Soli in Africa... (terza puntata)

“La cosa più pericolosa da fare è rimanere immobili”
William Burroughs

La mattina del 17 marzo ,come al solito, sono  in piedi di buon’ora. Faccio un’abbondante colazione con pane,latte in polvere e marmellata;la sella della vespa funge da tavolo.Poi carico il bagaglio sui due portapacchi , assicurandomi che tutto sia ben legato: per strada non devo perdere assolutamente nulla di ciò che ho portato con me, perchè ogni cosa ha un’importanza capitale per la buona riuscita del viaggio. Prima di montare in sella, faccio due operazioni di routine:annoto sulla carta stradale la data di partenza e sul manubrio della vespa i  chilometri percorsi,azzerando contemporaneamente il contachilometri parziale.Alle 8 lascio Tiznit alla volta di Tan-Tan,una tappa senza difficoltà di 233 km. Sulla strada  il paesaggio brullo annuncia già il deserto, il traffico che diventa via via sempre più scarso è fatto soprattutto di camions frigo che trasportano  pesce proveniente dalle stazioni di pesca del Sahara occidentale le cui coste sono le più pescose del mondo o almeno lo erano 20 anni fa, visto lo sfruttamento intensivo del mare operato da flottiglie internazionali.
Arrivo  a Tan-Tan  verso le tre del pomeriggio, decido di non fermarmi e di proseguire per il porto distante 25 chilometri ,dove trascorrerò la notte. Passo davanti ad un distributore di benzina, la cui visione mi riporta alla mente il ricordo di una brutta storia accadutami qualche anno prima..Avevamo percorso sempre in vespa, io e mio figlio,  centinaia di chilometri sotto un sole cocente che rendeva il cielo e l’atmosfera abbacinanti. Giunti al tramonto in quella stazione di servizio avevamo cenato con un ottimo tajine, poi avevamo chiesto al gestore di poter montare  la nostra tenda sotto la pensilina del ristorante per trascorrervi la notte.Verso le tre del mattino, un forte dolore agli occhi m’aveva svegliato all’improvviso.Non senza difficoltà ero riuscito ad aprire le palpebre sotto le quali sentivo di avere della sabbia; con orrore avevo scoperto di aver perduto la vista ! Nella tenda  gli oggetti avevano per me una forma sfumata, senza contorni e mio figlio che dormiva inconsapevole e beato era solo una sagoma. A  tastoni avevo cercato il manuale di pronto soccorso e la torcia per capire cosa mi stesse succedendo  e come potevo intervenire. Ma le pagine del libro, una volta illuminate dalla luce,  si rivelavano bianche e impossibili da leggere. Lacrimante, ero uscito dalla tenda e m’ero messo a passeggiare su e giù, sotto la pensilina,   co la testa affollata di angoscianti domande. Come avrei fatto a ritornare a casa in quelle condizioni? Chi avrebbe potuto guidare la vespa  per raggiungere almeno il più vicino ospedale? E soprattutto, avrei recuperato la vista? Poi, col viso bagnato per la forte lacrimazione ero ritornato nella tenda  per cercare di riprendere sonno; al risveglio sarei stato più lucido ed avrei preso una decisione più ragionata,alla luce anche di un possibile decorso positivo della patologia. Per mezz’ora ero rimasto con gli occhi sbarrati per paura che ,una volta chiusi, non avrei potuto riaprirli; poi la stanchezza m’era venuta in soccorso e mi ero addormentato.Alle prime luci dell’alba ,il vocio di alcune  persone mi aveva  strappato ad un sonno leggero in cui, per tutta la sua durata, le mie angosciose preoccupazioni avevano certamente operato un incessante e spossante lavorio. Mi sentivo più stanco di quando m’ero messo a dormire. A ridarmi le forze e la ricarica al morale era stata la scomparsa quasi completa del dolore e il ritorno della vista, anche se qualche postumo mi procurava ancora  dei leggeri fastidi. Tuttavia potevo leggere e soprattutto avrei potuto guidare!Nel manuale di pronto soccorso avevo trovato la spiegazione di ciò che m’era successo: l’ intensa luminosità atmosferica riflessa dalla sabbia del deserto mi  aveva procurato dolore ai bulbi oculari, lacrimazione intensa, visione indistinta degli oggetti. Per mia fortuna,il fenomeno aveva avuto un decorso rapido; ma se l’esposizione al sole fosse stata più lunga i miei guai sarebbero stati certamente maggiori.
A Tan-Tan plage cerco  immediatamente un albergo; ne scovo uno a due passi dal mare.Prima di prendere una stanza, chiedo al padrone di dare un’occhiata a tutte le camere. L’hotel è di recentissima costruzione  ed io devo essere certamente uno dei primi clienti. Non ci sono stanze singole a disposizione , sono costretto quindi a prendere una tripla, ma ad un prezzo più contenuto:  spesso in Marocco il prezzo delle camere può essere soggetto a contrattazione,anche nei grandi alberghi. La camera è accogliente e pulita; le pareti pitturate di fresco sono di un bel colore rosa riposante, l’arredo nuovo è essenziale ma curato ; al muro, sopra la spalliera del letto, è appeso un dipinto senza cornice che ritrae un tuareg accovacciato su una duna mentre osserva l’orizzonte  reso rosso dal sole che tramonta. Sistemo le mie cose in camera, poi esco per mangiare qualcosa. Non trovando un ristorante che mi soddisfi esteticamente ed igienicamente,decido di ritornare in albergo per mangiare delle sardine in scatola, pescate ed inscatolate in zona ,del pane e della frutta.
Dopo aver fatto il punto della situazione e stabilito la meta per l’indomani,vado a dormire ,anche se sono ancora le otto. Ho intenzione di ripartire molto presto l’indomani mattina perché mi aspetta una tappa di 492 km sino a Boujdour,una tappa troppo lunga considerate le strade africane. Alle 6 sono in piedi e, appena un’ora dopo, sono già in sella alla mia vespa, in direzione di Tarfaya . La strada è buona ,il paesaggio piatto e monotono;contro la costa fatta di altissime falese s’infrangono le poderose onde dell’oceano,quasi mai calmo. Di tanto in tanto si nota qualche improvvisata capanna di pescatori i quali spesso si spingono sul bordo della strada per vendere del pesce. Incrocio dei camions e qualche taxi  stracarico di viaggiatori; gli autisti mi lampeggiano per salutarmi, incuriositi soprattutto dalla vespa. A circa  150km da Tan Tan e immediatamente dopo il piccolo villaggio di Sidi Akhfennir  vi è un strettissima insenatura che prende il nome di Naila. Lascio la strada principale e mi avvio verso al costa facendo molta attenzione alla sabbia che ricopre  a mucchietti l’asfalto deteriorato. Ho intenzione di fermarmi una mezz’ora per salutare dei pescatori Sarhaouis che conosco da molto tempo, perché a Naila ci sono stato altre tre volte.E ‘ un posto bellissimo,un’oasi frequentata da numerosi fenicotteri rosa, cormorani e un’infinità di altri uccelli che  vi trovano condizioni ideali per la loro sopravvivenza. Lì cominciano le grandi dune di sabbia  che si allungano, con qualche piccola interruzione, sino a Tarfaya ed oltre. Una piccola stazione di pesca in muratura costruita dagli Spagnoli e oramai in rovina ospita un’esigua comunità di pescatori e un presidio militare composto da  un solo soldato. Rouimi,Chab, i miei amici Sarhaouis  non ci sono; qualcuno mi dice che hanno cambiato lavoro e solo in estate tornano a Naila. Deluso e dispiaciuto ritorno sulla strada per Tarfaya . Il forte vento che spira incessante da Nord-Ovest sposta la sabbia delle dune sulla strada e spesso sono obbligato a rallentare o a procedere a piedi per evitare di cadere. Prima di giungere a Tarfaya, faccio il pieno di carburante, pagandolo ad un prezzo inferiore. La benzina come altri beni di consumo costano di meno nel Sahara occidentale perché esenti da tassazione. Con questa astuta politica dei prezzi, il Marocco tende favorire  l’immigrazione di Marocchini nell’ex colonia spagnola. Tarfaya non ha nulla di interessante per il turista se non il monumento dedicato allo scrittore ed aviatore francese Antoine de Saint-Exupéry ed un piccolo museo che ne conserva alcuni cimeli. L’autore del  Petit Prince era stato uno dei primi aviatori che nel primo dopoguerra aveva scelto Tarfaya come scalo intermedio della linea postale postale  francese  Tolosa- Dakar. In un’ora e mezza percorro i 150 km che mi separano da Laâyoune, la più grande città del Sahara occidentale.
Sono le 12, il vento soffia  fortissimo alle mie spalle e il parabrezza  si trasforma in  vela, dando un’ulteriore spinta alla corsa della vespa, facendomi risparmiare del carburante. Nel punto in cui la strada corre ad un centinaio di metri dalla  costa, mi fermo attratto dai numerosi cormorani appollaiati sul bordo delle altissime falese. Ho parcheggiato la vespa  sul margine della strada, tra asfalto e banchina. Mi dirigo verso gli uccelli per spaventarli e quindi fotografarli in volo. In quel momento un corteo di tre auto ed un grosso camion viene da  sud a velocità sostenuta. Osservo quella colonna distrattamente mentre procedo verso i cormorani. All’improvviso il mezzo pesante si sposta sulla sinistra per sorpassare, la manovra è troppo ampia ed il camion invade  una parte della banchina. In un istante capisco quello che sta per succedere; corro terrorizzato verso al vespa ma non faccio in tempo a spostarla. Per fortuna il camion rientra di un metro verso destra, sfiorando lo scooter. Lo spostamento d’aria  fortissimo  scuote la vespa che io sostengo con le due mani perché non cada. Non provo più alcun interesse per i cormorani; col cuore in gola metto in moto e riprendo la strada. Arrivo a Boujdour nel tardo pomeriggio, mi sistemo in un hotel che già conosco e vado a mangiare del pesce fresco in un ristorantino frequentato da pescatori e da camionisti.
Il giorno dopo faccio una tappa di 315 km sino a Dakhla, ultima  città prima del grande salto verso la Mauritania.                                                
Prendo una squallida stanza  al campeggio Moussafir che si trova all’ingresso della città, prima del chek-in della polizia  dove si registra il passaggio di tutti quelli che entrano o escono da Dakhla.Come sempre la città è piena di soldati, ma ora  che la minaccia di attacchi militari da parte del Polisario si è attenuata, si respira un’aria  di pigra quiete. Dakhla non offre nulla di interessante al viaggiatore che arriva sin lì solo perché vuole andare in Mauritania  e solo la necessità di fare degli acquisti,soprattutto dei generi alimentari mi porta ad andare in centro. In campeggio vi sono altri viaggiatori.Mi metto a parlare con due giovani che viaggiano con una vecchia Mercedes. Sono due giornalisti che stanno girando un documentario per una televisione danese sui viaggiatori che percorrono quelle lande desolate, sulle profonde motivazioni che li spingono ad arrivare sin laggiù. Mi giudicano un soggetto interessante da inserire nel documentario e chiedono la mia disponibilità ad essere ripreso e ad una intervista.
Decidiamo di fare un tratto di strada assieme, ma partendo in orari differenti, dato che la mia velocità è inferiore alla loro. La mattina del 19 marzo, alle otto sono pronto ad effettuare  la tappa più difficile del Sahara occidentale: 406 km.da Dakhla a Nouâdhibou, la prima città dalla Mauritania per chi proviene da Nord. Un itinerario da fare in assoluta solitudine, attraversando una landa desolata che incute al viaggiatore nello stesso tempo  timore  e rispetto; su di me quel paesaggio avrà un effetto del tutto particolare. Da Dakhla  sino in Mauritania si trova una sola  stazione di servizio, la ridotta autonomia della vespa  mi costringe  a portare con me molta benzina, tra ser-  batolo pieno,lattina da 5 litri, quattro bottiglie da 1,5 in totale ho con  me circa 20 litri di carburante.Affido agli  amici danesi una lattina con altri 5 litri, con cui farò rifornimento  sulla strada.La vespa è molto pesante; ho con me 10 litri di acqua e un’abbondante scorta di viveri. Con il deserto non si scherza: potrei avere un guasto alla vespa ed essere costretto ad aspettare molto tempo prima di ricevere un soccorso in zone assolutamente disabitate.
Partendo da Dakhla, si percorrono 39 km in direzione nord, una volta arrivati ad un bivio si va verso sud. Ad  El Argoub,  registro il mio passaggio al chek-in della polizia, riempio  il serbatoio  di benzina  e, con un po’ di emozione, mi rimetto per strada in direzione sud: salvo qualche raro incontro, per 367 km viaggeremo soli,io e la mia vespa. Percorro un centinaio di chilometri costeggiando l’oceano , lungo spiagge immense e deserte. Presso il golfo di Cintra, l’asfalto taglia in due  parti simmetriche un paesaggio di piccole dune  di sabbia candida  a cui il sole, a quell’ora già molto forte, dà un effetto abbacinante che i miei occhi non sopportano. Sono ammaliato da quelle dune ; mi fermo per bere un po’ d’acqua, fumare una sigaretta e fare due passi sulla sabbia per sgranchirmi le gambe, ma senza perdere di vista la vespa. Fa troppo caldo per sostare a lungo,riprendo quindi la strada. Percorro qualche centinaio di chilometri,con brevi soste per riempire il serbatoio o per mangiare della frutta e bere dell’acqua. Sono le ore 16.00, la temperatura è sopportabile. La strada ha smesso di costeggiare l’oceano. In estate qui fa molto caldo e, man mano che si procede verso l’interno, la temperatura sale in maniera esponenziale, sino a raggiungere, nel deserto del Tiris, i 60 gradi.
Il paesaggio è fortemente cambiato: è un insieme di  rocce scistose, di sabbia grigia e di tormentate formazioni rocciose piene di buchi e di piccole caverne. E’ un paesaggio  che allo stesso tempo angoscia ed affascina il viaggiatore. Il sole oramai basso all’orizzonte, la temperatura mite,il paesaggio che nella sua apparente e tormentata  staticità  sembra sia quasi sotto l’effetto di un incantesimo, il silenzio ovattato rotto soltanto dal rumore regolare del motore della vespa suscitano in me una sensazione particolare della  quale la mia anima si nutre avidamente. Vivo un di quei rari momenti in cui un uomo,in perfetta sintonia con la natura, senza interferenze di qualsiasi sorta,senza mediazioni,  si  lascia andare alla riflessione più profonda sulla vita e sulla propria esistenza. In un tempo che sembra non ubbidire  più ad alcuna scansione passo in rassegna la mia vita; ritornano leggeri come piume ricordi d’infanzia che sembravano per sempre perduti alla memoria; con un curioso gioco mentale fatto di piccoli saltelli, richiamo alla mente episodi, persone e cose dell ‘adolescenza e della mia prima giovinezza. Ricordi belli e brutti,stemperati dal tempo trascorso, oramai si  equivalgono e non arrecano né dolore né gioia. Ora capisco il senso  più profondo del mio viaggio! Perché imbarcarsi in un’impresa difficile e per certi aspetti pericolosa? Solo per il gusto di conoscere un’altra porzione di mondo?
Certo, c’è anche questo aspetto tra le mie motivazioni.Alla base agiscono anche spinte letterarie nutrite dalle mie numerose letture. Ma nel fondo di questa avventura c’è il desiderio, in un primo momento  quasi  inconsapevole, ma ora affiorato in tutta la sua evidenza, di mettere alla prova quello che sono, o per meglio precisare, la persona che sono diventato  in questi cinquant’anni della mia vita.
Mentre sono tutto preso dai miei pensieri, sento un clacson che suona alle mie spalle; guardo nello specchietto retrovisore: sono i  giovani giornalisti danesi ,i quali,partiti tranquillamente a mezzogiorno,mi hanno raggiunto i quel momento. Siamo contenti di rivederci ed insieme facciamo una  breve sosta. A loro si è aggregato un giovane che si presenta come Sebastiano  e che scambio per un Italiano.  Invece è uno studente spagnolo che va  a Dakar. A Nouâdhibou mi confesserà che quando mi ha visto  ha avuto un attimo di commozione perché si è chiesto se,  una volta raggiunta la mia età, avrebbe avuto il mio stesso spirito.  Sono le 17, bisogna affrettarsi; i doganieri di Guerguerat, l’ultimo  avamposto marocchino alla frontiera con la Mauritania , lasciano il lavoro  alle 18. Se si arriva in ritardo si è costretti  a trascorrere la notte davanti agli uffici, in attesa della loro riapertura il mattino seguente.Partiamo assieme, ma il Mercedes è più veloce della vespa e sparisce  quasi subito alla mia vista.
Sono  scosso da un sussulto al cuore! Nel parlare con i miei amici mi sono scordato di  riempire il serbatoio con la benzina che avevo stipato nella Mercedes.Guardo nel serbatoio e stimo che mi restino appena due litri di benzina: saranno sufficienti a  percorrere i 30 km. che mi separano da Guerguerat? Non ci sono parole adatte ad esprimere la tensione e  l’angoscia provate in quei trenta chilometri, con lo sguardo sempre rivolto all’orizzonte davanti a me, nel tentativo di scorgere i tetti e le antenne dell’avamposto marocchino. Il sole è già tramontato  ed il buio incombe minaccioso ad aggravare la mia condizione. Ma ecco, a qualche chilometro, il fortino militare di Guerguerat.Vorrei urlare di gioa. A settecento metri dalla meta, la vespa singhiozza e  dopo qualche metro si ferma: la benzina è finita! I miei compagni di viaggio mi scorgono e vengono ad aiutarmi a spingere lo scooter che ,come ho già detto, è molto pesante.        
Le operazioni sono abbastanza snelle e rapide, la qualcosa mi rende contento perché  con il poco di luce che resta posso percorrere i 5 km. di sterrato che mi separano dalla frontiera mauritana. Successivamente e sino a Nouâdhibou troverò un ottimo asfalto nuovo di zecca.I doganieri mauritani sono molto cordiali anche se mi chiedono un piccolo regalo. Non ho intenzione di dar loro del denaro ed offro solo una scatola di sigari. Con i  Danesi  stabiliamo di andare a sistemarci al campeggio “Baie du Lévrier”, luogo di sosta privilegiato dei viaggiatori che attraversano la Mauritania o che si recano nell’Africa nera. Oramai è buio pesto e mancano 40 km per Nouâdhibou. Obbligato, contravvengo alla regola di non guidare di notte; inoltre lo zaino sistemato sul portapacchi anteriore impedisce al faro di illuminare bene la strada che mi sta davanti. Prima di partire mi è sfuggito di raccomandare ai miei compagni di strada di  procedere più lentamente del solito.La Mercedes  comincia ad accelerare, supera i 60 kmh; io cerco di starle dietro, ma so di mettermi in una difficile e  rischiosa situazione. L’asfalto è vecchio e pieno di buche, il buio nero come la pece. Ad un certo punto sono letteralmente inghiottito da una buca profonda una trentina di centimetri e lunga all’incirca un metro e mezzo. La vespa salta in alto come un animale caduto in una trappola. Una frazione di secondo per dirmi che è finita! Ma la mia buona stella mi aiuta ancora una volta. Riesco a mantenere il piedi la vespa nel momento della sua ricaduta sull’asfalto,mentre il mio cuore  sale sino in gola. Arriviamo finalmente a Nouâdhibou  su un asfalto che all’improvviso è diventato ottimo, e con una segnaletica impeccabile. La periferia della città  è ricoperta dalla sabbia che il vento porta dal deserto e che si accumula soprattutto lungo i marciapiedi laddove esistono. Una preoccupazione in più per me, ma oramai siamo finalmente arrivati; la Mercedes varca il cancello del campeggio ed io la seguo con un grande sospiro di sollievo. (continua)        

Stefano MEDVEDICH