Storia di un viaggio di sola andata (Aveva un sogno…)
A volte può succedere che una storia, per il semplice fatto di essere appartenuta ad un passato molto lontano, rischi di perdere la sua importanza e finisca nel cassetto del dimenticatoio. Non può essere così, invece, quando essa ha come protagonista un giovane forte e determinato con il pallino del “sogno americano”, che un bel giorno decide, da solo e all’età di appena 21 anni, di imbarcarsi dal porto di Napoli per raggiungere gli Stati Uniti d’America. Siamo agli inizi del secolo scorso: il protagonista di questa storia è Cosimo Pacciolla, il più grande dei fratelli di mio padre. La motona- nave sulla quale s’imbarca è una vecchia carretta, una bagnarola destinata alla demolizione. Il suo nome è Blue Sky. Dopo una lunga carriera su e giù per le coste americane, riposava, malinconica, attraccata ad uno dei tanti moli di Baltimora guardando l’oceano speranzosa di poter, un giorno, riprendere il mare. Era stata acquistata, per pochi soldi, da un faccendiere italiano e trascinata avventurosamente attraverso l’oceano Atlantico sino in Francia dove, dopo essere stata messa a nuovo e ribattezzata con il nome di Blue Sky ( il vecchio nome era Silver Sky ), la sbarcò a Napoli, pronta a trasportare gli emigranti italiani verso i porti americani. La traversata, per giungere a New York, ( racconterà, poi, a sua madre, zio Cosimo), è lunga, irta di difficoltà e con inconvenienti di ogni genere. Dura quasi 30 giorni, durante i quali, la costante paura di non farcela, viene superata dal fervente desiderio di vivere, a tutti i costi , il sogno americano. La maggior parte delle persone imbarcate sono giovanissime e quasi tutte sole, tant’è che, nello spirito della grande solidarietà che si respira a bordo, non è strano che sia nato qualche amore. Blue Sky, dopo il lungo e duro viaggio, arriva finalmente a New York che è sera inoltrata, dopo aver sostato a Ellis Island, l’isolotto con la sua mitica Statua della Libertà, dove tutti i passeggeri devono passare il controllo documenti e la visita medica. Zio Cosimo è tra i fortunati: alto, robusto e sano com’è non gli è difficile passare, mentre altri vengono trattenuti per la quarantena ed altri ancora rimpatriati perché non in regola. Intanto Vincenzo, il fratello di mia nonna, che a suo tempo gli aveva fatto pervenire la documentazione valida per l’ingresso a New York, si dà da fare tra la folla, che gremisce la banchina, in cerca del nipote,sventolando un cartello con su scritto in grande “Cosimino Pacciolla”. L’incontrarsi non è difficile: un abbraccio forte, forte e caloroso sfocia in un grande pianto di gioia. Dopo essersi tranquillizzati a vicenda, guadagnano subito l’uscita dal porto e con un taxi raggiungono casa, dove una tavola imbandita di ogni bendiddio ed un letto, che zio Cosimo utilizzerà per ben due giorni di seguito, fanno la felicità del giovane. I primi tempi lavora nel laboratorio odontotecnico dello zio; provvede alle consegne a domicilio e a tutto ciò che può servire per tenere il locale in ordine. Intanto è importante imparare subito la lingua; perciò inizia a frequentare, con successo, un corso serale di americano, alla fine del quale ottiene il diploma con il giudizio di “very good”. Con il passare dei mesi, però, il forte desiderio di rendersi economicamente indipendente, lo spinge a cercare lavoro. Lo trova in una fabbrica di chiavi e serrature, nella quale rimane fino a quando non consegue il diploma di taxi-man. Fare il tassista per lui era stato sempre un chiodo fisso; districarsi per le vie di New York è motivo di grande soddisfazione e di fantasticherie: il suo sogno americano incomincia a prendere forma. Intanto i pochi amici che si è fatto, con i quali socializza in maniera perfetta, lo stimano e lo rispettano tanto da dargli l’appellativo di “big Jim”, a causa della sua statura e del suo portamento che incutono rispetto. Anche se il lavoro di tassista lo soddisfa appieno, zio Cosimo non si sente ancora del tutto realizzato. A lui interessa, perché ne è stato sempre attratto, l’ambiente del cinema, all’epoca muto e che intorno agli anni 30 diventerà sonoro. La bravura e la spericolatezza con cui guida le auto nei provini, convince i registi tant’è che arrivano subito i primi contrattini. Si girano inseguimenti ad alta velocità, sgommate e testacoda mozzafiato; diventerà di li a poco uno dei più spericolati stuntman del cinema muto in America. La grande occasione, però, per diventare veramente famoso ed avere il tanto desiderato contratto a tempo pieno, si presenta quando gli propongono di girare una scena molto pericolosa: deve effettuare un tuffo dal ponte di Williamsburg. Il Williamsburg bridge è uno dei ponti più antichi degli U.S.A.; più grande del Brooklyn bridge, ha una lurghezza di 2.200 metri, la larghezza di36 metri ed un’altezza delle torri, dal livello dell’acqua, di 102 metri. La proposta è allettante. In un primo momento, però, pensa di rinunciare; si sente con suo zio Vincenzo il quale lascia a lui la decisione anche se capisce che l’impresa è molto pericolosa. Il giorno seguente, dopo aver trascorso una notte molto agitata, ritorna convinto dal regista per dare l’o.k. e stabilire il giorno e l’ora esatta in cui si deve “girare”. Quel giorno, COSMO POCCOLL, così gli avevano americanizzato il nome, si presenta sul set, come una star, pronto e deciso ad eseguire il suo “ultimo lavoro”: il destino crudele lo stava chiamando a se. Effettuati tutti i preparativi di rito e dopo che l’asticella del “ciak, si gira” scandisce il suo classico secco rumore, zio Cosimo si lancia nel vuoto, compiendo un magnifico tuffo, seguito dagli scroscianti applausi del pubblico, che nel frattempo si è raccolto numeroso per assistere alla scena. Solo che zio Cosimo non riemergerà più. Dopo diverse ore verrà recuperato dai sommozzatori, giunti sul luogo numerosi, in un punto molto lontano da dove si è tuffato. La disperazione di suo zio Vincenzo è grande , come pure quella di tutta la troupe. Non si riesce a capire come sia potuto succedere; forse la proposta di fare un tuffo da quella altezza non gliele avrebbero dovuta mai proporre. Intanto, accompagnato dal magistrato di turno, dopo qualche ora, arriva il medico legale, che presa in consegna la salma accerta che “la causa della morte è avvenuta per asfissia in seguito ad un tuffo dal ponte di Williamsburg per uno stunt cinematografico.” La gente , che prima aveva felicemente applaudito, era diventata muta e angosciata e man mano che andava via commentava l’accaduto. A Gallipoli la notizia arriva tramite le autorità consolari; la disperazione della nonna ( sua madre) è grande: perdere un figlio all’età di 25 anni e per giunta non poterlo piangere da vicino è ancora più straziante. Si era spezzata così tragicamente la vita di un giovane che era partito da Gallipoli con in tasca “il sogno americano”: quello di diventare un giorno famoso in quel paese. Da quel 30 agosto 1924 e sino ai giorni nostri, di zio Cosimo si parlerà sempre sia in famiglia che con amici e conoscenti. A nessuno dei fratelli, però, in tutti questi anni, è venuto in mente di cercare di sapere dove riposano le sue spoglie; se esistono ancora o se sono andate a finire in qualche fossa comune. Questa voglia di indagare, invece, prende me in maniera prepotente a tal punto che ogni occasione, ogni contatto con nuovi e vecchi amici è buono per tentare. La buona occasione si presenta un giorno di diversi anni fa quando, durante uno dei miei tanti viaggi, mi trovo una sera a cenare con degli amici all’Henninger Turm Restaurant di Francoforte sul Meno in Germania. Al nostro tavolo, essendo rimasti vuoti alcuni posti, perché altri amici non avevano potuto raggiungerci, il cameriere ci chiede se può aggiungere due altri coperti. Il nostro si è cordiale e deciso. Gli ospiti sono una coppia di americani della nostra stessa età; facciamo subito amicizia. Lui, strano caso , ha origini gallipoline , mentre lei è americana verace. Ci tengono a dirci che si sono conosciuti in Sicilia durante lo sbarco delle truppe alleate per la liberazione dell’Italia dalla dittatura nazi-fascista. Lei ufficiale dell’esercito americano, mentre lui sottofficiale di quello italiano allo sbando. Ci sottolineano che il loro fu amore a prima vista, tant’è che Mario non rinuncia a partire con Carol per l’America ( questi i loro nomi ) quando alla fine del suo servizio militare in Italia, deve rientrare in patria. Avverto subito che l’occasione è buona per parlargli di zio Cosimo e del mio grande desiderio di sapere dove si trova sepolto. Alla fine del racconto Carol mi chiede se ho con me qualche riferimento; mi prometto di farle avere una copia fotostatica del ritaglio del giornale “New York America” del 31 agosto 1924, dov’è riportato tutto l’accaduto. Intanto le ore, che sono trascorse veloci, ci dicono che si è fatto molto tardi. Ci salutiamo tutti cordialmente con la promessa, da parte di Carol e di Mario, che sarebbero venuti a Gallipoli non appena in possesso di eventuale documentazione. Passano diversi anni ed un bel giorno, come per magia, si presentano nel mio studio Carol e Mario sorridenti con delle buste piene di documenti: erano riusciti a procurarsi tutta la documentazione che mi interessava e che tanto mi ha aiutato a scrivere questa interessante e commovente storia. Lei , che dopo il servizio nell’esercito, era entrata a far parte della polizia criminale di New York non aveva avuto difficoltà a cercare notizie e documenti di zio Cosimo, aiutata anche dall’amministrazione locale di New York, guidata all’epoca dal sindaco Rudolf Giuliani. Zio Cosimo, si legge in uno dei tanti documenti, è “ seppellito nella tomba n°586, lotto n° 1 adulti il 4 settembre 1924; nella stessa tomba vi sono anche le spoglie di suo zio Vincenzo deceduto il 9 settembre del 1939. Solo con l’autorizzazione del tribunale territoriale, le spoglie di Cosmo Pacciolla possono essere translate in Italia”. Il mio desiderio veniva così esaudito. Sapere,dopo tanti anni, dove sono le spoglie di zio Cosimo è oggi, per tutti noi famigliari, motivo di serenità. Con Carol e Mario , che non finirò mai di ringraziare, continua tutt’ora un ottimo rapporto di amicizia.