REI O CUSTODI?
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La responsabilità della Pubblica Amministrazione in tema di danni causati ai cittadini da anomalie (buche, dislivelli, ostacoli, ecc.) presenti su strade, marciapiedi ed altri beni di pubblico utilizzo, si ricollega, evidentemente, all’obbligo di provvedere alla manutenzione delle cose che ricadono nella propria gestione, al fine di evitare pericoli e salvaguardare la sicurezza degli utenti.
Dottrina e giurisprudenza hanno per lungo tempo ritenuto di ricondurre tale materia nell’alveo della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 Cod. Civ. (risarcimento per fatto illecito), ponendo a fondamento di questa linea interpretativa alcuni concetti oggi noti anche ai non addetti ai lavori: insidia o trabocchetto, nelle diverse elaborazioni fornite dalla casistica; pericolo occulto caratterizzato dall’elemento oggettivo della non visibilità e da quello soggettivo della non prevedibilità (Cass. nn. 2244/1969, 2850/1998, 1571/2004, 21684/2005, ecc.). La necessaria individuazione, nel caso concreto, dell’elemento astratto dell’insidia o trabocchetto, “…indice tassativo ed ineludibile della responsabilità della pubblica amministrazione” (Cass. 10654/04, 11250/02, 2850/98), costituendo, ai fini della imputabilità del danno alla P.A., un importante ostacolo, si traduceva indubbiamente in una posizione di vantaggio dell’Ente nei confronti del cittadino il quale, per sostenere il proprio diritto al risarcimento, doveva necessariamente provare che, il danno patito, era stato causato da un pericolo occulto non visibile né prevedibile (a causa, ad esempio, della carenza di segnalazioni, della scarsa illuminazione della zona, della collocazione dell’ostacolo, ecc.); prova che, nell’esperienza concreta, risultava spesso assai difficile.
L’orientamento giurisprudenziale che, recentemente, ha affiancato quello sopra delineato, riconducendo la responsabilità della P.A. per danni causati da cose ad essa soggette alla disciplina dettata dall’art. 2051 Cod. Civ. (responsabilità del custode), ha accresciuto le possibilità per l’utente di ottenere il risarcimento dei danni patiti.
La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia si fonda, difatti, sulla presunzione di colpa del soggetto che ha un “dovere giuridico di custodia” sul bene che ha prodotto il danno, comportando il ribaltamento dell’onere della prova (che incombe sulla P.A.).
L’art. 2051 Cod. Civ., quindi, configurerebbe un’ipotesi di “responsabilità oggettiva”, richiedendo la semplice esistenza del rapporto di custodia tra l’Ente e la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo, a nulla rilevando la condotta del custode, il quale non risponde dei danni cagionati dal bene, solo se dimostra che gli stessi sono stati causati dal caso fortuito.
In questo modo, pertanto, si prescinde dal carattere insidioso del bene custodito, con la fondamentale conseguenza che il danneggiato non è costretto a presupporre la sussistenza di un fatto illecito ai sensi dell’art. 2043 Cod. Civ. generato dalla imprevedibilità e non visibilità della cosa dannosa (Cass. n. 21684/2005), risultando sufficiente la prova del solo nesso di casualità fra l’evento danno ed il bene in custodia.
Dovrà essere la P.A., al fine di escludere la propria responsabilità, a dimostrare che il danno si è verificato per caso fortuito (da intendersi nella più ampia accezione, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato, purché costituisca causa esclusiva del danno), in quanto direttamente incidente sul nesso causale dell’evento dannoso.
Emerge, in questo caso, la particolare attitudine dei beni demaniali ad essere esposti a “…fattori di rischio non prevedibili e non controllabili dal custode” (come quelli generati dall’utilizzo del bene o causati da comportamenti degli stessi utenti), evidenziandosi la difficoltà per l’Ente di sorvegliare le azioni degli utenti. Conseguentemente, secondo la più recente giurisprudenza (Cass. n. 15042/2008), il caso fortuito deve essere individuato in base a criteri più elastici di quelli che normalmente valgono per i beni privati, pur non potendo mai ricorrere nei casi in cui il danno sia stato provocato da cause strutturali e/o intrinseche “…al modo di essere del bene”.
Tale orientamento ha subito e tuttora subisce modellazioni e affinamenti. In particolare, alcune pronunce della Suprema Corte (Cass. nn. 16675/2005, 11446/2003, 298/2003) hanno limitato l’applicabilità della responsabilità del custode ai beni demaniali in c.d. uso diretto da parte della P.A. (beni il cui utilizzo rende possibile una vigilanza volta ad impedire cause di pericolo) ovvero a quelli caratterizzati da limitata estensione territoriale (sempre in ragione alla possibilità di espletare un controllo diretto sugli stessi).
Il rischio di promuovere vocazioni restrittive, ha recentemente indotto la Suprema Corte, con la importantissima sentenza n. 7403/2007, a chiarire i lineamenti della fattispecie di riferimento, elaborando una definizione del concetto di custodia (“…una potestà di fatto, che descrive un’attività esercitabile da un soggetto sulla cosa in virtù della detenzione qualificata, con esclusione quindi della detenzione per ragioni di ospitalità e servizio”) ed enucleando i tre elementi fondamen-tali che ne caratterizzano l’estrinsecazione (c.d. potere di governo sulla cosa in custodia): “…il potere di controllare la cosa, il potere di modificare la situazione di pericolo creatasi, nonché quello di escludere qualsiasi terzo dall'ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno”.
L’elemento essenziale della responsabilità ex art. 2051 Cod. Civ. della P.A. può, dunque, individuarsi nell’oggettiva possibilità di controllo del bene (controllo che costituisce il presupposto necessario affinché il custode abbia il dovere di modificare la situazione pericolosa), con la conseguenza che, l’esclusione della responsabilità, non potrà derivare meramente dalla qualificazione demaniale del bene o dalla sua estensione, ma occorrerà accertare, di volta in volta (ad opera del Giudice di merito), se il potere di controllo sullo stesso sia oggettivamente possibile. Tale indirizzo appare oggi recepito dalla giurisprudenza maggioritaria, impegnata a fornire ulteriori elementi di specificazione: con riferimento, ad esempio, alle buche od altri difetti presenti in strade ubicate “…all'interno della perimetrazione del centro abitato”, la Corte di Cassazione ha ripetutamente chiarito che la P.A. ha sempre la possibilità di controllo effettivo, non essendo ammissibile la prova contraria sul punto (Cass. nn. 15384/2006, 5308/2007).
Il sistema di tutela delineatosi, in conclusione, appare oggi decisamente più completo: se il potere di controllo risulta possibile, è configurabile la responsabilità ex art. 2051 Cod. Civ. (qualora il fatto non sia stato determinato da caso fortuito); in caso contrario, sussistendo una situazione di pericolo occulto, potrà trovare applicazione l’art. 2043 Cod. Civ. In entrambi i casi, il comportamento colposo del soggetto danneggiato (che comprende anche l’utilizzo del bene demaniale senza la normale diligenza), esclude la responsabilità dell’Ente se idoneo ad interrompere il nesso causale tra la causa del danno e il danno stesso, integrando, altrimenti, un concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 Cod. Civ. comma 1.
Giuseppe VINCI