Le candele di Kavafis e la Speranza

Stanno i giorni futuri innanzi a noi
 come una fila di candele accese, 
dorate, calde e vivide.
Restano indietro i giorni del passato,
penosa riga di candele spente:
le più vicine danno fumo ancora,
 fredde, disfatte e storte.
Non le voglio vedere: m’accora il loro aspetto, 
la memoria m’accora il loro antico lume.
 E guardo avanti le candele accese.
Non mi voglio voltare, ch’io non scorga, in un brivido,
 come s’allunga presto la tenebrosa riga,
 come crescono presto le mie candele spente.

Costantino Kavafis, nato ad Alessandria d’Egitto il 29 aprile 1863 da genitori greci originari di Istanbul e morto nella stessa città nilotica il 29 aprile 1933, è stato un poeta decadente e poliedrico, assai problematico e discusso. Ha vissuto in una difficile epoca storica e politica, tra varie traversie e sofferte vicissitudini, tutti i suoi 70 anni di una complicata esistenza non certo esaltante, attraversando tutte le esperienze culturali a cavallo di due secoli.
Questa sua poesia ha affascinato il lettore di qualsiasi età e cultura, ma ogni volta che la si legge si rischia d’interpretarla in maniera diversa. Non si sa tuttavia fino a che punto possa tradire pessimismo o il suo contrario. Si basa su una singolare analogia o metafora: da una parte una fila di candele dinanzi ancora accese e dietro già spente, dall’altra le giornate che compongono tutte le tappe della nostra vita, dal primo vagito sino alla scena finale dell’ultimo atto, al calar del sipario.
Kavafis paragona ogni giorno ad una candela che, sino alle ultime 24 ore vissute per intero, resta accesa e splendente per poi spegnersi del tutto prima dell’alba successiva, non senza emettere per un po’ l’eterea scia di fumo tipico delle candele appena spente. Infine resta lì in disparte disfatta e fredda, sempre più lontana, derelitta e dimenticata nella lunga, penosa fila di candele spente, che inesorabilmente si allunga nella stessa misura in cui in gran fretta si accorcia quella delle restanti candele sempre accese. Ma anche queste, in successione, si apprestano a loro volta a spegnersi quanto prima, allorché a turno saranno dietro di noi, sempre più ansiosi di vivere il resto dei nostri giorni, del futuro da consumare in qualche modo sino allo spasimo finale.
Il poeta greco però non intende minimamente guardarsi alle spalle per non rabbrividire terrorizzato dalla fila sempre più lunga di candele spente, che via via si moltiplicano dietro di lui. Non rischia di sentirsi intristito dal rapido allungarsi della “tenebrosa riga”, che tuttavia ha pure rischiarato o segnato nel bene e nel male la sua vicenda esistenziale, la sua storia vissuta o subita. E probabilmente lui, proprio lui ha ben ragione. Ma non si può generalizzare!
I versi, nel loro apparente pessimismo, in realtà incitano non tanto a vivere e godere il più possibile la luce, il calore, la fiammella giocosa di ognuna di quelle candele così come una dopo l’altra si avvicinano (“carpe diem”), quanto, secondo Blade Runner, a “sognare il futuro”, quel che a sorpresa ci attende e che il destino nella sua ignota imperscrutabilità ci ha prescritto in modo ineluttabile. Tutto sommato, sarebbe pure preferibile guardare avanti anziché voltarsi e ripensare al passato con rammarico o nostalgia, se non con terrore e smarrimento. D’altra parte cosa sarebbe la vita priva di sogni reali da proiettare negli anni a venire? In fondo in fondo sognare è come sperare. In un caso o nell’altro non costa poi nulla!
La poesia si presenta piuttosto originale, ma riesce soprattutto gradevole nella forma e nella sostanza, contenuto e messaggio inclusi. Personalmente, esaminandola in profondità, la giudico con velato ottimismo, dal momento che la memoria residua, passati gli anni, non può continuare a costituire uno spauracchio o a produrre, al di là di qualche pentimento, persino malumori e risentimenti. A dire il vero, se pensare è l’attività primaria dell’essere umano, a chiunque può succedere di fermarsi un solo istante sui suoi passi a meditare. A chi non è mai successo di sentirsi talora indotto a voltarsi per fare un rapido consuntivo sui suoi trascorsi, analizzare con cura entrate ed uscite, luci ed ombre e poi riflettere soggettivamente sul bene e sul male comunque vissuti in prima persona, curioso di sapere quanto c’è ancora in attivo su cui contare e da poter spendere?
Per ponderare su fatti e misfatti con estrema serenità seppur con amarezza, a nessuno di noi può spiacere contemplare la lunga teoria delle candele irreparabilmente consunte che si allontanano dietro le spalle senza più l’odore del flebile filo di fumo. Si può essere assolutamente certi che, sebbene ormai prive della loro luce fioca o radiosa, tante di queste, e non tutte, divengono oggetto dei nostri pensieri. Le osserviamo senza indifferenza e ci diletta o ci lusinga immaginarle ancora accese, perché, non si può negare, qualcosa di positivo ci hanno persino insegnato arricchendo la nostra formazione e maturità, se è vero che ognuno, nell’aggiornare e perfezionare il metro di valutazione, impara invecchiando e persino errando, come insegnavano gli antichi. La storia, letta in tutti i suoi risvolti per capitoli e paragrafi, non è maestra di vita e soprattutto di esperienza perenne? È così per tutti noi, indistintamente.
Esperti del nostro vissuto e più che mai rinsaviti, dopo aver riavvolto il nastro del film e rivisitato la trama della nostra storia trascorsa all’interno della convivenza civile e sociale, quante scelte sbagliate non faremmo più o quali percorsi di vita potremmo modificare se non proprio azzerare e cancellare dalla memoria? E quali compagni di viaggio o di ventura saremmo costretti saggiamente a selezionare, scartare e rinnegare o quali mestatori incalliti e faccendieri di mestiere dovremmo smascherare a tempo, allontanandoli all’istante dal nostro cammino in malo modo e con fierezza, senza più subire affettate adulazioni o subdoli raggiri? Col senno di poi, più agguerriti e smaliziati, sempre privi di insipienza o imprudenza, analizzando con naturalezza e con acume il sugo della storia, potremmo indubbiamente meglio adeguare, correggere e mettere in sicurezza il registro dei nostri anni impegnati a contrastare la tracotanza e la cupidigia di lupi famelici, serpi velenose e marpioni matricolati, tempo speso in piena onestà, mai esercitata in totale incoscienza, se siamo sopravvissuti fortunosamente senza un minimo di recriminazione o di vergogna, ancora liberi di andare avanti a testa alta tra gente perbene per raccoglierne favori e consensi a larghe mani.
Non è tra l’altro proprio peregrina e banale la teoria agostiniana del tempo: ciascuno di noi in verità è oggi il risultato esatto del suo passato, sicché il presente che ne discende non può che essere la diretta conseguenza del suo vissuto. Generalmente credo sia così per tutti, senza distinzioni. Ma, a ben vedere, il problema potrebbe anche essere un altro: se le candele nel trascorrere frenetico dei giorni e poi degli anni sono destinate a spegnersi per propria naturale consunzione, francamente l’idea che qualcuna si possa spegnere accidentalmente per mia incuria non mi rende per nulla entusiasta né tranquillo! Come dire che ogni giorno della nostra vita pubblica o privata, che nel presente vediamo come passato, così come sarà già passato appena domani lo stesso futuro incalzante giorno per giorno, non può non lasciare traccia concreta del nostro passaggio nel partecipare con impegno, nell’essere protagonisti attivi e sempre presenti. Proprio questa certezza è la maggiore consolazione che ci sorregge e ci invita alla responsabilità, come dovere etico per noi stessi e lezione di civiltà per gli altri.
In definitiva, ogni candela, sebbene in realtà materialmente consunta, non ci deve per nulla spaventare e deprimere fino all’amaro sconforto ed alla rassegnazione, ma dovrà conservare esemplarmente, con serenità e fiducia, almeno qualche riverbero racchiuso nella memoria e nella coscienza, a rischiarare la breve rotta che ancora ci resta, sufficientemente illuminata dalle altre candele già accese da tempo. Ma senza rimpianti né illusioni. Purché perduri costante l’autostima insieme con la netta consapevolezza della nostra dignità e identità mai perduta. Che anzitutto, contro l’angoscia opprimente con il suo grave bagaglio di problemi esistenziali, sia sempre viva ed eterna la speranza, l’ultima candela, la luce più intensa che nell’uomo, anche il più scettico, ma sorretto da orgoglio e audacia, non si può mai spegnere!
                                
Gino SCHIROSI