Il lavoro dal volto umano

Alcuni precisi riferimenti all’esperienza lavorativa del cristiano sono contenuti nelle pagine della Scrittura.
Qui troviamo, anzitutto, l’esempio dell’attività propria di Dio, il quale crea dal nulla, per amore, tutte le cose e affida alla sua creatura più eccelsa, l’uomo, un compito fondamentale.
Leggiamo, infatti, nel Libro della Genesi: “Il Signore prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gn 2,15).
Emerge, pertanto, da queste parole, una verità fondamentale: la persona umana è chiamata ad esercitare il proprio senso di responsabilità non nell’orizzonte della creazione letteralmente e propriamente intesa, bensì nella prospettiva della conservazione, del mantenimento e della trasformazione della realtà creata, sempre e soltanto secondo la volontà di Dio, cioè nell’ottica dell’amore.
Gesù fornirà un esempio mirabile al riguardo negli anni della sua vita nascosta a Nazareth, svolgendo il lavoro di falegname insieme al padre putativo Giuseppe.
Cosa fare, dunque, affinché il lavoro dell’uomo sia sempre più umano e cristiano?
Mi permetto di richiamare ai lettori una  priorità etica che appare, oggi più che mai, fondamentale.
La storia biblica insegna che la dignità del lavoratore deve essere tutelata garantendo la giustizia.
Le situazioni di ingiustizia tra le più citate nella Scrittura sono proprio quelle relative al lavoro.
Ad esempio, nel Libro del profeta Geremia, al cap. 22, è riportata una questione riguardante il trattamento del lavoratore e il suo salario: il re di Giuda rifiuta di accordare la paga, aumentando, così, a dismisura la propria ricchezza.
Il profeta, pertanto, rendendo presenti nella società del suo tempo le esigenze della giustizia di Dio, si scaglia senza messi termini contro questa situazione: “Guai a chi costruisce la casa senza giustizia e il piano di sopra senza equità, che fa lavorare il suo prossimo per nulla, senza dargli la paga, e dice: Mi costruirò una casa grande con spazioso piano di sopra, e vi apre finestre e la riveste di tavolati di cedro e la dipinge di rosso” (Ger 22,13-14).
Su questa linea si pongono anche i profeti Amos e Michea quando condannano lo smodato attaccamento al denaro di alcuni quale causa di miseria e di infelicità per i poveri.
Anche oggi – lo sappiamo tutti molto bene – esistono molteplici forme di ingiustizia lavorativa.
Si pensi allo sfruttamento, al sottopagamento, ai luoghi di lavoro poco sani e dignitosi, al lavoro nero, alla disoccupazione, al mobbing , alle varie forme di illegalità, al controllo illecito delle persone e dei processi produttivi.
La comunità cristiana, in questo contesto, è chiamata a “difendere con forza la dignità e i diritti degli uomini del lavoro, denunciando e superando le situazioni che ne impediscono il responsabile esercizio” .
L’impegno per la promozione della giustizia deve essere necessariamente considerato come prioritario rispetto a qualsiasi forma di intervento sul campo del lavoro, come ricorda il Concilio: “Parimenti, tutto ciò che gli uomini compiono allo scopo di conseguire una maggiore giustizia, una più estesa fraternità e un ordine più umano dei rapporti sociali, ha più valore dei progressi in campo tecnico. Questi, infatti, possono fornire, per così dire, la base materiale della promozione umana, ma da soli non valgono in nessun modo a realizzarla” .
Certo, la realtà nella quale siamo immersi, non induce per nulla all’ottimismo.
Eppure, il cristiano è l’uomo che più di ogni altro deve contraddistinguersi per la pratica reale, convinta, quotidiana, della speranza.
Essa, virtù teologale, mirabile dono di Dio all’uomo, grazie al mistero pasquale di Cristo, è chiamata a diventare, con il nostro impegno, autentica virtù sociale.
La presenza dello Spirito del Risorto in tutta la creazione e nei cristiani offre la speranza certa, la speranza affidabile che il lavoro può essere trasformato, affinché rispecchi maggiormente le istanze del Vangelo, e non giustifica, pertanto, alcuna rassegnazione passiva.
I cristiani rifiutano di accettare ogni situazione data come irreformabile.
Essi sperano, al di là di ogni speranza umana e lavorano quotidianamente, affinché, anche attraverso la loro opera, il mondo sia più bello.
Abbiamo mai riflettuto su quanto sarebbe più vivibile il mondo, Gallipoli, il Centro storico, se ognuno, con  l’audacia del Vangelo, compisse il proprio dovere?
Almeno, proviamo a rifletterci…e queste parole non saranno state sprecate.


don Francesco MARULLI