Quanti hanno conosciuto Antonio Fedele – “’Ntunucciu” per gli amici più intimi – lo ricorderanno per la sua umana cordialità, per la sua schiettezza e il suo humor, ma anche per l’amore appassionato ed esclusivo per la sua Gallipoli e per la strenua difesa dei valori umani e civili, contro l’indifferenza e il lassismo dilaganti nella società dei consumi e dell’edonismo sfrenato. E lo ricorderanno nel suo ruolo di maestro elementare, svolto con autorevolezza e passione, trasfondendo nella formazione dei suoi allievi la sua coscienza civica e i suoi ideali.
Dalla sua produzione poetica emerge il ritratto di un uomo che è prima di tutto un amante; amante della propria terra, con le sensazioni, le vibrazioni e i ricordi che in essa vivono e palpitano; amante della vita nei suoi aspetti più sublimi e luminosi, come pure nelle sue manifestazioni colorite e folkloristiche; amante, infine, dell’umanità, dei suoi ideali, dei suoi valori.
Questo suo mondo prende vita nelle sue due raccolte, pubblicate con il titolo “Arcobaleno”, nel 1982 e nel 1991, ad indicare la realtà variegata del nostro Salento, ma anche la ricchezza interiore della sua gente. Quell’arcobaleno, con le sue atmosfere ora pensose e malinconiche, ora vivaci e caratteristiche, è rappresentato in un linguaggio limpido e scevro da sofisticazioni retoriche, sia che venga scelta come strumento espressivo la lingua italiana, sia che si prediligano le espressioni vive e colorite del vernacolo.
Vari i temi affrontati, che trascorrono dagli estatici abbandoni dinanzi alla natura alle riflessioni amare sulle degenerazioni del progresso e della ragione umana. Ma anche dinanzi agli orrori della barbarie e della violenza, l’autore non manca mai di scoprire un raggio di sole: la luce della fede e della speranza cristiana, che rischiara le tenebre delle umane sciagure.
Ma è nella produzione in vernacolo che si esprime pienamente l’amore di Antonio Fedele per la “sua” Gallipoli, la terra a cui era legato come ostrica allo scoglio. “Gallipoli per lui non è solo dato anagrafico, è presenza operante, permanente ricerca della sua identità etnica, tema e motivo di tutta la sua produzione”. Proprio questa terra, definita “citate de sognu,… ca brilla tutta de oru”, è la Musa ispiratrice di un susseguirsi di gioiosi e freschi quadretti, che ci fanno riscoprire il sapore di un mondo semplice e genuino, fatto di umili gesti e di una singolare vitalità.
Ed ecco “Lu scarparu”, “La Puritate”, “Jentu de sciaroccu” e tanti altri componimenti che sono squarci di vita gallipolina, ma di tanto in tanto trascendono questo ambito, ora per fissarsi in sentenze proverbiali, segno di una saggezza ancestrale, ora per innalzarsi a riflessioni di respiro universale. Voglio proporvi, in questo numero di Anxa, tre delle poesie di Antonio Fedele che mi sembrano le più adatte a “raccontare” Gallipoli e il suo mare.
Nella prima, attraverso la “festa di Santa Cristina” , la “festa” per eccellenza, si rivela la scoppiettante vitalità di una tradizione radicata nella gente e nei luoghi.
Le altre fissano in due immagini esemplari i due volti del rapporto contradditorio e sofferto tra la città e il mare: da un lato il binomio mare/amore, con un accorato invito all’amore universale, scaturito dall’osservazione della fauna marina; dall’altro quello stesso mare si trasforma in divinità oscura e minacciosa, che inghiotte e distrugge i suoi figli in un abbraccio mortale (Mare e morte).
Il mio vuole essere un semplice omaggio alla memoria di una persona che ha rappresentato una parte importante della mia infanzia e della mia vita e che, anche ora che non c’è più, continua a occupare un posto speciale nel mio cuore.
Giovanna TORSELLO