“Chi teme ogni nube non parte mai”
P. Morand, Viaggiare
Nel campeggio Baie du Lévrier si respira un’aria cosmopolita; i viaggiatori presenti, quasi tutti francesi, sono appena una decina.Sono stanco ed affamato e non ho voglia di montare la tenda ; decido quindi di prendere una stanza. Dopo aver sistemato le mie cose e fatto una bella doccia con la quale scarico la tensione accumulata durante l’intera giornata, vado nel piccolo foyer dove ritrovo i miei amici e cinque francesi, i quali si stanno recando in Senegal per una missione di solidarietà .Hanno preparato già la cena: una minestra di verdure in cui galleggiano alcuni pezzettini di carne di cammello. Tutto il foyer è pervaso da un buonissimo odore che fa sussultare il mio stomaco vuoto da molte ore. Mi invitano a sedermi a tavola e a condividere la loro cena. Io ed i miei compagni di viaggio accettiamo senza complimenti, mettendo a tavola a nostra volta le scatolette di sardine, la frutta e due confezioni di biscotti acquistati a Dakhla. Il dopocena è piacevolissimo. I Francesi sono molto loquaci. Il più simpatico è Jean-Claude, che avevo già incontrato nei pressi di Laâyoune,quando m’ero fermato fermato ad osservare i pescatori che con delle canne rudimentali catturavano enormi bocchedoro, seduti sul bordo della falese. In quel frangente c’eravamo scambiati un semplice saluto di cortesia,come si fa di solito tra viaggiatori in quelle lande deserte.Parla delle sue esperienze in Africa, dei progetti di solidarietà a cui ha collaborato.Viaggia con un piccolo camper attrezzato per le piste africane e sta andando a Ouagadougou, nel Burkina, dove successivamente lo raggiungerà sua figlia. Parlo del mio viaggio in vespa, della mia intenzione di arrivare sino in Congo, per navigare sul grande fiume e passare in Africa orientale. Le mie parole suscitano solo un po’ di meraviglia nei miei interlocutori: è tutta gente avvezza a viaggiare in condizioni difficili. Qualcuno,tuttavia, esprime qualche preoccupazione,perché alcune zone che dovrò attraversare sono piene di pericoli, soprattutto nella Repubblica Democratica del Congo. E’ già tardi,tutti sono molto stanchi ed io più di loro. Prima di dormire, sistemo la mia zanzariera, poi mi distendo sul letto pensando al Congo.Le parole che sono state dette risuonano sinistre nella mia mente, ma poi mi dico che non vale la pena di preoccuparsi per qualcosa che è ancora abbastanza lontano nel tempo e nello spazio La mia inquietudine si scioglie piano piano in un sonno tranquillo che mi accompagna sino all’alba. Nouadhibou, all’origine Port-Etienne, era in principio il terminale della linea ferroviaria costruita dai francesi per il trasporto del minarale ferroso estratto dalle miniere di Zouérate. E’ stata in passato uno scalo dell’Aéropostale: è qui che si svolge una parte della vicenda raccontata nel bellissimo romazo Terre des hommes di Saint-Exupéry. Oggi la città conta 95.000 abitanti ed è un grande porto di pesca bagnato da acque rese pescosissime dalla corrente proveniente dalle Canarie e sfruttate intensivamente, soprattutto da flottiglie Coreane e giapponesi.Ogni giorno un lunghissimo treno parte da Nouadhibou in direzione di Zouérate, distante 700 km per caricare minerale. E’ il treno più lungo del mondo: 2 km per 200 vagoni. Qualche anno fa, attraversato da poco il confine mauritano, m’ero fermato per una sosta presso i binari della linea ferroviaria, con la segreta speranza di veder passare il mitico treno .Ero stato fortunato. Un brusio continuo mi aveva detto che esso stava per sopraggiungere; quel ronzio s’era trasformato gradualmente in un rombo cupo via via sempre più forte; poi il treno si era materializzato tra le dune come un enorme fantasma; per un tempo lunghissimo aveva sfilato davanti a me con le sue possenti motrici e i suoi innumerevoli vagoni carichi di minerale,di animali, di persone e di merci di ogni genere. A Nouadhibou c’è ben poco da vedere o da fare, tuttavia vi resto due giorni per riposarmi e recuperare le forze.540 km è la distanza che separa Nouadhibou da Nouakchott, la capitale della Mauritania. Avevo già percorso questo itinerario nel 2002 con la mia Land Rover; un’ esperienza fantastica tra bellissime dune e lande completamente disabitate. Negli ultimi 200 km, dopo Nouâmghâr,approfittando della bassa marea, avevo viaggiato sulla spiaggia,costeggiando l’oceano .Una situazione pericolosissima, perché se avessi avuto un guasto, il mio rientro sarebbe stato impedito dalle altissime dune che arrivavano sino alla battigia; il ritorno dell’alta marea avrebbe sommerso la Land. Ora non si rischia più nulla: un nuovissimo e ottimo asfalto ti permette di percorrere l’itinerario in un solo giorno invece dei due tre di prima. La nuova strada rende l’itinerario meno suggestivo, ma a me interessa arrivare a Nouakchott nel più breve tempo possibile. All’alba saluto i miei amici danesi, varco il recinto del campeggio e cerco di uscire dalla città. Non è una cosa facile, visto che non ci sono cartelli stradali e spesso la gente non sa dare informazioni. In periferia devo stare molto attento ai cumuli di sabbia che a volte ricoprono l’intera carreggiata e che sicuramente mi farebbero cadere. Alle 08.00 Nouadhibou è oramai alle mie spalle; arriverò nella capitale alle 18.00, facendo solo qualche sosta sulla strada, per sgranchirmi le gambe e mettere qualcosa sotto i denti. A Nouakchott rimango un solo giorno, alloggiando all’ Auberge Menata che già avevo conosciuto e di cui avevo apprezzavo l’atmosfera accogliente, la pulizia accurata e il basso prezzo delle camere. La mattina, nella hall ritrovo Jean-Claude; ci scambiamo un saluto caloroso,come due vecchi amici. Alle 0900 ha appuntamento con l’agente della compagnia assicuratrice Alliance D’Assurances per stipulare una polizza assicurativa per il suo camper. Mi consiglia di fare la stessa cosa ed io assicuro la vespa per un periodo di tre mesi,dal 24/3/07 al 23/6/07: La polizza copre i rischi di incidenti in tutti i paesi della CIMA, tra i quali Bénin, BurkinaFaso, Cameroun, Congo, Gabon, Guinea Equatoriale, Mali, Sénégal, Togo, paesi che ho deciso di attraversare. La mattina del 25 lascio Nouakchott alla volta del Sénégal, una tappa di 204 km.Per entrare in Senegal ho due possibilità: arrivare a Rosso, disbrigare le pratiche doganali , salire sulla chiatta a motore per attraversare il fiume Senegal e giungere a Rosso-Senegal per le altre pratiche doganali al posto di frontiera di Richard. Oppure ,una volta arrivato a qualche chilometro da Rosso, posso svoltare a destra,percorrere uno sterrato di 160 Km e giungere alla diga di Diema e lì attraversare la frontiera. Rosso è un posto molto temuto anche dai viaggiatori più esperti. Il luogo è frequentato da ladri, da improvvisati procacciatori di affari, da gente che si offre di risolvere i tuoi problemi doganali ,ma in realtà vuole quasi sempre fregarti. Ma io non ho proprio voglia di farmi i 160 Km di pista per Diema; decido quindi di andare a Rosso. Non appena arrivo alla mia meta sono letteralmente circondato da decine di persone che si offrono di aiutarmi nelle pratiche doganali. Potrei facilmente fare tutto da me, ma sono solo e non voglio lasciare la vespa incustodita perché sicuramente verrei derubato. Un anziano molto gentile,vedendomi in difficoltà, si avvicina e mi dice di stare attento perchè tra le persone che sono attorno a me ci sono dei ladri. Poi, mi indica un ragazzo di cui posso fidarmi e a cui affido i miei documenti: bisogna far apporre il visto d’uscita sul passaporto, registrare il passaggio della vespa sul carnet de passage ed infine devo presentarmi di persona all’ufficio di polizia per il mio riconoscimento. Per sicurezza faccio allontare una decina di curiosi dalla vespa, poi io stesso mi posiziono ad una distanza tale da poter tenere sotto controllo l’intero bagaglio. La chiatta è già attraccata al molo e le operazioni d’imbarco sono iniziate nel caos più totale. Facchini grondanti di sudore portano sulle loro spalle enormi pesi, pick-up stracarichi di merci di ogni sorta arrancano sulla pedana d’imbarco della chiatta; il conducente di un grosso camion protesta urlando perché il responsabile addetto al carico non vuole farlo salire a bordo per mancanza di spazio. Arriva la polizia e mette fine all’alterco che sta per degenerare. Le urla della gente, i clacson che suonano a tutto spiano, il rumore assordante dei motori, i cui fumi di scarico appestano l’aria creano un’atmosfera da bolgia infernale. Dopo un ventina di minuti, il mio emissario è già di ritorno: tutto è stato controllato e timbrato. Devo soltanto presentami all’ufficio di polizia e fare il biglietto. L’uscita dalla Mauritania m’è costata 30 euro, somma comprensiva della paga al ragazzo-emissario e della mancia ai doganieri: è molto di più di quello che avrei speso io, ma a Rosso non potevo fare altrimenti. Dieci minuti circa per attraversare il fiume Senegal. Sulla chiatta sono l’unico bianco. Sull’acqua giallastra numerose piroghe fanno la spola tra le due sponde; ho la sensazione che qui sia cominciata davvero l’Africa nera. Sulla sponda senegalese si rinnovano le offerte di aiuto, ma qui farò da solo km. La strada per Saint-Louis è buona e l’itinerario piacevole. Nei villaggi la gente ozia sotto l’ombra di immensi manghi,i cui frutti in questo periodo dell’anno non sono ancora maturi.Quando mi vedono passare, i bambini mi chiamano toubab che in lingua wolof significa bianco o europeo.
A Saint-Louis starò presso la famiglia di Hibou che, sposato con un’italiana, risiede da molti anni nel Salento e che ora è lì in vacanza, presso i suoi genitori. Scorgo le prime abitazioni della città; mi fermo e chiamo col telefonino il mio amico Hibou per annunciargli il mio arrivo. Non crede che io sia davvero arrivato in Senegal con la Vespa, gli sembra una cosa impossibile; comunque mi dà appuntamento al mitico Café de laPoste .A circa 2 km da Saint-Louis, un poliziotto della stradale mi blocca per un controllo dei documenti. Gli mostro la patente nazionale, quella internazionale, il libretto di circolazione e quello internazionale rilasciatomi dalla Motorizzazione, il passaporto con regolare visto d’ingresso, il Carnet de passage ed infine il tagliando dell’assicurazione che ho stipulato a Nouakchott: ho più documenti di quelli richiesti normalmente ad uno straniero che voglia visitare il Senegal. Il poliziotto è intenzionato a trovare per forza qualcosa che non va ed io so gia dove vuole andare a parare. Si mette ad ispezionare la vespa, poi mi dice che deve farmi una multa perché il bagaglio che è sul portapacchi anteriore nasconde alla vistale frecce lampeggianti. Con i miei documenti in mano se ne va nel suo gabbiotto. Parcheggio la vespa e lo raggiungo sapendo già quale trattamento usargli. Avevo già in passato sperimentato l’aggressività dei poliziotti senegalesi ed i loro tentativi di estorcermi del denaro con mille pretesti e me l’ero sempre cavata senza sborsare un solo franco CFA. Non ho intenzione di perdere molto tempo e per giunta sono stanco morto. Quando entro nel gabbiotto mi dice che se voglio evitare la multa gli devo dare 20 euro. Gli rispondo che non gli darò nemmeno un centesimo; aggiungo che per venire a visitare il suo paese ho percorso più di 4000 km , che ci sono venuto su consiglio di due miei amici senegalesi che vivono in Italia, i quali aspettano che ritorni per conoscere le mie impressioni sul Senegal. A Mamadou N. e a Babkar S. sarò costretto a riferire che il loro paese è una terra meravigliosa, che il popolo senegalese è ospitale e gentile, ma che i poliziotti angustiano e maltrattano i turisti. Aggiungo ancora che un poliziotto è la carta di visita del proprio paese e non deve chiedere denaro ai turisti per nessuna ragione. Le mie parole dette con voce ferma e con un francese fluente spiazzano il poliziotto. Esco dal gabbiotto; prendo il telefonino ed improvviso una telefonata ad un inesistente colonnello; gesticolo, rido e scherzo, millantando una solida amicizia con lui. Il poliziotto ascolta ed incomincia a preoccuparsi. Chiudo la conversazione con il mio immaginario “alleato”, vado a sedermi sulla vespa, in fiduciosa attesa. Non sono passati nemmeno due minuti ed eccolo venire verso di me per restituirmi i documenti e chiedermi scusa. Sinceramente mi dispiace che si sia creata questa situazione. So che il suo salario è misero, e poi non voglio dare un su di lui un giudizio morale. Ricordo a me stesso che vivo in paese dove la corruzione è diffusa, e a tutti i livelli. Questo pensiero ritornerà nella mia mente e mi darà la forza di restare calmo le centinaia di volte che mi scontrerò con la corruzione di funzionari, di poliziotti e di militari in quasi tutti i paesi che attraverserò. Solo in due casi cederò, mio malgrado, alle richieste estorsive: per salvarmi da un sicuro arresto a Mbandaka su fiume Congo e per stanchezza a Bukavu,prima di uscire dalla Repubblica Democratica del Congo. Mentre con la sinistra riprendo i documenti, tendo al poliziotto la mano destra per una stretta rappacificatrice. Si chiama Papa K., mi dà il suo numero di telefono, dicendomi di chiamarlo se in seguito dovessi avere del problemi con la polizia. Lo ringrazio ed esprimo l’auspicio di poter bere una birra con lui in città, in uno dei giorni in cui starò a Saint-Louis. Quando arrivo davanti al Café de la Poste, Hibou è già lì ad aspettarmi. Non ha parole per esprimere la sua meraviglia nel vedermi lì assieme alla mia vespa e la mimica del suo volto è più eloquente di qualsiasi parola. Saint-Louis è una bella città dal passato coloniale testimoniato oggi dalle sue potenti costruzioni vetuste ed in abbandono,dai balconi in ferro battuto oramai arrugginiti e dalle facciate dagli intonaci decrepiti delle sue vecchie case. Resta ancora intatto il fascino delle stradine un tempo formicolanti di vita che dà alla città quell’aria cosmopolita che piace tanto ai viaggiatori. Anch’io, nei 4 giorni che trascorrerò a Saint-Louis, sarò ammaliato dal suo fascino e me ne andrò spesso a bighellonare per le stradine del centro storico o a bere una Flag,la buonissima birra senegalese, in qualche caratteristico pub. Cher, cugino di Hibou, un professore di filosofia, mi cede gentilmente il suo appartamento e vigila perché nulla venga a disturbare la mia permanenza, mostrando un ammirevole ed impagabile senso dell’ ospitalità. Grazie a lui, il mio soggiorno a Saint-Louis trascorre senza problemi, e nell’ozio più assoluto. Solo un piccolo furto viene a guastare l’atmosfera di nonchalance in cui sono immerso da qualche giorno. La sera prima della partenza decido di offrire una cena a Cher per ringraziarlo della sua cortese ospitalità. La vespa è parcheggiata sul marciapiede. Il mio amico mi consiglia di metterla in garage, ma io, non avendo voglia di salire in camera per prendere le chiavi, commetto la leggerezza di lasciarla lì dov’è. Al mio ritorno, metto in moto e mi avvio verso il garage. Per strada noto che dal portapacchi anteriore pendono due tiranti elastici .Mi fermo,pensando che sarei potuto cadere se i ganci si fossero avvolti attorno alla ruota. Qualcuno, approfittando del buio, ha sciolto gli elastici e ha portato via alcuni metri quadrati di rete ombreggiante che avevo portato con me per proteggermi dal sole, in occasione di una possibile sosta più prolungata. Sono sicuro che i colpevoli del furto sono stati i bambini di strada che numerosi vivono di espedienti e di piccoli furti .Non me la prendo più di tanto, anzi mi ritengo fortunato perché l’involucro che contiene pezzi di ricambio e i ferri per riparare la vespa sono ancora saldamente legati al portapacchi.
Se avessero rubato anche quelli mi sarei trovato davvero nei guai!
Il 27 marzo lascio Saint-Louis alla volta di Dakar,266 km di ottima strada che percorro in 5 ore guidando sempre con prudenza. A qualche chilometro dalla capitale, a Rufisque, il traffico diventa talmente caotico da costringermi a procedere spesso a passo d’uomo. Enormi e vecchi camions, scassatissimi autobus,furgoni dalla carrozzeria ammaccata in ogni parte e riadattati a svolgere un servizio di trasporto persone riversano nell’atmosfera dalle loro marmitte mal funzionanti fumi neri come la pece che appestano l’aria.Osservando tutto ciò, mi viene da pensare che il 90% dei mezzi che sono in quel momento sulla nazionale, in Europa non potrebbero assolutamente circolare. In quasi tutte le città africane che visiterò, ritroverò la medesima situazione di Rufisque. Eppure è sul movimento di quei mezzi che si fonda gran parte dell’economia e della ricchezza del continente africano. E’ l’Africa che avanza! (Appestando l’atmosfera !) Comincio a zig-zagare per superare le lunghe file che si creano quando la circolazione s’inceppa,soprattutto nei pressi dei grandi incroci.Faccio molta attenzione per non restare schiacciato tra i camions che procedono in doppia fila. I miei occhi sono spalancati sino allo spasimo nell’osservare ogni minimo movimento sulla strada; un incidente qui sarebbe disastroso. Fra l’altro, sono costretto a fare lo slalom tra i numerosi pedoni che sconsideratamente attraversano la nazionale. Intanto i miei poveri polmoni si riempiono di smog e di polvere; ogni qual volta mi trovo ad essere fermo dietro un camion, mi sembra di fumare dieci sigarette con una sola boccata. Le mie mani sono nere; mi guardo nello specchietto retrovisore : il mio viso è ricoperto da un sottile strato di fuliggine. Mi dico che in fondo la cosa non mi dispiace: se voglio vivere profondamente la mia esperienza africana è bene che diventi anch’io nero tra neri! Mi viene da ridere, ma non lo faccio per non essere giudicato matto; sono contento anche perché sono arrivato finalmente a Dakar. Nella Rough guide to West Africa, cerco un hotel pulito ed a un buon prezzo.L’hôtel Du Marché, nei pressi del mercato Kermel,dietro Place de l’Indépendance sembra fare al mio caso: basso prezzo e in zona centrale. Arrivo senza difficoltà in Place dell’Indépendance e da lì all’hotel. Parcheggio la vespa e vado a dare un’occhiata alle camere. Non è proprio il momento di fare lo schizzinoso: prendo un doppia per 9000 CFA (14 € ) e posso anche mettere la vespa a riparo nel garage dell’hotel.
(continua)