Le continue vertenze tra la Città ed il Castello, i pessimi rapporti di convivenza tra il Capitano-Governatore ed il Sindaco sono ampiamente illustrati nei Documenti antichi e nel ‘Libro Rosso’.
Gallipoli ha sempre goduto del privilegio di essere ‘città non in feudo’ con il diritto di essere amministrata dalla rappresentanza civica eletta dai Cittadini. Dal 1130, essendo re delle Due Sicilie il normanno Ruggero II, Gallipoli è stata Città demaniale fino al Decreto di Giuseppe Bonaparte dell’agosto 1806.
Grande era la differenza con le Città feudali. I comuni demaniali erano centri economicamente e strategicamente più notevoli, Città costiere che erano le più progredite del Regno, con tradizioni secolari di attività commerciali; esse non tradivano mai il loro Re e spesso mettevano a rischio la vita e i beni in difesa della Corona.
Gallipoli con la sua Università chiedeva ad ogni sovrano che saliva al trono la conferma della demanialità che aveva ricevuto dal re normanno, privilegio concesso a poche Città: nel Regno di Napoli, solo 55 su un totale di 1563.
Questo ‘privilegio’, gelosamente custodito e difeso dai Cittadini, ribadito e confermato per ben sette secoli dall’autorità regia, era stato motivo di contrasto con le altre autorità locali che gestivano il potere: il Capitano-Governatore, rappresentante del Re, a cui era affidata la direzione giudiziaria e la rappresentanza del Governo centrale e il Castellano, rappresentante del Vice Re cui era affidato il comando del Castello.
L’”Universitas gallipolina” era un’istituzione amministrativa e politica gestita dai Cittadini; una realtà di fatto che il potere regio accettava con il riconoscimento della sua personalità giuridica e della sua autonomia amministrativa. La generale dialettica tra l’Autonomia locale ed il Potere centrale ha necessariamente segnato ed interessato tutta la vita cittadina diventando molto spesso occasione di contrasto e di lotta per difendere la garanzia dell’ identità storica della Città.
Il Sindaco riuniva in sé il potere amministrativo, il potere giuridico ed il potere militare essendo a capo della popolazione nei periodi di aggressione nemica. Egli era il custode dei ‘privilegi sovrani’ in testo originale ed aveva la facoltà di disporre l’esecuzione delle copie e la raccolta degli stessi in un unico ‘registro’ o ‘corpus’.
Nelle solennità religiose, in chiesa, sedeva in trono a destra del Governatore e riceveva l’omaggio dell’incenso e della pace; conservava le chiavi dell’arca che custodiva il corpo di San Fausto, già protettore della città, le chiavi della cassa dove si conservava la reliquia della ‘mammella di Sant’Agata’, e di quella dove si tenevano chiusi il sigillo della città e le scritture che registravano i fatti amministrativi, i capitoli, i privilegi e le grazie.
Egli era il custode de ’le chiavi della porta della città’. Molti documenti riportano la conferma di questo diritto:
Il 21 giugno del 1535 da Napoli’ il Vicerè scrive al Marchese dell’Atripalda ordinando che le chiavi della porta della Città devono essere tenute dal Sindaco’.
Il 19 agosto del 1542 da Napoli ‘il Vicerè Don Pedro de Toledo scrive al Maestro di campo della Fanteria di S. M. Don Alonso Vinos ordinandogli di lasciar tenere al Sindaco le chiavi della porta della Città, come si è sempre usato e per la grande fedeltà dimostrata dalla città’.
Il 13 maggio 1561 da Napoli’ il Vicerè Duca d’Alcalà scrive alla Città una lettera con la quale comunica di aver invitato Cesare De Gennaro che da sempre sia i Capitani-Governatori e particolarmente Don Pirro Castriota hanno sempre rispettato il diritto del Sindaco a possedere le chiavi della porta della città e che pertanto non si debba modificare alcunché assicurando che in questa questione come in altre sarà data soddisfazione alla Città come meritano per i servizi resi’. Il 23 gennaio 1731’ il Preside Domenico de Luna Aragona dispone che le chiavi della porta della Città restino in mano del Sindaco contro la pretesa del Governatore Sinopoli’.
Il 6 ottobre 1742 da Portici’ il Marchese de Salas scrive al Duca di Castropignano circa la controversia sul possesso delle chiavi della porta della città e gli comunica che Sua Maestà ha disposto la restituzione di queste al Sindaco pro-tempore e che il Presidente della Provincia ed il Colonnello Guglielmo Corensono sono stati incaricati di fare una relazione su cui si provvederà in giunta di guerra’. *)
Nell’anno in cui svolgeva l’incarico di amministrare la Città il Sindaco aveva il diritto di far dipingere nella Sala del Palazzo civico lo stemma del suo casato con il nome e l’anno in cui aveva svolto la sua carica. Questa consuetudine aveva avuto inizio nell’anno 1485 ed è stata rispettata per tutto il XVIII secolo, così che col passare degli anni molti erano gli stemmi che adornavano il Salone dove si riunivano i membri del Consiglio generale.
Ora la sala esiste ancora ma gli stemmi sono invisibili a causa del pesante strato di calce che li ricopre. In occasione dell’auspicato restauro del ‘Palazzo del Governatore’ forse ritorneranno a testimoniare il passato illustre della Città.
La difesa della Città era stata sempre separata dalla difesa del Castello: per antica costituzione l’armamento delle mura della città con le sue torri e fortilizi era a carico della cittadinanza e la difesa di esse era demandata esclusivamente ai militi cittadini sotto il comando del proprio Sindaco il quale prendeva il titolo di ‘General Sindaco’, indipendente dal presidio del Regio Castello e del Comandante di esso. Per privilegio antico era vietato ai soldati di guarnigione nel Castello di andare armati per le vie della Città, ciò che invece era permesso ai cittadini.
Questa separazione di compiti è stata per secoli frequente occasione di contrasti che si risolvevano in acute vertenze e processi. Spesso i’forestieri’ rappresentanti dell’autorità centrale, il Capitano ed il Castellano,si accordavano in una linea di azione comune contro il Sindaco per la rivendicazione di particolari diritti e per il godimento di franchigie di dazi o prerogative di comando nei confronti della Città e degli abitanti.
Nell’anno 1513, quando era Castellano un borioso e testardo spagnolo che permetteva ai suoi militi di girare armati per le vie della Città nonostante quel divieto, l’Università insorse ed inviò a Napoli i due nobili concittadini, Bernardino Crisigiovanni e Oliviero Russo, per chiedere al Vicerè il rispetto del privilegio che vietava quell’abuso del Castellano.
Il Vicerè, dopo aver letto l’istanza della Città ed aver ascoltato la relazione dei due oratori, ordinò immediatamente al Regio Governatore ed al Regio Castellano di Gallipoli di osservare rigorosamente quel privilegio e licenziò i due emissari con una lettera di assicurazione che mai quel diritto cittadino sarebbe stato eliminato.
Ettore Vernole nel’Il Castello di Gallipoli’, a pag.168, così descrive le difficoltà di convivenza della Città con il Castello: ” La inesausta discordanza fra la Città e la guarnigione di tanto in tanto affiora sul livello dell’apparente quiete, e lo è sempre per le intemperanze spagnolesche dei militari. I Capitani d’infanteria pretendevano far coi propri soldati la ronda notturna per la Città, circolando armati,in contrasto con le secolari prerogative cittadine, e facevano chiudere per abbondante orario l’unica porta della Città, impedendo così ai cittadini di entrare ed uscire di buon mattino o a sera fatta per raggiungere le rispettive possessioni terriere e coltivarle. Si rinnovavano così le vecchie questioni della conservazione delle chiavi spettanti al Sindaco e della ronda armata notturna spettante ai Mastri Giurati della Città”.
La distinzione di ruoli ha anche determinato le differenti reazioni contro i nemici invasori. Un dualismo che porrà in evidenza la saggia gestione civica e la urgente necessità dell’Università di provvedere essa stessa alla nomina del Capitano, come era concesso ad altre Città demaniali. Quando mancava il Capitano-Governatore il Sindaco occupava interinalmente il suo posto, quando era assente il Sindaco era il Castellano a svolgere le funzioni di Sindaco.
Al tempo di Carlo V la Città chiese di godere del privilegio di nominare il Capitano Governatore, come era concesso ad altre Città demaniali, ed inviò Leonardo Gorgoni e Cristoforo Assanti per ottenerlo: “…l’officio di Mastrodattia della corte e dello Capitanio di detta Città lo tiene uno cittadino nominato Filippo Gorgonio, impetrato dalla Regia Corte sua vita durante, ed essa Università desiderando avere detto officio per concederlo annuatim ai suoi Cittadini, s’ha concordato con detto Filippo, che lo rinuncia a detta Università con la volontà di Vostra Maestà Cesarea, supplica però questa si degni presentare suo assenso, e concedere che sia detta Università in perpetuo come l’hanno altre Cittadi delle Provincie: Placet Regiae Maiestati concedere pro ut concedit dictae Universitari dictum officium ad Regiae….beneplacitum”. *)
I Castellani, preposti dal governo regio, hanno quasi sempre agito spinti dal tornaconto personale, defraudando il regio Fisco e aggiungendo alle crescenti imposizioni di nuovi tributi e tasse le sopratasse, che dovevano restare a loro beneficio
Il periodo più umiliante fu durante la servitù spagnola, con la fine del regno di Napoli di Federico d’Aragona, quando il Vicerè di Ferdinando di Spagna, Gran Capitano Consalvo di Cordova, per vincere la storica fedeltà della Università verso la casa regnante, si adoperò con efficacia a convincere alla resa il Castello per poi affrontare le prevedibili resistenze della Città.
Il regio castellano Sancio Roccio, “ nativo del regno d’Aragona, convinto della inanità di una ulteriore resistenza senza speranza di prossimi aiuti, sì perché da Taranto egualmente assediata non potevano venire, sì perché il regno era tutto in potere dei Francesi e Spagnoli, sì perché coll’essersi il re Federico ritiratosi in Francia aveva dato ad intendere non aver più Egli speranza di tornare” aveva accolto la proposta di resa senza frapporre alcuna resistenza ma anzi cercando di ottenere dei vantaggi personali per se e per la sua famiglia.
La Città, invece, reagì con fermezza ed il Sindaco,” senza prendere impegno veruno con Consalvo si affrettò a convocare a suono di campana, com’era di regolamento, il Parlamento civico”.
Mentre il Regio Castellano riuscìva ad ottenere la promozione a vita di Castellano di Lecce, per uno dei suoi figli l’incarico di Doganiere in Gallipoli e per la figlia nubile la dote di mille scudi d’oro a carico dell’erario, il Sindaco dell’epoca Don Cristallino Chefas, sconvolto dalla notizia della volontà del Castellano di consegnare il Castello, riferì agli ‘ottanta’ ed ai vecchi sindaci riuniti in assemblea le richieste di resa avanzate dal Gran Capitano Consalvo:
“ascoltavano essi in silenzio e cogitabondi, come chi è costretto udire cose alla sua coscienza ripugnanti, le proposte del Gran Capitano per bocca del loro sindaco; ma come questi annunziò che il castellano avrebbe senz’altro consegnato il castello al nemico, un grido d’indignazione uscì dal petto degli ottanta consiglieri, cui fece eco il popolo che ingombrava la sala del Parlamento”.*)
Dopo una lunga e vivace discussione se accettare la proposta, considerando che sarebbe stato impossibile resistere essendo il Castello nemico dominante la città ben armato, calmati gli animi, deliberarono la resa alle seguenti condizioni: “amnistia generale, conferma di tutti i privilegi, scritture, lettere e patenti contenenti le franchigie, immunità e grazie impetrate dai precedenti re e principi, e specialmente da Federico, restituzione di quanto era stato loro tolto o rapito durante l’assedio, e che non fossero mai introdotti in città soldati regi, specialmente avventurieri”.*)
La Città ed il Castello alzarono la bandiera dei Re di Spagna ma il sottile dualismo si aggravava di volta in volta, epoca per epoca, ed i due poteri, quello civico e quello governativo, gareggiavano in rancori e reciproche denunce.
Il Sindaco comandante delle forze civiche e del bastionamento, geloso delle une e dell’altro, creature della Città e difesa della demanialità di essa contro ogni tentativo feudale, svolgeva il suo compito annuale con zelo e dedizione.
In occasione di attacchi sferrati dall’esterno Egli si batteva insieme ai suoi concittadini per lealismo dinastico e per interesse a conservare le prerogative faticosamente edificate nei secoli.
I funzionari del Governo centrale, il Governatore ed il Castellano, agivano solo in grazia del loro impiego, cercando di sgretolare o inficiare l’azione politica o bellica del potere civico sul quale essi non riuscivano a prevalere.
Ettore Vernole scrive ne ‘Il Castello di Gallipoli’ a pag.57:” La separazione tra il comando militare della Città e Torri del prossimo litorale affidata al General Sindaco, e il comando del Castello affidato al Castellano, nonché la separazione tra il comando civile affidato al Sindaco e la direzione giudiziaria e rappresentanza del governo centrale affidata al Governatore o giudice, nel medioevo chiamato Capitano, è ricordata frequentemente nel ‘Libro Rosso’ della città, e pervenne a distinzioni così sottili che, mentre i cittadini di Gallipoli potevano circolare in città e fuori muniti di armi, i soldati di guarnigione del Castello non potevano circolare armati per le vie della Città”.
La vertenza tra il Castello e la Città raggiunse un altro acuto livello di contrasto nel 1591 quando i rapporti tra il Sindaco, il Governatore ed il Castellano si alterarono a tal punto che produssero gli incidenti culminati con l’arresto del Sindaco rinchiuso “nelle carcere dove stanno le persone vile nonostante sia nobile, né gli fu concesso avesse avuto uno strapuntino per dormire la notte, cò gran livore e ignominia”.
Nel mese di agosto, il Governatore della Provincia rappresentante del Re, Don Geronimo de Balzan, in visita per ispezionare le fortezze venne a Gallipoli e con disappunto notò che il Sindaco nell’accoglierlo non aveva celebrato il rito della consegna delle chiavi della porta della città , come avevano fatto tutti i Sindaci delle altre piazzeforti della Provincia:
In quell’anno era Capitano del Presidio Don Pedro Ribera che tre anni prima, nel 1588, era stato in aperto contrasto con il Sindaco per una pretesa di franchigie (Cause Regio Castello fg.122). Egli, quindi, non perse l’occasione per una rivincita, soffiando sul fuoco, sollecitando il Governatore a reclamare il rispetto dovuto da parte del Sindaco.
Il Castellano era il padre del famoso pittore Giuseppe Ribera, detto lo ‘Spagnoletto’.
Pedro Ribera, venuto in Gallipoli per l’incarico militare, aveva sposato la gallipolina Caterina Indelli e nel 1588 era nato nel Castello il figlio Giuseppe.
L’episodio della contesa tra il Ribera ed il Sindaco ebbe luogo a Gallipoli nell’anno della nascita del grande pittore, da padre spagnolo e da madre gallipolina. Forse le divergenze del padre con la Città determinarono il misconoscimento della sua nascita a Gallipoli, sostituita con la città spagnola di Jativa, anche se era costume diffuso considerare il Castello territorio spagnolo.
Don Geronimo convocò con urgenza il Sindaco Alfonso Calò al Castello per reclamare le sue regie prerogative e infliggere al Sindaco la condanna per il vile comportamento.
Il Governatore lo fece chiudere in carcere e gli impose una multa di mille ducati che avrebbe dovuto pagare nel giro di due ore, pena il sequestro di tutti i suoi beni. Non potendo provvedere con tutta urgenza all’ingente somma, nonostante il Sindaco Calò fosse un nobile, gli furono sequestrati i suoi averi.
E’ del tutto evidente che il Governatore di Terra d’Otranto volle mettere in atto un comportamento così violento per rivendicare il diritto ad avere consegnate le chiavi della Città. All’immediata reazione dell’Università il Vicerè, conte di Mirando, inviò al Governatore, il 31 agosto 1591, una ordinanza con la quale imponeva l’immediata scarcerazione del Sindaco e la restituzione delle somme versate e delle sue proprietà: “ comandare al detto Signor Governatore che scarceri lo Sindico, restituta l’esecutione et li chiavi, et nonostante pur seguita di travagliare detto povero Sindico et lo peggio due volte ha fatto vendere tutti li mobili di casa e vini. Voglia obbedire gli ordini e non aggiunga calamità a calamità”.
Il 20 gennaio 1593 il notaio Leonardo Oronzo Misciali attesta che il Maestro di camera Francisco Antonio Palatio della Regia Udienza di Lecce ha restituito, in esecuzione degli ordini ricevuti, all’allora Sindaco Alfonso Calò i Ducati 113 della ’pretesa pena di non aver affidato le chiavi della città al Governatore della Provincia Don Geronimo de Bazan come risulta da mandato esibito dal Conservatore delle Scritture e Privilegi della Città Giovan Benedetto Mazzuci’.
Il 20 gennaio 1593 il notaio Leonardo Oronzo Misciali attesta, sottoscritta da 12 Sindaci passati della Città, ‘che le chiavi della porta della Città furono sempre tenute dai Sindaci protempore senza che fosse mai impedito tale pacifico possesso in virtù dei privilegi, prerogative, costumanze ed usi della città e nonostante fossero stati in Gallipoli Governatori col grado di Tenenti Generali, Sergenti Maggiori ed altri con patente di Capitani a guerra’. *)
Il Governo centrale nelle vertenze tra Città e Castello si schierava dalla parte della Città e dei suoi Rappresentanti facendo soccombere le prepotenze del Capitano-Governatore e del Castellano.
Il Castello lungo i secoli aveva sempre preteso franchigie di dazi ed altri diritti giungendo a proibire ai pescatori di pescare nel mare del fossato intorno o a vietare di stendere sulle mura di fronte le pelli degli animali macellati.
Inoltre i Castellani, con la scusa di provviste precauzionali per affrontare i periodi bellicosi, riempivano di grano fino all’inverosimile i grandi depositi del Castello per poi rivenderlo al lordo del dazio o producevano pane in grande quantità nel forno del Castello vendendolo a tutti i cittadini e riempiendo così di denaro le proprie tasche.
I reclami dei Sindaci venivano accolti ma il comportamento furbesco non mutava, anzi si ricorreva al contrabbando facendo clandestinamente tutto quello che era vietato.
In questo illecito modo di agire c’era sempre la connivente alleanza tra il Rappresentante del Re ed il Castellano che mal sopportavano i diritti della Città.
E’ per questa antica tradizione che non c’è mai stato il dovuto ‘amore’ verso l’antico maniero?
Alla fine del XIX secolo fu realizzato il Mercato coperto, addossato al Castello, per risolvere urgenti problemi di salute pubblica, per eliminare la pesante situazione di degrado della vendita dei beni alimentari.
Quella decisione scatenò la reazione dei Saggi dell’epoca: Briganti, Barba, D’Elia, Vernole perché si deturpava per sempre l’immagine della monumentale fortezza.
Ora, agli inizi del XXI secolo, i distratti Amministratori della Città stanno sperperando otto milioni di euro di denaro pubblico per restaurare il Mercato coperto trasformandolo in ‘Museo della pietra’ incuranti della necessità di ripristinare il ‘Grande Castello’, con l’antico fossato, isolando la fortezza angioina e restaurando la singolare struttura difensiva
E’ giunto il momento per la civiltà del ‘Grande Salento’ di gridare con forza l’urgenza di ripristinare la memoria storica e l’importante ruolo che il Castello ha avuto nei secoli, la cui bellezza emergerà eliminando il Mercato e ripristinando il fossato ideato dai Veneziani nel 1484.
Noi pensiamo che quella testimonianza dovrà contrassegnare il futuro della ‘città storica’ , per tramandare ai posteri le gloriose vicende degli illustri Cittadini della ‘bella città’.
* E. Pindinelli:L’Archivio delle Scritture Antiche dell’Università di Gallipoli
Luigi GIUNGATO