Esiste una comunità, a Gallipoli, come l'inverno: c'è, ma non del tutto.
Approfitta giusto di quei dieci giorni, invade la città, infiltrandosi nelle strade, sbattendo le porte delle case, scomponendo le tovaglie, soffiando fumo fuori dai locali.
Non si fa in tempo ad organizzarsi, ad acquistare qualcosa ai saldi, ché non vale la pena, è già passato, è già andata via; come il freddo, a parte qualche giorno di tramontana, tale comunità non appartiene a questo posto.
È destinata ad altre latitudini, come l'inverno, dove colora di grossi maglioni e cappotti sale da the eleganti e raffinate, uffici, ospedali, scuole, studi professionali; si muove nella neve, nella pioggia, nella sincronia di meccanismi lontani, scopre altri panorami, bellezze e fisionomie.
Come il vento, perde un po' l'accento, acquista altri profumi, e ritorna.
Così partiamo, dopo le scuole o addirittura dopo l'università, senza che nessuno in effetti ci abbia mandato via, chiedendoci ma perché allora, come mi è venuto in mente, chi mi ha fatto la valigia?
Negli inverni altrove scopriamo come tutti, ovunque, conoscano la nostra città: ce ne parlano con occhi ancora estasiati dal mare, dalle sagre di paese, dai concerti di pizzica; il nostro essere salentini diventa un accessorio all'ultima moda; conoscenti, amici, vengono a trovarci, scendono da noi, d'estate, si piluccano in grasse mangiate, larghe nuotate, serate divertenti e notti che deragliano nella mattina, ridendo di un simpatico dialetto che assomiglia ad altre civiltà.
In effetti, anche noi venti invernali, una volta sboccati sul lungomare, non possiamo non essere d'accordo; il rifiuto degli emigrati diventa orgoglio; nei nostri andirivieni notiamo quel che c'è di diverso dall'ultima volta, quello che sempre ci affascina e quello che continua a disgustarci nel più profondo dell'anima.
Eppure c'è quel che cambia, quel che di bello ci accoglie di Gallipoli.
Un palazzo del centro storico ristrutturato. Già, i palazzi. Sono bellissimi.
I vostri occhi siamo noi.
Basterebbe poco, pensiamo. Coraggio. Aprite un locale dove andare il sabato sera. Chiudete il traffico della domenica. Pulite le spiagge. Non spennate i turisti che mangiano il pesce. Non rendete Gallipoli uno squallido mercato. Ogni tanto, guardatevi intorno, leggete, dialogate.
Pensiamo tante cose che non osiamo chiedere, sentendoci ospiti, sentendo che in fondo ogni passo in avanti è un favore che ci fate, una scommessa sul futuro che rileveremo, mentre noi ci raffreddiamo dentro inverni molto efficienti, gratificati da sconosciuti, impegnandoci il doppio, il triplo, di quello che richiede la media, eccellendo in tutti i settori, seminando meridionale generosità, sfoggiando sorrisi.
Figli del vostro scontento.
Questo è il vostro prodotto, questo il nostro ringraziamento.
Vogliamo toglierci la vestaglia e ripulirci, allora?
Caterina STASI