L'antica organizzazione geodetica del Salento

Nella sua visione antropocentrica l’essere umano si è relazionato con lo spazio circostante stabilendo le direzioni verso cui muoversi: avanti, dietro, destra, sinistra, alto, basso. Ha perlustrato il territorio tanto in orizzontale, con uno sviluppo direzionale a raggiera rispetto al luogo di stazionamento privilegiato, quanto in verticale, scendendo nelle viscere della terra o elevandosi sulle alture emergenti nel territorio. Facendosi guidare dal Sole lungo percorsi diurni giornalieri ha sviluppato vettori di lunghezze uguali così che, completata la raggiera della perlustrazione radiale, a compimento di un giro completo di 360 gradi intorno all’altura, era trascorso un tempo di 360 giorni, corrispondente all’anno tropico ideale. Tale virtuale circonferenza si poteva concretizzare collegando tra loro tutti i segnacoli eretti giornalmente a fine percorso e compiuti in un anno solare. Se il passo radiale si prolungava per uno o più giorni in allontanamento dal centro di partenza le circonferenze si ampliavano espandendosi a “macchia d’olio”. Una serie di circonferenze concentriche annuali congiunte con i “vettori radiali” giornalieri costituiva un insieme geometrico richiamante nella sua forma la struttura della “tela del ragno”.
Stiamo parlando della formazione dei “calendari megalitici”, strutture circolari presenti in molte parti del mondo, di cui restano le vestigia anche nel territorio italico e soprattutto in Puglia. Il Salento è denominato “terra di aracne”, non solo perché corrisponde all’habitat della locale tarantola aracnide, a cui si richiama il rito di religiosità minore orientato alla guarigione delle vittime del suo morso, ma anche perché mantiene impressa sul suo territorio l’impronta di strutture megalitiche a forma di “ragnatela”.
L’innovativo studio di paleo e archeo-astronomia, che tratta dell’orientamento astronomico dei monumenti e della suddivisione territoriale secondo precise mappe celesti, ha condotto al recupero di un’antica memoria storica e all’individuazione della polifunzionalità delle strutture megalitiche. Studiando a fondo la logica del dominio visivo e territoriale attuata dall’antico popolo è stato possibile risalire al modello della distribuzione organizzata dei monumenti megalitici salentini e scoprire che tra le tante funzioni di quei monoliti calcarei elevati a fatica sul terreno vi era anche quella primaria dell’organizzazione geodetica del territorio. L’antico popolo che, alle diverse latitudini e seguendo precisi criteri distributivi, elevò sulla Terra megaliti astronomicamente orientati ancora molti millenni prima di costruire in pietra il circolo megalitico di Stonehenge (in sostituzione dei palei lignei lì elevati con la medesima intenzione astronomica sin dall’VIII millennio a.C.), raggiunto un territorio, costruiva “calendari di pietra” intorno ad un centro costituito da un’altura e ne organizzava il paesaggio in “celle geodetiche” circolari, adiacenti e a volte compenetranti.
Il Salento conserva traccia di tale suddivisione paesaggistica fino al I millennio a.C. poiché Japigi e Messapi operavano secondo la medesima logica distributiva degli spazi, ereditata dall’antico popolo costruttore dei megaliti.
I centri di tali “celle geodetiche” sono localizzabili sulle alture più elevate delle Serre Salentine, distinte tra adriatiche e ioniche. Le adriatiche appaiono allineate astronomicamente con le tre stelle della Cintura di Orione, Mintaka, Alnilam e Almitak. Sono, da nord a sud, la Specchia dall’Alto, tra Lecce e San Cataldo, il cui toponimo rimanda all’antico cumulo megalitico, la Specchia dei Mori sulla Serra di Martignano e la Specchia di Monte Vergine, già esistente sull’altura oggi contrassegnata dalla presenza di uno svettante menhir e da un Santuario ipogeo dedicato alla Madonna, che perpetua l’antica sacralità del luogo.
I centri geodetici megalitici collocati sulle alture delle Serre Ioniche sono rappresentati dalla Serra S. Eleuterio e dalla Serra di Ruffano, dove esiste ancora la Specchia del Corno nel territorio compreso tra Ugento e Taurisano. Interseca entrambe, estendendo il suo dominio in parte verso l’entroterra ed in parte verso il mare Ionio, la cella più prossima al territorio di Gallipoli, che ha il suo centro sul Monte Li Specchi, dove la funzione della specchia megalitica è rimarcata dall’indicazione di “punto geodetico IGM”.
Le celle geodetiche salentine raccontano la storia del Salento, stratificata sulle forme “radiali” e a “macchia d’olio”, impresse all’origine dai costruttori di megaliti per mezzo di segnali litici, distribuiti con avveduta funzionalità su tutto il territorio. In prossimità di specchie, dolmen e menhir (ma spesso in loro sostituzione) sorsero, infatti, insediamenti stabili neolitici e messapici e successivamente insediamenti basiliani, casali medievali, masserie, torri fortificate, chiesette campestri, cappelle ed edicole, tutti con manifesti riferimenti astronomici ai fini di mantenere il vincolo di quel rapporto sacro tra terra-cielo sancito sin dall’origine e faticosamente tramandato attraverso le varie epoche storiche. La cella geodetica avente il centro su Serra S. Eleuterio, pur estendendosi verso l’entroterra fino ai limitrofi centri di Monte Vergine e della Specchia dei Mori, rispetto ai quali è equidistante così da costituire insieme a quelli un triangolo isoscele che rappresenta il “cuore geodetico” del Basso Salento, caratterizza con la sua impronta storico-artistica il territorio di Gallipoli prevalentemente nel settore occidentale, prospiciente il mare Ionio. In un’ampiezza compresa entro il limite massimo del percorso che il Sole può apparentemente compiere annualmente sull’orizzonte passando dall’estremo punto di sud-ovest al tramonto del solstizio estivo a quello di nord-ovest al tramonto del solstizio invernale (per l’oscillazione cui è soggetta la Terra ruotando intorno al suo asse obliquo) si concentra un “palinsesto” di storia rappresentata da monumenti storico-artistici astronomicamente orientati. Furono costruiti in epoche successive da varie culture di diverso credo religioso, ma tutti furono basati sulla consapevolezza che l’effetto trottola della Terra, generalmente benefico poiché permette l’alternanza delle stagioni monitorate attraverso l’escursus all’orizzonte del Sole tra i solstizi, in alcuni momenti poteva essere causa di fenomeni distruttivi, provocati da elettromagnetismo caotico circolante nel sottosuolo. Con il punto di osservazione collocato sulla Serra S. Eleuterio, dove si apre la Grotta delle Veneri di Parabita, un sito paleolitico frequentato sin dal Gravettiano, si procede dall’entroterra verso il mare in un settore di terraferma dove si riconoscono ancora alcune testimonianze megalitiche nella specchia di Monte Li Specchi, nel menhir di Castelforte associato allo specchione di Taviano e nei resti del dolmen D’Ospina, presso la masseria omonima. Procedendo verso il mare, nell’area litoranea della zona Campo, che dà direttamente sulla baia di Gallipoli, si risale ai modelli derivati dal primitivo impiego delle rocce naturali in funzione di osservatori astronomici o adattate a forma di arcaico dolmen, nei cui pressi esisteva già un piccolo menhir. Osservando l’orizzonte sul mare dalla Serra S. Eleuterio, i siti di Monte Li Specchi e l’altura di Serra San Mauro corrispondono ai due estremi della base del triangolo equilatero del relativo settore, indicanti l’uno il luogo S-W all’orizzonte del tramonto del solstizio estivo l’altro a N-W il luogo del tramonto del solstizio invernale. In posizione centrale, equidistante da San Mauro e da Monte Li Specchi ed allineata con Serra S. Eleuterio vi è la chiesa di San Pietro dei Sàmari a sottolineare la luminosità equinoziale, già messa in relazione con la resurrezione di Cristo avvenuta in equinozio di primavera, il cui riferimento al Sole invitto permise a Costantino di far accogliere il cristianesimo anche tra coloro che alla sua epoca praticavano gli antichi culti delle divinità solari Mitra e Horo. Nel settore nord-ovest che si estende tra il sito dei Sàmari e l’altura di San Mauro, ossia tra gli indicatori dell’apparente tragitto solare compreso all’orizzonte tra il punto equinoziale e e il solstizio estivo, gli stadi intermedi sono marcati da numerosi luoghi di culto extra-urbani, costruiti in epoche diverse, quali le chiese di San Salvatore, di Santa Maria della Lizza, della Madonna delle Grazie, dei Cappuccini, di S. Anastasia, del Carmine. Nel settore che si estende invece verso sud-ovest, al di là del Fosso dei Samari, meno antropizzato a causa dell’estesa palude della località Li Foggi ancora esistente nella prima metà del Novecento, si elevano in posizione strategica per il dominio visivo del territorio, con riferimento al solstizio invernale, solo le masserie Sauli e Giannelli.
Collegati da una “ragnatela” di strade e nodi stradali ad orientamento centrifugo dalla Serra S. Eleuterio sono distribuiti i paesi gravitanti “a macchia d’olio” intorno all’altura. I più vicini al centro sono Parabita e Matino, collocati sulla circonferenza minore. Poi vi sono Tuglie e Casarano sulla successiva, cui segue la circonferenza sulla quale vi sono Neviano e San Simone. Sulla seguente si collocano Alezio e Supersano. Si continua con quella passante per Aradeo, Sannicola, Taviano, Melissano, Cutrofiano e l’antico casale di Sirgole, presso Noha. Sulla circonferenza comprendente la chiesa della Madonna delle Grazie e San Pietro dei Samari di Gallipoli vi sono anche Racale e Ruffano e sulla successiva Alliste, Taurisano, Torrepaduli, Sogliano e Noha. La circonferenza passante per Galatone comprende San Mauro e il Colle dei Cappuccini di Gallipoli e prosegue per Monte Li Specchi, per Felline, Ugento e Galatina. Quella che ingloba Gallipoli prosegue a Sud verso la baia e risale sulla terraferma nella località costiera di sud-ovest Capilungo dove, rivolta verso il mare, vi è la chiesa dedicata alla “Madonna della Luce”. Dopo Posto Rossi, la medesima curva, sulla quale si collocano Gemini, Cardigliano, San Cassiano, Corigliano e Soleto, passata in prossimità di un’altra chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie appartenente al territorio di Nardò, si immette nuovamente nel mare Ionio nella località costiera di nord-ovest denominata Santa Maria al Bagno.
Similmente collegate tra loro per mezzo di circonferenze virtuali sono le masserie fortificate e le chiese campestri, sorte verosimilmente sui luoghi dove a marcare l’espansione megalitica delle millenarie celle geodetiche vi erano i segnacoli litici dei menhir. Là dove invece non vi fu alcuna sostituzione si ha la sensazione di avvertire lo stesso la loro imponente presenza negli spazi triangolari o quadrangolari che separano le strade campestri in forma di incroci “a bivio”, “a trivio” o “a quadrivio”, lungo quei percorsi stradali che, se pur tortuosi, seguono comunque l’orientamento radiale impresso in origine dai monoliti, finora ritenuti misteriosi e inquietanti, ma che tra le tante funzioni annoverano anche quella pratica di marcatori geodetici dell’antica organizzazione territoriale di origine megalitica.

Marisa GRANDE