OSSERVAZIONI SUL KATHOLIKON DEL MONASTERO DI S. SALVATORE IN AGRO DI SANNICOLA
Il katholikon, ovvero la chiesa, è tutto ciò che rimane del monastero di S. Salvatore, menzionato per la prima volta nel 1310, quando un suo egumeno partecipò al concilium Ydrontinum.. La chiesa è oggi incorporata nei ruderi di una masseria eretta nel XIX secolo, sorge a poca distanza dai ruderi del monastero di S.Mauro ed è collocata simmetricamente alla chiesa di S. Pietro dei Samari, rispetto alla città di Gallipoli.
Il katholikon del monastero di S. Salvatore ha impianto a tre navate, assimilabile al tipo della basilica anatolica monoabsidata, “terminante esternamente con abside semicircolare affiancata dalle due testate rettilinee delle navate minori, che celano, all’interno, altre due absidi semicircolari”; nel caso di S. Salvatore, come nella vicina S. Mauro, le absidi laterali hanno le dimensioni di nicchie. Le tre navate sono separate da archi leggermente acuti su pilastri. Le imposte degli archi sono sottolineate da semplici capitelli a stampella. La copertura è costituita da volta a botte centrale e semibotti rampanti nelle navate laterali.
L’edificio è lungo 25 piedi bizantini, scanditi da due campate di uguale lunghezza e da vima lungo esattamente la metà. Come nella vicina chiesa di S. Mauro, infatti, prothesis e diaconicon sono delimitate longitudinalmente da un arco rampante, ovvero dalla metà dell’arco che definisce la campata.
Rimane la parte sinistra di una iconostasi in muratura: l’apertura del diaconicon, dal quale il diacono usciva col Vangelo per rientrare nel vima attraverso la porta speciosa centrale. L’iconostasi ha lasciato tracce dell’ammorsamento dei conci nei due pilastri tra solea e vima ed un concio decorato, proveniente quasi certamente dall’iconostasi, è inserito nel muro nord, nel vano di un’apertura murata.
Esaminando le strutture murarie del complesso si distinguono tre diversi tipi di tessuti murari.
In particolare, la muratura in pietra sbozzata e bolo addossata alla chiesa potrebbe essere parte degli ambienti edificati nel XVIII secolo dall’abate spagnolo Garzia e ricordati nella visita pastorale di Mons. Filomarini, del 1714.
Il prospetto reca le tracce delle trasformazioni subite: l’originario profilo a capanna, come quello del katholikon di S. Mauro, nel XVIII secolo fu rialzato e dotato di una sorta di fastigio gradonato; nel XIX secolo, con la costruzione degli ambienti della masseria sulla destra, fu necessario rialzare il prospetto da quel lato e ne fu pertanto eliminata la gradonatura.
Elemento peculiare di questa chiesa è la presenza di tiranti lignei all’imposta della volta a botte.
L’uso di tiranti lignei «preventivi», cioè di tiranti messi in opera nel corso della costruzione delle volte, è un accorgimento tecnico costruttivo utilizzato nelle zone spesso flagellate dai terremoti. Pertanto, è ricorrente, ad esempio, in Grecia ed in Calabria, ma fino agli anni 70 c’erano tiranti lignei anche nella chiesa di Santa Sofia a Costantinpoli. Il Venditti li ricorda nella Cattolica di Stilo.
Nell’architettura bizantina della Grecia e della Macedonia essi costituivano spesso complessi tralicci decorati con funzione antisismica.
Nel caso di S. Salvatore non mi è stato possibile verificare se essi siano collegati a travi longitudinali affogate nella muratura, o le parti terminali delle catene siano state appositamente sagomate, per creare agganci. Non ho trovato nel Salento altri edifici in cui sia stato usato questo accorgimento tecnico, del resto, non essendo il Salento una zona sismica, questa tecnica non è entrata a far parte della nostra tradizione costruttiva. Certo, può darsi che i tiranti, essendo in materiale facilmente deperibile, in altre costruzioni si siano deteriorati e siano stati eliminati.
Ritengo, in ogni caso, che l’uso di questo accorgimento tecnico nel katholikon di S. Salvatore possa essere testimonianza della formazione greca delle maestranze e che pertanto rappresenti un ulteriore punto di contatto tra la Grecia ed il Salento.
Queste osservazioni sono in parte tratte dalla mia tesi di Dottorato di ricerca in storia dell’architettura e dell’urbanistica, in parte sono maturate nel corso del rilievo redatto nell’ambito del progetto Interreg III Italia-Grecia.
A. JACOB, Gallipoli bizantina, in “Paesi e figure del vecchi Salento”, III, Galatina 1989, p. 301.
P. LOJACONO, Ruderi di chiese paleocristiane nell’isola di Rodi, in “Palladio”, n. III-IV, anno II, 1952.
La nicchia nella zona della prothesis è stata modificata.
Archivio della Curia vescovile di Gallipoli, d’ora innanzi A.C.V.G., Fondo visite pastorali, Visita pastorale di Mons. Filomarini, p. 351r.. Si legge: “(…) Prope dictam ecclesiam adsun due ianue , per qua ingredimur ad duas cameras, noviter edificatas à predicto Abate Garzia (…)”, (si trattava, probabilmente di semplici monaci che, come si diceva sin dal 1330 nella lettera di papa Giovanni XXII al Vescovo di Otranto, erano “abates vulgariter nuncupati” Cfr.. C.D. POSO, Il Salento Normanno. Territorio, istituzioni, società, Galatina 1988, p. 121).
Cfr. G. TAMPONE, Il restauro delle strutture di legno, Milano 1996, fig. 2.29 p. 53
A. VENDITTI, Architettura bizantina nell’Italia meridionale, Napoli 1967, p. 858. Secondo il Venditti l’uso delle catene lignee aveva anche lo scopo di ridurre la verticalità dello spazio.
La muratura dovrebbe tuttavia conservarne traccia.