midhat Renè Bourequat narra il suo ingresso nella cella a Tazmamart:” Non ci sono parole per esprimere ciò che accadde in quei pochi secondi. Immobile, fui di nuovo sorpreso dal rumore, sinistramente familiare, della porta metallica scorrevole. Accompagnato da una massa d’aria calda, appestata e grondante di fetore, quel rumore fu seguito dallo schiocco delle manette che si aprivano. L’effluvio puzzolente si riversò su di me e ricoprì il mio corpo asfittico. Tentai di trattenere il respiro. Ma invano. La pestilenza mi penetrò attraverso tutti i miei pori , aspirata dal mio corpo. Sforzandomi di lottare per non svenire, ero tutt’intero un organo olfattivo riempito da quella cosa che cercava di annientarmi, proiettandomi in un abisso di terrore .(…)Credetti in un momento di essere stato scaraventato tra i morti e di aver ricevuto i primi castighi per i miei peccati.
Bourequat resterà rinchiuso nelle sua tomba di cemento per dieci anni e mezzo, cioè per tremilacinquecentoventi giorni al buio quasi totale, senza vedere mai la luce del sole diretta.
La vicenda della famiglia Oufkir è ancora più terribile. Il Generale Oufkir, eroe dell’indipendenza, era stato per molti anni un fedelissimo servitore del re e la sua famiglia aveva goduto di tutti quei privilegi derivanti dal vivere a corte. Poi, nel 1971,a seguito del fallimento del colpo di Stato da lui stesso fomentato, era stato costretto a suicidarsi. La moglie del generale ed i suoi sei figli(il più piccolo aveva appena tre anni) saranno arrestati e pagheranno molto caro il tradimento del padre. La loro discesa all’inferno comincia nel 1975. I sette membri della famiglia, con la loro cugina Achoura scompaiono senza lasciare traccia. Sono rinchiusi in un luogo segreto ai margini del Sahara che solo il loro carceriere conosce; la cella misura 3 metri per due. Sopportano il freddo glaciale dell’inverno,il caldo torrido dell’estate, l’umidità, l’oscurità, i trattamenti disumani, la fame e la totale mancanza di igiene e di cure mediche. I loro soli visitatori sono scorpioni, serpenti pulci e ratti. Con coraggio ed un’incredibile forza di volontà resistono alla barbarie e, dodici anni dopo, nel 1987, quattro di loro riescono ad evadere rocambolescamente dopo aver scavato a mani nude un tunnel sotterraneo. Raggiunta la Francia , ai microfoni di RFI, svelano al mondo intero il loro calvario. Raouf e Malika Oufkir racconteranno la loro terribile esperienza durata vent’anni in due bellissimi libri, rispettivamente Les invités du roi e La prisonnière.
Quello che è accaduto in Marocco appartiene oramai al passato, ma le ferite sono ancora aperte e sanguinanti. In questi anni, con l’avvento del nuovo re Mohammed VI si è dato avvio ad un processo di riconciliazione che non prevede la punizione dei carnefici ma solo un indennizzo per le vittime. Certo, per quest’ultime sarà difficile dimenticare le torture fisiche e morali subite o la perdita dei propri cari. Ora, i sopravvissuti sono liberi, ma in quale stato! Coloro che per protesta avevano attuato in prigione uno sciopero della fame e che per sei anni erano stati nutriti con un sondino presentano danni irreversibili:gambe paralizzate per alcuni, facoltà di elocuzione inesistente per altri, perdita della memoria per altri ancora. Quanto ai dannati di Tazmamart, le famiglie che avevano visto partire giovani nel pieno vigore fisico, non hanno riconosciuto i vecchi calvi e sdentati che sono stati loro restituiti. Il loro organismo è irreparabilmente guastato. Solo con qualche eccezione,essi sono stati colpiti nel più profondo della energia vitale. I folli non ritroveranno più la ragione! Il Marocco di oggi sotto la guida di un re giovane ed intelligente e di un governo che vede la presenza di molti di coloro che erano stai perseguitati tenta , non senza fatica, di portare avanti un processo profondo di democratizzazione e di rispetto dei diritti umani. Ma nulla è scontato ed i rischi di una involuzione sono reali. Il terrorismo islamico con i suoi sanguinosi attacchi che esigono una risposta decisa potrebbe interrompere il cammino del Marocco verso la democrazia.
La strada per Meknès è ottima, il clima è mite, la campagna è di un verde intenso che emana un piacevolissimo profumo di cui riempio avidamente i miei polmoni;sono felice di essere in Marocco in questo periodo dell’anno. Di lì a qualche ora la mia gioia svanirà di colpo! Passo per Asilah, bellissima cittadina dove si tiene ogni anno un festival internazionale della cultura; dopo Larache e Ksar-el –kebir, arrivo a Souk-el Arba-du –Rharb. Mentre attraverso un ponte su cui corre un binario dismesso, la ruota anteriore va ad infilarsi nell’incavo della rotaia; la vespa prende una traiettoria obbligata che no posso modificare per mantenere l’equilibrio. Cado rovinosamente sull’asfalto,la mia gamba sinistra rimane imprigionata sotto la vespa che è pesantissima. La gente accorre in mio aiuto,qualcuno solleva lo scooter ed io posso finalmente mettermi in piedi. Ho delle escoriazione al gomito destro ed alle ginocchia; gli scarponi da trekking mi hanno preservato i piedi, il casco ha svolto bene il suo mestiere. La vespa è ammaccata sul fianco sinistro ed il parabrezza è rotto nella parte alta. Ritengo che, tutto sommato, mi sia andata bene, tenuto conto che, normalmente, una caduta sull’asfalto crea danni maggiori.
Con un sorriso rassicurante, ringrazio e saluto i miei soccorritori e ancora scosso riprendo il mio viaggio. A Meknès, i miei amici Fatema e Aziz da molte ore sono attesa del mio arrivo i loro bambini a stento trattengono la gioia nel salutarmi.Fatema è la sorella di Cherkaoui, un marocchino che vive e lavora in Italia da più di vent’anni, Aziz è suo cugino ; i due formano una coppia molto affiatata. Sono contento di rivederli, li conosco da molto tempo e nel corso di quindici anni ho visto nascere e crescere i loro tre bambini. Aziz è un esperto enologo ed un abile tecnico di computer. Ultimamente ha cambiato lavoro, ha lasciato il posto che occupava presso una grande casa produttrice di vini pregiati e si è messo in proprio, aprendo una piccola scuola di informatica. A Meknès resto due giorni, giusto il tempo per risistemare la vespa ed il bagaglio, poi riparto alla volta di Beni Mellal, per rendere visita alla famiglia di Cherkaoui . Papà,mamma, i due fratelli di Cherkaoui con le rispettive famiglie abitano in una grande fattoria dove allevano numerosi capi di bestiame e coltivano un vastissimo appezzamento di terreno. L’ospitalità che mi riservano è discreta ma piena di attenzioni. La mattina successiva al mio arrivo sento qualcosa che non va nel mio stomaco; ho la nausea e frequenti conati di vomito. La cosa mi preoccupa; sono all’inizio del mio viaggio,in condizioni igieniche ottime ed ho già problemi di salute; mi chiedo:” Che cosa mi succederà quando dovrò affrontare situazioni che metteranno a dura prova il mio organismo?” Resto a digiuno per un’intera giornata, bevendo solo un infuso di erbe preparatomi dalla mamma di Cherkaoui. Il giorno successivo, le mie condizioni sono buone e, a metà giornata, ritornano ottime. Mia moglie viene a sapere ,non so come, della caduta e mi telefona per chiedermi di tornare indietro, credendo che mi sia fatto molto male. Si sa, chi è lontano tende sempre ad ingigantire i fatti che riguardano i propri cari e a dare alla realtà valenze negative che essa di fatto non ha. Cerco di rassicurarla dicendole che non mi sono procurato nemmeno un graffio. E’ il 13 di marzo,sono trascorsi 10 giorni da quando ho lasciato casa,il mio viaggio si può dire che non sia ancora cominciato, di tornare non se ne parla nemmeno. Per evitare che in futuro i miei siano presi da cattivi pensieri mi ripropongo di non rivelare loro, per nessuna ragione, le cose negative che potranno accadermi,comprese le cadute(ne farò, nel corso di tutto il viaggio, altre quindici). Lascio Beni Mellal e in poche ore percorro i 200 km. che mi separano da Marrakech dove mi fermerò per tre giorni. Appena vi arrivo, vado subito sulla piazza Jemaa-el- Fna a salutare i miei amici incantatori di serpenti i quali, non appena mi scorgono in sella alla mia vespa, mi riconoscono e si sbracciano per richiamarmi. Ci scambiamo calorosi saluti, mi fanno sedere sotto il loro ombrellone e,con accanto cobra e vipere del deserto, prendiamo un corroborante the alla menta. Sono tutti imparentati tra loro e il decano del gruppo, M. Ahmed Sadik Boudker mi ringrazia per i regali che gli ho fatto pervenire attraverso Cherkaoui e mi chiede dove alloggio. Gli rispondo che non ho cercato ancora un hotel e che il mio primo pensiero è stato quello di venire a salutarli . Senza pensarci su un istante mi dice che la sua casa è pronta ad ospitarmi. Con quanta gioia accolgo il suo invito! M. Boudker conserva ancora intatto il valore dell’ospitalità e della accoglienza verso lo straniero, nonostante i rapporti che egli ha con i turisti siano mediati dal denaro! Suo figlio Sadik mi accompagna a casa perché io possa sistemare i miei bagagli e fare una doccia. L’abitazione è nuova e bellissima , il soffitto è abbellito da stupendi stucchi e le pareti sono ricoperte da maioliche, lungo tutto il perimetro delle stanze sono posizionati divani rivestiti di tessuto damascato di colore marrone e nocciola, a disegno geometrico. Chiedo a Sadik dove tengano i serpenti ed egli mi conduce in una stanza al piano terra; lì, illuminati costantemente da una lampadina, in una trentina di casse di legno vi sono decine di cobra, vipere del deserto ed innocui colubri, tutti catturati nel deserto dalle parti di Ouarzazate. Sadik mi parla delle tecniche di cattura, di “dressage” e del modo con cui i rettili vengono nutriti. Gli chiedo se non abbia paura di essere morso.Mi risponde che ha cominciato a maneggiare i serpenti sin da bambino e che gli sembra una cosa del tutto naturale, inoltre i rettili imparano a riconoscere le mani del loro padrone e perdono l’agressività.Usciamo dalla stanza satura di un odore acre e dove fa molto caldo; la porta viene chiusa con due grossi catenacci per ragioni di sicurezza. Poi, ritorniamo con la mia vespa in piazza Jemaa – el- Fna. Questa piazza di Marrakech è conosciuta in tutto il mondo; ora è stata pavimentata ma sino a qualche anno fa era in terra battuta. La mattina e sino al primo pomeriggio, essa è un immenso palcoscenico dove si esibiscono giocolieri,saltimbanchi,cantastorie, sputafuoco, imbonitori di ogni sorta che cercano di venderti pozioni “magiche” ed erbe “miracolose” e tre o quattro gruppi di incantatori di serpenti. La sera, Jemaa - el -Fna diventa un enorme ristorante, con centinaia di tavoli e sedie per i turisti ma anche per gli abitanti della città che vogliono mangiare qualcosa, spendendo poco. Tutto viene cucinato sul posto e dai fornelli si alza un misto di fumo e di gradevoli odori che richiamano i turisti avidi di nuove ed esotiche esperienze gastronomiche.
Il 17 marzo lascio Marrakech alla volta di Agadir,sulla costa atlantica. Ci sono due strade per arrivarci. Una più breve ma molto difficile perché s’inerpica sulle montagne dell’Anti Atlante con una serie di difficili tornanti, sino a regalarti la visione fantastica del monte Toubkal ,4167 metri di altitudine; L’altra strada che corre in pianura è più lunga, ma nello stesso tempo più facilmente percorribile perchè dotata di un ottimo asfalto. Opto per quest’ultima, anche perché l’altra non è più per me una novità, avendola percorsa già tre volte. Ad Agadir faccio una piccola sosta per mettere qualcosa sotto i denti, poi riparto con l’intenzione di passare la notte a Tiznit. Due ore e raggiungo la mia meta. Monto la tenda in un campeggio senza ombra, adatto più per chi possiede un camper. Infatti ce ne sono a decine; i proprietari sono quasi tutti anziani francesi e tedeschi che, dopo la pensione, hanno deciso di trascorrere molta parte dell’anno in Marocco. All’imbrunire, dopo una doccia, esco per cenare. Il guardiano mi dice che a qualche centinaio di metri dal campeggio c’è un buon ristorante gestito da un’anziana donna francese. Ci arrivo subito ma resto deluso:il ristorante è sporco e c’è polvere dappertutto. Comunque non ho voglia di cercare altro e mi accomodo ad un tavolo. Mangio malvolentieri quello che mi si porta,non vedo l’ora di andarmene .Prima di chiedere il conto dico al cameriere che non mai visto in Marocco un ristorante così sporco e malconcio. Il giovane si scusa dicendomi che durante la mattinata c’è stata una tempesta di sabbia e non ha avuto il tempo di pulire. Poi aggiunge,per farsi perdonare, che, se ritornerò il giorno dopo, mi farà mangiare gratis. Andandomene,penso di essere stato troppo duro con il giovane cameriere ; forse è la fatica accumulata durante la giornata che mi ha reso nervoso. Torno al campeggio, non è ancora buio ed approfitto per fare un po’ di manutenzione alla vespa. Domani mi aspetta una tappa di circa 250 km. Dopo Guelmin,la porta del deserto,il paesaggio si farà più arido ed aspro ed entrerò nel Sahara Occidentale. (continua)
Stefano MEDVEDICH